Movimenti rosso-bruni in Italia

Creato il 03 aprile 2014 da Casarrubea

Nell’ambito delle nostre ricerche sui movimenti rossobruni ci siamo imbattuti nell’editoriale Asefi-Terziaria (il cui sito http://www.asefi.it non è però ora più disponibile) che, pur non essendo molto nota al grande pubblico, svolgeva un’attività intensa ed interessante. Oltre alla stampa di testi di politica e filosofia, si occupava dell’organizzazione di mostre d’arte e pubblicava in rete un bollettino di informazioni librarie, culturali e politiche, introdotto ogni volta da un intervento del suo direttore Gianfranco Monti, con dibattiti sugli argomenti trattati. Il simbolo della casa editrice Terziaria è una sorta di ammonite, la conchiglia fossile che ricorda un po’, nella grafica, quelle strane conchiglie che apparivano su alcune delle bandiere nere dei Black bloc che sventolavano a Genova nel luglio 2001.
Gli autori presenti in queste collane sono di provenienza variegata e di un certo spessore. Troviamo infatti Regis Debray (l’intellettuale francese che divenne famoso negli anni ‘60 per il saggio “Rivoluzione nella rivoluzione?” e che fu arrestato in Bolivia mentre teneva i contatti con il “foco” guerrigliero di Che Guevara: sulla correttezza del suo comportamento nell’occasione furono sollevati molti dubbi, mai chiariti, e negli anni più recenti Debray si è allontanato da posizioni “di sinistra” per abbracciare contenuti conservatori); Alain de Benoist (il filosofo della nouvelle droite francese); Gianfranco de Turris (il prolifico giornalista RAI specializzato in esoterismo e divenuto famoso per “Politicamente scorretto” con prefazione di Marcello Veneziani); Lucio Lami, corrispondente di guerra del Giornale e poi direttore dell’Indipendente. Spicca però tra questi il nome di Claudio Mutti, il seguace di Jean Thiriart e del nazionalbolscevismo, già collaboratore di Franco Freda e poi militante in Lotta di popolo che è stato coinvolto in varie inchieste per gli attentati rivendicati da Ordine Nero e per la strage di Bologna (sempre prosciolto); fondatore e direttore, dagli anni ‘70, della casa editrice Edizioni del Veltro di Parma, convertitosi all’Islam nel 1985, oggi dirige la rivista Eurasia, la testata più importante della galassia rossobruna. E proprio attraverso il bollettino online dell’Asefi Mutti dibatteva, assieme a Franco Damiani (l’insegnante mestrino che sostiene la teoria dell’inesistenza delle camere a gas nei lager nazisti e che il campo di sterminio della Risiera di San Sabba a Trieste sia un “falso storico”), sulla libertà di insegnamento a seguito della pubblicazione del libro “La contesa di Parma”, testo recensito addirittura dalla Sentinella d’Italia, rivista neonazista monfalconese.
Il direttore dell’editoriale Asefi, Gianfranco Monti, è deceduto nel 2003, ed a questo proposito leggiamo un intervento piuttosto inquietante di Melchiorre Gerbino da Calatafimi (TP), autore di un libro pubblicato con l’Asefi: “Gesù Bambino mi vuole terrone”. Gerbino scrive che Monti fu trovato morto l’8/12/03 “su una rampa di scale di un condominio di Via Volta in Milano, dove possedeva un appartamento (…) a meno di 3 mesi dalla pubblicazione del saggio”. Saputa la notizia Gerbino si recò a Milano per il funerale, ma Monti “tre giorni dopo il trapasso, non riposava nel rigor mortis, come sarebbe stato normale trovarlo, ma aveva i tratti del viso stravolti, e una benda era stata posta sulla sua bocca a celarne la smorfia”: e la vedova gli avrebbe detto: “Vedi com’è diventato viola !?”. Gerbino conclude dicendo che non fu fatta l’autopsia ed il corpo di Monti fu cremato il 17 dicembre, “fuori dalla tradizione familiare”, forse perché la vedova aveva ricevuto qualche “consiglio”: e che se Monti è stato assassinato “lo è stato perché calasse il silenzio” sul libro di Gerbino, anche se, “prima che fosse sospesa la partita, la Asefi-Terziaria inviava e-mail del saggio ai maggiori quotidiani del mondo, che li recepivano” (http://www.melchiorre-mel-gerbino.com/Pagine/Il_Nanerottolo_Romano.htm).
Il “saggio” di Gerbino è reperibile in rete ed in sintesi non è altro che un pesante attacco alle gerarchie cattoliche vaticane (a noi è parso piuttosto sconclusionato, il che tra l’altro non depone a favore dell’attendibilità della descrizione della salma di Monti fatta da Gerbino); ma è stato attraverso il sito dell’autore (http://www.melchiorre-mel-gerbino.com/) che abbiamo scoperto il ruolo da lui ricoperto nel movimento dei Provos italiano.

