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Mostra di Venezia 2015. Serata ORSON WELLES, con Il mercante di Venezia ritrovato

Creato il 03 settembre 2015 da Luigilocatelli
Welles è Otello

Welles è Otello

Serata Orson Welles. Il mercante di Venezia ritrovato e ricostruito + Esecuzione musicale della partitura originale per il film di Angelo Francesco Lavagnino + Versione lunga e restaurata dell’Otello, con i dialoghi italiani.

OW è Il mercante di Venezia

OW è Il mercante di Venezia

Il Mercante di Venezia secondo Welles, disperso e poi ritrovato a frammenti sparsi, adesso restaurato e ricostruito con un’operazione che sa di romanzo. Proiettato in preapertura di Festival per la prima volta. E, credetemi, abbiamo visto lo Shylock definitivo. Mai nessuno come Orson Welles. Voto: non si possono dare voti a OW.

Il mercante di Venezia

Il mercante di Venezia

Che grande prefestivalm, quello di ieri sera, 1° settembre. Un trittico tutto dedicato a Orson Welles, che basta il nome, non servono aggettivi, non serve altro. Come clou dell’evento (scusate l’infame, inusabile parola, ma stavolta è il caso) il suo leggendario e maledetto Il mercante di Venezia dell’anno 1969, perso, ritrovato letteralmente a pezzi, ricostruito e ricucito in una operazione filologica dal sapore di romanzo, sanando almeno parzialmente una storia di dispersioni, dissipazioni e anche dissimulazioni assolutamente orsonwellesiana. Come se lui avesse applicato su si sé e sul proprio film ogni possibile ambiguità e doppiogiochismo, ingannando e depistando come il Mister Arkadin di Rapporto confidenziale, come in F for Fake. Leggendo la post-fazione strepitosa di Tatti Sanguineti al recente A pranzo con Orson di Henry Jaglom (indispensabile; edito da Adelphi) si resti avvinti nel percorrere il grande labirinto dei film girati o forse no o forse girati a pezzi o solo millantati o tentati da Welles dagli anni Cinquanta in poi, mentre, esule da Hollywood, girava il mondo cecando come un mago, come un Cagliostro, di materializzare dal nulla le risorse per fare cinema e ancora cinema. E però spesso scontrandosi, per difficoltà finanziarie o forse per cupio dissolvi, o per un’incoercibile pulsione inconscia al work in progresso, all’incompiuto, all’opera aperta, o per dissipazione di sé e dei propri talenti, con l’impossibilità di realizzarlo, quel cinema. Ogni tanto ecco ruspuntare qua e là brandelli di capolavori sempre sognati e mai realizzati del tutto. Manca, però, nella ricostruzione di tatti Sanguineti, ancora il capitolo Il mercante di Venezia, il cui restauro ricostruttivo (come certe ardite operazioni di chirurgia plastica) è finito – diceva un fase di presentazione il responsabile del FilmMuseum di Monaco di Baviera – solo domenica scorsa. Con un risultato che è staordinario, ma forse lo è ancora di più il come ci si è arrivati. Allora: l’associazione, mi pare di Pordenone, Cinemazero, che già aveva trattato reperti wellesiani, rintraccia segmenti del Mercante di Venezia commissionato al registattore nel 1969 dalla Cbs,  trasposizione shakespariana che doveva far parte di uno speciale dedicato (se ho ben capito) a Venezia. Ma la tv americana tronca un certo punto i finanziamenti, unclassico nella storia di Welles. Il quale cerca di finite le riprese con altri mezzi, ma nel 1982 fa sapere al mondo che il negativo è stato misteriosamente rubato. Emergono frammenti trovati da Cinemazero, alla Cinémathèque Françiase, al FilmMuseum di Monaco. Ed ecco il progetto, di Cinemazero e dei monacensi: ricostruire il più possibile del film, uno dei pochi (forse l’unico, dovrei verificare) a colori girato dal genio di Quarto potere. Si cuciono gli spezzoni e, dove manca il sonoro, il parlato, si sopperisce in due modi: doppiando i personaggi (e però è termine improprio) con la registrazione del Mercante di Venezia allestito da e con Welles nel 1938 nella stagione del Mercury Theater e, ove questo sonoro non ci fosse, con il testo del film ritrovato tra i documenti lasciati da Oja Kodar, l’ultima compagna di