Mosaico d’Europa Film Fest: “A Field in England” di Ben Weathley

Creato il 10 aprile 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Tra le basi del linguaggio cinematografico vi è l’alternanza di campo e controcampo. Qui invece si ha a che fare solo col campo. Ma.nel senso più letterale possibile… Tra i film in concorso al Mosaico d’Europa Film Fest vi è infatti A Field in England, che come suggerisce il titolo ha il merito di trasformare la superficie erbosa di un campo (contiguo a un vero e proprio campo di battaglia, ipotizzato però fuori campo, scusate l’ennesimo gioco di parole) nel set unico di un’avventura dai risvolti surreali, che vede il destino di alcuni uomini d’armi mescolarsi a misteriose epifanie, simbolismi, dispute dialettiche ora rozze e ora in punta di fioretto, atti di violenza improvvisi e apparentemente gratuiti.

L’autore di questo tuffo in bianco e nero nella brughiera, decisamente lisergico, è il britannico Ben Weathley, che già in passato ci aveva abituato al passo di una narrazione non convenzionale, vicina ai generi ma portata a introdurvi determinate provocazioni estetiche, concettuali e contenutistiche. Sua ad esempio la “black comedy” Sightseers, uscita anche in Italia col titolo Killer in viaggio: un’infrazione ai codici di comportamento della società britannica condottta con humor sulfureo, sebbene si facesse notare qua e là qualche calo di ritmo. Anche A Field in England non è certo un film perfetto, compatto, aderente fino in fondo alle sue aspirazioni, ma quanto riesce a mettere in campo (ancora…) giustifica senz’altro la curiosità dello spettatore, trascinato volente o nolente in una specie di trance ipnotica destinata verso la fine ad espandersi.

Ciò che colpisce è innanzitutto il livello di visionarietà che il regista ha saputo raggiungere, partendo da un impianto produttivo visibilmente a basso costo: una distesa erbosa, cinque attori (peraltro bravissimi) costantemente in scena, alcuni costumi ben confezionati che rimandano a un’epoca passata. Questi gli ingredienti di un’opera che si pone elegantemente al bivio tra film in costume e cinema sperimentale. Una fotografia di innegabile fascino si pone difatti al servizio della picaresca avventura di quei militi, alcuni dei quali in odore di studi alchemici, che per motivi diversi si sono sottratti alla pugna sanguinosa, avente luogo nell’attiguo carnaio. Avventurieri o semplici disertori che siano, questi uomini sottrattisi da poco al furore della battaglia vanno incontro a nuove situazioni di incertezza e di pericolo, in una cornice allucinatoria il cui registro muta di continuo. Nella sostanziale staticità del plot si intrecciano accenni di comicità corporale, trovate grottesche, una trasfigurazione simbolica di epoche passate che fa pensare a Greenaway, quadretti allegorici alla Jodorowsky e sparatorie in parte stilizzate ma dall’effetto sui corpi così devastante, da ricordare il buon vecchio Peckinpah. Il lavoro cinematografico di Ben Weathley può anche soffrire, come dicevamo prima, di qualche scompenso, ma regala di certo un’esperienza visivamente suggestiva.

Stefano Coccia      


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