Morte all'aeroporto.
Alle pianure che rende odiose, già quando le vedi dal finestrino prima che parta l'applauso dei burini.
Morte ai suoi colori pavidi, al grigio auto e all'azzurro banca.
Morte alla sua mouquette strappata alle pizzerie in franchising e ai dentisti tristi.
Morte agli architetti delle tubature chic a vista, dei sedili futuribilmente scomodi.
Morte agli spazi inutili, alle vip lounge, ai viali dello shopping unto, ai profumi da vecchia, agli alcolici che non costano meno da sette anni.
Morte al toblerone e ai tempi inutili.
Morte alle facce da figli di puttana, alle puttane coi figli annoiati, alla gente che gode a stare un'ora in fila all'imbarco come se qualcuno potesse fregarle il fottuto posto numerato.
Morte agli aeroporti dove nessuno resta, dove chi resta la notte si lamenta perché avrebbe dovuto dormire in un posto migliore.
Morte ai saponi scadenti, ai dosatori anche troppo intelligenti, morte ai lavandini a fotocellula che vomitano acqua calda e schiumosa.
Morte alle bombe che non si trovano e a chi le cerca, morte al sospetto che tutto avvolge.
Il sospetto che tu abbia un coltello, la speranza che quello davanti a te suoni al detector, la speranza che gli trovino un coltello.
Morte, tutt'attorno.
Non un mercato, non un panettiere, non uno spacciatore.
Girati, c'è il treno grigio banca che ti porta dritto in centro - dove non c'è più un mercato, un panettiere, uno spacciatore.
Tra l'aeroporto e il centro, il prescindibile.
C'è bisogno di andarci in centro?
Restate in aeroporto, comprate leggete e addormentatevi vicino al vostro gate, così quando imbarcano siete i primi in fila.