Mostri meccanici

Creato il 01 dicembre 2013 da Francosenia

Per troppo a lungo, considerati con condiscendenza come una manifestazione selvaggia di "arcaismo", o una reazione retrograda di fronte alla pressione della miseria, la pratica della distruzione delle macchine si dimostra in realtà assai ricca e complessa. La storia del mondo del lavoro nel XIX secolo, nell'era dell'industrializzazione, ha perso senza dubbio centralità nella storiografia degli ultimi decenni. Ma, d'altra parte, è stata rivista e riletta in vari e diversi modi, dedicando maggior attenzione alla diversificazione delle attività, allo studio del confine permeabile fra lavoro agricolo ed industriale, e tutto con un interesse crescente verso la cultura dei lavoratori. In questa ricostruzione, ancora in corso, la storia dei distruttori di macchine offre un buon osservatorio per riconsiderare la singolare esperienza degli operai del XIX secolo a fronte delle mutazioni in corso nelle loro attività e nel loro modo di vita. E' stata la storiografia sociale britannica degli anni '50 e '60 del secolo scorso, con Eric Hobsbawm ed Edward Thompson, a richiamare l'attenzione su questo fenomeno, e sulla sua espansione in Inghilterra, prima che lo sguardo si rivolgesse verso il continente.
Tra la fine del XVIII secolo e la metà del XIX, alcuni gruppi operai, diversi e dispersi, scelgono a tutti gli effetti di distruggere la meccanica, per far sentire la loro voce e le loro rivendicazioni. Gli operai tessili filatori del Lancashire - l'epicentro della "rivoluzione industriale" inglese - si rivoltano in più riprese alla fine del XVIII secolo, così come fanno i loro omologhi in Normandia, all'inizio della Rivoluzione francese. Nei documenti redatti nel 1789, è denunciata "la meccanica del cotone" che "piomba il popolo nella più terribile povertà". All'inizio del XIX secolo, è la volta dei tessitori e, soprattutto, gli operai qualificati e ben pagati dell'industria laniera, di ribellarsi contro meccanica "assassina di braccia". La distruzione delle macchine raggiunge il suo apogeo all'epoca del luddismo (1811-1813) in Inghilterra, anche se questo famoso episodio insurrezionale non può essere ridotto alla denuncia contro le macchine e la meccanizzazione. Durante la Restaurazione, sono gli operai dell'industria laniera in crisi della Languedoc a sollevarsi contro la «grande tondeuse», una macchina formidabile che nel giro di pochi anni ha reso inutile la loro antica esperienza. Nel 1819, all'annuncio dell'arrivo di una di queste macchine a Vienne, Isère, in Francia, gli operai denunciano il suo procedimento, che permette a solamente quattro uomini di "lucidare e spazzolare mille capi di biancheria in dodici ore". Quando alla fine la macchina arriva, la popolazione se ne impadronisce e la distrugge, prima di gettarne i pezzi nel fiume.
Ma i problemi non si limitano solo agli operai del settore tessile. All'indomani delle rivoluzioni del 1860 e del 1848, in Francia, alcuni tipografi vanno in corteo verso le tipografie dove lavorano per distruggere le presse meccaniche recentemente installate nei laboratori. Anche altri lavoratori esprimono il loro disaccordo con la violenza: i fabbricanti di coltelli dell'Aube negli anni 1840, i taglialegna, ma anche i lavoratori rurali che si sollevano a più riprese contro le mietitrebbia meccaniche, le prime macchine agricole a penetrare nelle campagne del XIX secolo.

