C’è del movimento, nel movimento enocooperativo trentino. Almeno sembra di capire questo a leggere le cronache di questi giorni. Da nord a sud, da Mori a Mezzolombardo, le assemblee dei cooperatori dimostrano una certa vivacità.
Nella borgata lagarina, la base sociale ha bocciato per la seconda volta consecutiva – due assemblee straordinarie in un mese -, la forzatura, leggi modifica dello statuto, con la quale il CdA, alla vigilia della scadenza del vice presidente e del presidente, avrebbe voluto elevare da tre a cinque il limite dei mandati per gli amministratori. I soci hanno detto no, in nome del ricambio. Hanno fatto bene, hanno fatto male? Non so, non sono di quelli che pensano che il ricambio delle classi dirigenti, soprattutto quando l’orizzonte è nebbioso, sia un valore di per sé.
A Mezzolombardo, l’assemblea finisce quasi in rissa. Il presidente viene riconfermato dai soci, ma la maggioranza del CdA dichiara di aver votato per l’altro candidato. Che era già stato presidente della Coop per nove anni.
Segnali di una cooperazione vivace, che discute e che si confronta. E che vota, infrangendo il tabu degli unanimismi più o meno bulgari. Buon segno.
Le cronache, tuttavia, non si preoccupano di raccontare al lettore i punti di vista differenti fra le fazioni che si fronteggiano. Il valore in gioco sembra sia solo ed esclusivamente quello del ricambio: del noi al posto di loro.
Non emergono discussioni e non si segnala un confronto sulle politiche vitivinicole, sul futuro delle coop di primo grado, sulla visione di territorio e sul dogma delle varietà.
Però c’è del movimento e questo, ripeto, mi pare già un bel segnale. Soprattutto perché arriva da coop almeno apparentemente in buona salute: a Mezzolombardo le rese medie a quintale restano sopra i 100 euro, a Mori sfiorano i 90 euro. E si discute. Buona cosa.