Il movimento Provos (provocatori) nacque nei Paesi Bassi nel 1966 e la sua filosofia (leggiamo in wikipedia) “si proponeva di indurre l’autorità a rispondere violentemente ad azioni non violente; le tematiche da loro sostenute anticipavano le battaglie contro il consumismo e per l’ecologia che si affermeranno nel decennio successivo”. Pacifisti ed antimilitaristi, si ispiravano al movimento beat ed ai movimenti americani contro la guerra nel Viet-nam.

In Italia il movimento fu “importato” dal milanese Vittorio Di Russo, che il 4/11/66 nel corso di una manifestazione antimilitarista stracciò il passaporto per dichiararsi “cittadino del mondo”. In quel periodo nacque la prima rivista underground italiana, Mondo Beat, i cui animatori furono oltre a Di Russo, proprio Melchiorre Gerbino detto Paolo, Renzo Freschi, Gennaro De Miranda ed il finanziatore, Umberto Tiboni.
Ed è lo stesso Gerbino che scrive nel proprio sito: “Vittorio Di Russo portò la fiaccola dell’incendio da Amsterdam a Milano e Giuseppe Pinelli la rinfocolò”, ciò perché Mondo Beat ebbe il sostegno della sezione anarchica Sacco e Vanzetti, tramite Giuseppe (Pino) Pinelli e Gian Oberto (Pinky) Gallieri. Quest’ultimo aveva fondato il Gruppo Provo Roma 1 assieme al futuro editore di Stampa alternativa Carlo Silvestro ed “era uno dei personaggi più carismatici della rivolta giovanile nonviolenta. Teneva i contatti tra i gruppi libertari italiani e quelli europei. Aveva partecipato al Movimento Provo in Olanda”. Quanto a Pinelli, prosegue Gerbino, “aveva apprezzato subito Mondo Beat, per la capacità con cui una cinquantina di giovani si radunavano a ogni richiamo e a tempo indeterminato, quando altrimenti nelle sezioni giovanili dei partiti era un’impresa radunarne una ventina. Coi radicali e gli anarchici Mondo Beat legava”, e difatti fu nella sede del Partito radicale che si ritrovarono, ai primi di dicembre 1966, Mondo Beat, ed i due gruppi dei provos: i romani di Gallieri ed i milanesi di Onda Verde. Questi ultimi facevano capo ad Andrea Valcarenghi (il primo obiettore di coscienza politico italiano e futuro fondatore della rivista Re Nudo) e Gian Franco Sanguinetti (che poi farà parte del movimento situazionista italiano).
Il primo numero di Mondo Beat fu stampato “con l’assistenza di Giuseppe Pinelli (…) nella sezione Sacco e Vanzetti con un ciclostile a manovella. Alla stampa concorsero Gunilla Unger” (la moglie svedese di Gerbino che lavorava “da dieci mesi come segretaria in uno studio legale italo-americano, adiacente a Piazza del Duomo, di cui era titolare l’ avvocato Pisano, un amico italo-americano” del padre di Gerbino) ed ancora Carmen Russo, Giuseppe Pinelli, Umberto Tiboni, Gennaro De Miranda e Melchiorre Paolo Gerbino. La Sacco e Vanzetti offrì a Mondo Beat la carta per la stampa”.
Successivamente si unì a loro un’altra collaboratrice: “a casa di Melchiorre Gerbino e Gunilla Unger arriva Tella Ferrari, una giovanissima studentessa israelita che porta poesie e si propone per il lavoro di redazione della Rivista”.
Prima di proseguire va precisato che il Circolo Sacco e Vanzetti, fondato nel 1965 e situato in piazzale Murillo diventò Circolo del Ponte della Ghisolfa (sempre con Pinelli tra gli organizzatori) il 1° maggio 1968, con sede in piazzale Lugano.