Questi diversi eventi, insieme ad altri, si presentano sotto due logiche distinte. Possono corrispondere - secondo la celebre formula di Hobsbawm - a delle forme di "contrattazione collettiva per mezzo della rivolta", in un'epoca in cui ogni forma di protesta e di organizzazione operaia è illegale. Minacciando i mezzi di produzione, significa fare pressione sul padrone per ottenere salari migliori e/o migliori condizioni di lavoro. Ma in numerosi casi, la distruzione delle macchine rivela un vero e proprio rifiuto della meccanica e dei suoi effetti sociali. Le violenze si verificano, principalmente, in quei gruppi che dispongono di risorse sufficienti per resistere alla trasformazione industriale, o in quei territori in crisi, caratterizzati da una forte pressione sul mercato del lavoro.
Contrariamente alle descrizioni e alle interpretazioni proposte da molti storici contemporanei, la distruzione delle macchine non si esaurisce solo nello scatenamento di una violenza distruttrice ed arcaica, a delle forme di jacquerie industriali di gruppi che devono essere civilizzati nel momento del progresso.
L'uso della violenza viene costantemente sorvegliato e controllato dagli stessi lavoratori, al fine di minimizzare il rischio dell'azione. Inoltre, la violenza in realtà non costituisce altro che la parte emergente dell'iceberg, quella parte che viene vista più agevolmente dagli storici. Ma i lavoratori utilizzano tutte le risorse disponibili nella società civile per costruire la legittimità della loro causa, e delle loro azioni, in faccia al potere. Si mettono in moto delle argomentazioni complesse per giustificare il rifiuto della meccanica; vengono redatte delle lettere di minaccia e di spiegazione, delle petizioni. Le argomentazioni si articolano intorno ad alcuni concetti chiave, di "bene comune", di "buon diritto", di "equità". Come ha scritto un tipografo, in un opuscolo pubblicato per spiegare le distruzioni nel corso della rivoluzione del luglio 1830: "Le macchine, più voraci dei mostri sconfitti da Ercole sono contrarie all'umanità, ai diritti della natura e dell'industria e all'interesse generale dei membri della società". Si fa appello all' "interesse generale" e si approfitta dei contesti rivoluzionari per legittimare le azioni. Ed è così che dopo il febbraio del 1948 i problemi aumentano in Francia, e gli operai si mettono sotto la protezione della Repubblica e dei suoi simboli. Lungi dal rifiutare in blocco il "progresso tecnico", cosa che non avrebbe molto senso per dei tecnici e per degli operai altamente qualificati, i lavoratori elaborano piuttosto delle forme di "economia politica" alternative a quelle che vengono man mano imposte dagli economisti liberali e dai riformatori sociali. La mano d'opera immagina tutta una varietà di strumenti e di argomenti per regolare i cambiamenti tecnici, e per negoziare con le autorità e le èlite le trasformazioni in corso. Si può trattare di fare appello alla tassazione dei nuovi metodi meccanici, di commissioni incaricate di studiare gli effetti delle macchine, oppure, cosa ancora più fondamentale, dopo il 1830, di fare appello alle associazioni e alle organizzazioni operaie per cercare di padroneggiare il cambiamento tecnologico e metterlo al servizio delle classi popolari.

La storia della distruzione delle macchine, proprio a causa dell'opacità di queste violenze, è stata fatta oggetto di numerose interpretazioni e strumentalizzazioni contraddittorie. Ci sono quelle degli economisti liberali e quelle dei tecnocrati, che vedono nelle macchine una promessa di avvenire e vedono in quelli che vi si oppongono, degli ignoranti che si muovono controcorrente nella storia e nelle leggi di mercato, e poi ci sono i radicali e i repubblicani, per i quali solo l'organizzazione politica conta. Come afferma il giornale "La Réforme", nel 1848, quelli che "si lasciano andare all'olocausto delle macchine, si ingannano sul loro vero nemico": per il giornale repubblicano, la tecnologia industriale non è responsabile della miseria, il nemico degli operai "è il governo feudal-industriale". Per loro, il riconoscimento della sovranità popolare e del suffragio universale sopprimeranno naturalmente gli effetti nefasti della meccanica.
Ci sono poi le interpretazioni dei nascenti movimenti socialisti, in cerca di legittimazione, quelle dei "falansteriani", del comunista Étienne Cabet, e dello stesso Marx! Per tutti questi autori, la distruzione delle macchine sono la prova della mancanza di organizzazione dei lavoratori. Scrive Marx nel "Capitale": "Ci vuole tempo ed esperienza prima che gli operai, dopo aver imparato a distinguere tra la macchina ed il suo uso capitalista. dirigano il loro attacco, non contro i mezzi materiali di produzione ma contro il modo sociale di sfruttamento". Per il nascente pensiero socialista, sono le forme della proprietà e dell'organizzazione del lavoro che devono essere cambiate al fine di addomesticare le macchine. Nel movimento operaio di fine secolo, in odore di essere istituzionalizzato, la questione delle macchine continua ad essere dibattuta e discussa, ma viene ormai lasciato ai sindacati il compito di organizzare i negoziati per le condizioni accettabili in termine di salario o di organizzazione del lavoro.

Il fenomeno della distruzione delle macchine nel corso della prima industrializzazione permette in definitiva di dare seguito a quei negoziati complessi che si giocheranno intorno ai cambiamenti tecnologici all'inizio dell'età industriale, mostrando che i dominati non sono semplicemente un ricettacolo passivo di trasformazioni industriali, ma che essi creano costantemente le condizioni della possibilità di un cambiamento, certo, squilibrato e modesto, però ben reale. Da allora queste violenze accompagneranno sempre i processi di organizzazione dei lavoratori, riflettendo le discussioni, fatte dagli stessi operai, sul lavoro e sui tentativi di far sentire le loro voci sempre rifiutate e marginalizzate. E' questo forse, per la nostra epoca, uno dei principali insegnamenti di tali episodi conflittuali, se li riferiamo al corso dei mutamenti radicali del lavoro e della sua organizzazione.


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