Si tratta comunque di un passo avanti, rispetto alla conferenza tenuta a Ginevra un anno fa, che nonostante i buoni propositi verso la roadmap stilata dall’inviato della Lega Araba Kofi Annan per la costituzione di un governo di transizione composto da tutti gli schieramenti fallì soprattutto per le troppe diffidenze tra i padrini dei contendenti, Usa e Russia. Ora invece Kerry e Lavrov promettono di sostenere la roadmap di Ginevra, ritenuta l’unico percorso per la fine delle ostilità. Sarebbe già molto se Washington e Mosca riuscissero a superare loro stesse il clima da guerra fredda in cui la crisi siriana le ha riportate, con gli Usa che accusano la Russia di voler proteggere il “figlioccio” Assad bloccando le risoluzioni all’Onu con i veti, e il Cremlino che risponde denunciando un’ingerenza americana nelle vicende siriane, tramite il sostegno economico e militare ai ribelli anti-Assad.
E in effetti, proprio nelle prossime settimane il Senato Usa dovrà votare un provvedimento che de facto autorizza gli la vendita di armi alle milizie d’opposizione: un ostacolo sulla via della pace, se la legge dovesse passare. Il Segretario Kerry sembra esserne consapevole, e ha perciò voluto sottolineare che l’apertura di un dialogo automaticamente renderebbe fuori luogo l’esplicito impegno americano a favore di uno dei due contendenti. E proprio per guadagnare tempo il Dipartimento di Stato ha vincolato la decisione di Capitol Hill agli esiti dell’inchiesta sul possibile utilizzo di armi chimiche da parte dell’Esercito di Liberazione.