Welles, all’Università del Michigan. Bene, i 35 minuti che abbiamo visto derivano da questo lavoro che è insieme feticistico e filologico, guidato da una benefica ossessione-devozione per la monumentale icona OW. come ottemperando al gioco di caccia al tesoro nascosto che lui stesso ha voluto aprire disseminando in vita brandelli di sé e del proprio lavoro. Si apre con lui che racconta e mostra Venezia, e i due personaggi shakespeariani radicati lì tra calli e canali, Otello (ed ecco scorrere qualche immagine del suo Othello) e Shylock. Tanto basta a introdurre Il mercante di Venezia, con un Orson Welles che rifà figurativamente l’ebreo secondo la tradizione, o meglio secondo l’immaginario occidentale, e anche secondo il pregiudizio. Lunga palandrana nera, copricapo altrettanto nero, barba patriarcale. Eppure Welles i pregiudizi li rovescia, schierandosi tutto dalla parte dell’ebreo veneziano, attenuando anche, se ricordo bene il resto, le notazione di Shakspare non propriamente filosemite (si è sempre dibattuto e sempre si dibatterà se il dramma si antisemita o no, e quanto lo sia). OW diventa ai nostri occhi Skylosck, anzi lo Shylock definitivo. Aderendo all’anima del personaggio in modo impressionante e lancinante, come mettendoci dentro qualcosa o molto di se stesso. Shylock c’est moi. Si intravede dietro al personaggio lo stesso Orson Welles, reietto anche lui, costretto a vagare e errare per il mondo dopo la condanna di Hollywood. Già questo fa del film, o di questo simulacro di film, qulcosa di prodigioso e imperdibile. Il resto è puro Welles regista che pur nella evidentissima ristrettezza di mezzi, sa mettere in scena un clima di soffocant minaccia, claustrofobico, con Shylock che come uno spettro si aggira per calli e campielli mentre le maschere del canevale lo inseguono, lo braccano, lo sospingono al’interno di uno spazio chiuso. In un ghetto. Il materiale girato arriva solo fino al naufragio delle navi di Antonio e all’approssimarsi della vendetta del prestatore di denaro che vuole riscuotere il pegno pattuito, la libbra di carne di Antonio. Purtroppo non abbiamo il grande, straziante monologo del “non siamo forse come voi, fatti come voi?”, realizzato qui con la voce fuori campo di Welles del 1938 versione Mercury Theater. Ma il brivido ci viene lo stesso, e il groppo in gola pure. Non so cosa sia questo Mercante restaurato, se un simulacro di quello che sarebbe potuto essere, se un rifacimento proprio o improprio o, più probabilmente, il massimo possibile con quel che s’è potuto reperire. Abbastanza comunque per restare ancora una volta abbacinati dal genio, e per rimpiangere il film che non abbiamo avuto. Visione che è stata preceduta dall’esecuzione da parte dell’Orchestra Classica di Alessandria della colonna sonora di Lavagnino, anche questa una leggenda, Non essendoci più alcuna partitura, la si è ricavata trascrivendo la registrazione dell’unico concerto diretto da Lavagnino, operazione resa possibile dalle tre figlie del musicista, che peraltro hanno avuto un ruolo importante in tutto il recupero del Mercante. Non sono certo un critico musicale, a me è parsa comunque partitura di squisita fattura, complessa atticolazione e enorme sensibilità compositiva, con attraversamenti di più climi sonori e repertori, dalla tarantela al barocco veneziano. A chiudere la serata l’Otello (senza acca, mi raccomando) in versione italiana che Welles ritirò all’ultimo momento dalla mostra di Venezia nel 51, e solo adesso restaurato e riproposto. Riempiendo quello spazio veneziano rimasto vuoto da allora, e ci son voluti 64 anni. (Nota: introducendo la serata, il presidente della Biennale Paolo Baratta è incorso in una imprecisione. Ricordando i soggiorni e l’amore di Welles per l’Italia, ha detto che il regista ha sposato Lea Padovani. Non è così. Sposò Paola Mori, mentre con Lea Padovani ebbe una tormentata storia di cui accenna, pur senza fare il nome dell’attrice, anche con Henry Jaglom in A pranzo con Orson).


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