Il 2010 ha visto la nascita di un nuovo soggetto organizzativo del cinema indipendente, che si è dato il nome di Artisti Indipendenti 2010. Altri ne sono sorti negli anni passati, come il movimento dei 100 Autori, ancora attivo oppure Consequenze, sorto qualche anno fa e presto tramontato. A questi si devono aggiungere anche piccoli esperimenti settoriali come Poverania, nell’ambito della distribuzione, e molti altri ancora.
Di ognuno di questi è giusto andare a studiare la piattaforma delle rivendicazioni e le proposte di ristrutturazione del sistema cinema. In alcuni casi si afferma la necessità dell’intervento pubblico nel sostegno al cinema di qualità per fornire la disponibilità di budget comparabili al cinema main stream, in altri si privilegiano le strutture che permettono l’ampliamento della base produttiva cinematografica, magari abbassando i costi di produzione delle singole opere. A prescindere dalle specificità di ogni singolo movimento, è evidente che il loro stesso insorgere rappresenta il sintomo di un profondo malessere degli operatori del settore e, ancor di più, della necessità di riflettere sul concetto cinema.
Oggi il cinema rappresenta la frontiera più calda su cui si confrontano arte e intrattenimento. Fare un film significa coinvolgere decine di professionalità, ingenti capitali, tempi lunghi, complessi sistemi distributivi. I nodi da sciogliere sono ancora numerosi, tra i principali: separazione delle problematiche sindacali da quelle artistiche, coniugazione del concetto di indipendenza con quello di qualità, individuazione delle preminenze di valore nel film (sceneggiatura, regia, strumentazione tecnica, interpretazione, etc) e dei criteri di valutazione (autoreferenziale, del pubblico, dello stato, della critica).
È importante capire che salvare l’industria cinema, sebbene utile, non significa automaticamente salvare il valore artistico del cinema. Va pienamente riconosciuto il lavoro, anche nei casi della completa autoproduzione, dove il lavoro non retribuito deve generare diritti di proprietà sull’opera. Sebbene l’esistenza del cinema d’intrattenimento e di quello artistico sia certa, meno certa è l’individuazione della frontiera di separazione: anche senza pretendere di poterla individuare, occorre stabilire dei criteri di gestione dei due concetti. Alcune riforme sono urgenti. Per quanto concerne la parte dello Stato è fondamentale che le commissioni di giudizio siano totalmente sganciate dal potere politico, in quanto il rischio non è la periodica gestione reazionaria ma le certe e continue operazioni clientelari. Lo stato deve diversificare le forme di intervento, che non deve essere solo di tipo economico, durante la produzione, ma deve prevedere anche forme di distribuzione, su tutte le piattaforme e ad ogni livello.
I nuovi soggetti in difesa del cinema dovrebbero strutturarsi in forme organizzate permanenti, capaci non solo di effettuare proposte, ma anche di gestire spazi di produzione, distribuzione e promozione. L’avvento delle tecnologie digitali ha abbassato i costi di produzione al punto di permettere a un film indipendente di poter essere auto-prodotto dagli autori e dalle maestranze; pertanto il cinema oggi è non solo un settore produttivo dell’economia, ma anche un ambito culturale che esiste pure nell’attesa e nell’incertezza di diventare formalmente un soggetto economicamente produttivo. È il caso di ricordare che nelle nostre società i fattori oggettivi della produzione sono fortemente anticipati, alimentati e sostenuti da forme di creazione che non sono riconosciute dall’economia ufficiale, ma che a questa forniscono linfa vitale. È compito dello Stato riconoscere questo ruolo, e ai nuovi soggetti di rappresentanza spetta il compito di battersi per affermare i diritti di creatività di chi opera nel settore, pur non essendo stato cooptato dalle caste chiuse del cinema.
Pasquale D’Aiello