Movimenti e casini per la vita

Creato il 20 ottobre 2012 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Invece della vibrante risposta promessa dalla consigliera Puppato, che si sentiva “diffamata” dall’accusa di avere spalancato porte già aperte a movimenti intenti a cancellare in vario modo una legge dello Stato, che difende le donne dalla clandestinità e dall’ennesima speculazione sul loro corpo, ci arriva notizia dell’inevitabile offensiva dei movimenti della vita, compiaciuti e energizzati da nuovi e inediti consensi.
Pubblico ci informa che il Movimento per la Vita ha presentato le sue non sorprendenti proposte in occasione della presentazione del Rapporto al parlamento sull’attuazione della legge 194: consultori familiari come strutture per l’accoglienza della vita e per la prevenzione dell’aborto e riconoscimento della capacità giuridica dei bambini al momento del concepimento, e non più della nascita: l’immarcescibile Casini – Carlo, ma è un particolare trascurabile, immaginando l’unità di intenti, di pensiero e di azione dei due omonimi- coglie l’occasione opportuna per sollevare il dubbio che le interruzioni volontarie di gravidanza non siano diminuite grazie alla legge.
Macchè, secondo il Casini si è semplicemente sostituito un omicidio ad un altro: “In un anno vengono vendute circa 380 mila confezioni di pillola del giorno dopo …. Dobbiamo chiederci in che percentuale la loro assunzione, intervenendo su un concepimento avvenuto, determina la morte del concepito».

Ecco perché, in base ai dati dell’Aigoc, l’Associazione Ginecologi e ostetrici cattolici, secondo Casini sono 70mila gli aborti «causati» dalla pillola del giorno dopo. Due dunque gli interventi prioritari da attuare prima della gogna e della lettera scarlatta per le sciacquette che dopo essersi divertite vogliono disfarsi del frutto delle scarse cautele: cambiare l’articolo 1 del codice civile, riconoscendo la capacità giuridica di “persona” al momento del concepimento e cambiare la legge 194, cosicché “se una donna vuole abortire si rivolge al medico dell’ospedale dopo un’autocertificazione che attesti che si è rivolta a un consultorio”.
E non è arduo immaginare il carattere inquisitorio e tribunalizio che, grazie a infami sostegni esterni, assumeranno sempre di più i consultori, per quanto riguarda non solo l’interruzione di gravidanza ma l’intero arco dell’esistenza, che affronti verranno perpetrati alla dignità delle donne e a quella di tutte le persone, condannate a un modello di vita e di morte di “parte”, ispirato dalla repressione dell’autodeterminazione, della libertà, delle inclinazioni e della personalità.

Mi è capitato già di esprimermi a proposito della laicità, che dovrebbe essere l’abbandono di pregiudizi ideologici o confessionali, compresi quelli di genere. Il “politicamente corretto” inesorabilmente scivola nel perbenismo e nell’ipocrisia, anche presso un pubblico apparentemente illuminato, come è successo proprio nel caso della legge del Veneto, che in molti abbiamo denunciato come oscurantista, e l’apporto dato e rivendicato dalla Puppato, ancora più riprovevole, proprio perchè veniva da una donna.
Ma è solo uno degli esempi dell’irruzione e dell’occupazione del “perbenismo” di genere, che passa per l’aspettativa indulgente nei confronti dell’operato di ministre piangenti, per l’accettazione cieca e fiduciosa di qualsiasi imprudenza o ignominia provenga da una donna, che si accredita più per la sua appartenenza di genere che per la competenza, per arrivare perfino a una beota accondiscendente assoluzione di scriteriate ma oculate ragazze che hanno scelto letti, magari di Putin, per affermare la loro esuberante personalità e conquistarsi vitalizi e beni al sole.

Così abbiamo visto sorprendenti estimatrici della Minetti insorgere contro la battuta di chi ne immaginava una carriera come protagonista di un film di Brass, che peraltro dopo le sfilate in mutande di peluche assumerebbe comunque le fattezze di una insperata promozione.
E altrettanto scandalo è stato sollevato ieri, in risposta alle critiche rivolte al Ministro Ornaghi, di solito letargico, per aver trovato una inattesa vitalità nel sostituire l’autorevole Pio Baldi al Maxxi con la Melandri, che ha rivendicato la commovente qualità della sua nomina, riconoscimento della sua competenza (sic) come “mamma del museo”.
Si ha detto proprio così, “sono la mamma del Maxxi”, non il ministro che ne ha facilitato la realizzazione, no, e non ha ricordato, una volta passata all’opposizione, i suoi interventi in Parlamento e fuori per valorizzarlo e promuoverlo. Probabilmente perché non ci sono e la mamma si è rivelata snaturata almeno fino a ieri, quando ha raccolto i fruttuosi risultati di un atteggiamento nei confronti del potere e delle relazioni che noi, femministe di una volta, avremmo definito spregiudicato e sopraffattore, insomma, maschilista.
In tempi di eclissi dei diritti e della libertà, sarebbe raccomandabile scegliersi altri obiettivi della propria rivendicazione e altri testimoni delle istanze di dignità. Per esempio, oggi, a San Giovanni, c’è da scegliere.


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