In un successivo numero di Mondo Beat comparve anche “un articolo di Ivo della Savia, giovane anarchico obiettore di coscienza al servizio militare obbligatorio”. Della Savia era un obiettore di coscienza un po’ particolare, in quanto era stato coinvolto giovanissimo negli attentati di protesta per le condanne a morte eseguite in Spagna contro antifascisti, e dopo la strage di piazza Fontana confessò alla polizia belga (si era trasferito in Belgio nell’ottobre 1969) di avere lasciato, prima di andare all’estero, dell’esplosivo al Circolo 22 marzo (il circolo romano di Pietro Valpreda, ma infiltrato dal neofascista Mario Merlino che aveva fatto parte del viaggio-studio sulle tecniche di infiltrazione svoltosi in Grecia nel 1967, e dall’informatore della polizia Salvatore Ippolito). E qui facciamo una digressione, prendendo in mano lo studio dello storico Egidio Ceccato, che nel libro “Il provocatore” (edito da Ponte alle Grazie nel 2013) ha ricostruito la figura di Berardino Andreola, l’agente ex repubblichino probabilmente affiliato alla Rete Gehlen (promossa dai servizi statunitensi che nel dopoguerra aveva riciclato moltissimi esponenti nazifascisti da usare in funzione anticomunista in Europa), che si infiltrò nei gruppi anarchici e prese contatto anche con l’editore Feltrinelli. Ceccato si è basato anche su documentazione rinvenuta dal giornalista Paolo Cucchiarelli in un fascicolo della Procura torinese relativo al processo alle Brigate Rosse: la trascrizione di un interrogatorio che il commissario Calabresi avrebbe fatto ad un sedicente emigrato friulano in Svizzera che si faceva chiamare Giuseppe Job Chittaro. Chittaro in realtà sarebbe stato Andreola, che si era infiltrato negli ambienti anarchici, vantando la presidenza di una “fantomatica” associazione denominata “Internacional group 2000” e partecipando all’occupazione dell’ex Hotel Commercio, che si trovava proprio in piazza Fontana. Sempre con questo nome aveva inviato una lettera alla Questura di Milano subito dopo la morte del poliziotto Antonio Annarumma (avvenuta durante gli scontri a Milano del 19/11/69 ed attribuita al comportamento dei manifestanti, anche se sembra che potrebbe essersi trattato di un incidente causato da un altro mezzo della polizia), nella quale avrebbe previsto “altre morti” causate dalla “sinistra”. Per questo motivo, all’indomani della strage di piazza Fontana il dirigente della squadra politica milanese Antonino Allegra inviò il commissario Calabresi a Basilea per interrogare l’informatore. E secondo le affermazioni di Chittaro Calabresi “continuava a insistere su tre elementi, Pinelli, Valpreda e Della Savia”, che sarebbero stati i responsabili della strage, mentre secondo le dichiarazioni del giudice Ugo Paolillo nel corso di un’intervista rilasciata al giornalista Paolo Cucchiarelli, l’interesse di Calabresi per queste tre persone sarebbe stato invece motivato da indagini su un traffico di armi, quello che si snodava tra la Svizzera ed il confine orientale e che avrebbe motivato la sua trasferta a Trieste un paio di giorni prima di essere assassinato.

Torniamo indietro al 1966, quando alla periferia di Milano, in via Ripamonti, il movimento beat aveva dato vita ad una comunità detta “il campeggio” (si trattava in effetti di una tendopoli) che fu soprannominata “Barbonia city” dagli organi di stampa. La tendopoli fu sgomberata dalla polizia il 12/6/67, con l’intervento degli operatori comunali del SID (servizio immondizia domestica), che usarono i lanciafiamme per raderla al suolo, e così commenta Gerbino: quando Di Russo “il 19 novembre del 1966 cadde nelle segrete della Questura di Milano, raccolsi io la fiaccola dell’incendio e la feci correre col mio passo, fino al 12 giugno del 1967, quando arse la stessa Tendopoli di Mondo Beat, Nuova Barbonia, la Fenice della Contestazione”.
E poi “il 19 novembre 1966, nello stesso frangente in cui Vittorio Di Russo vi veniva arrestato, nei sottopassaggi della metropolitana di Piazza Cordusio appariva Antonio Sottosanti, Nino il Fascista. Sottosanti dall’attributo fascista si sentiva però sminuito e ci teneva a dichiararsi mussoliniano, figlio di martire fascista. 38 anni, di statura media, energico, bene educato, aveva vissuto ad Amsterdam nei momenti caldi della rivolta dei provos e amava documentarlo mostrando un quotidiano olandese nella cui prima pagina era riprodotta la foto di una sommossa di piazza dove in primo piano c’era la sua faccia che osservava (…) Anche se era chiaro come il sole che Nino il Fascista remava contro il Movimento, egli non poteva essere allontanato da Mondo Beat, come chiunque ne rispettasse le regole del non essere violento, non rubare, non drogarsi. Perciò tra Melchiorre Gerbino e Nino il Fascista si sarebbe instaurato un rapporto di apparente correttezza, quando in realtà Nino il Fascista avrebbe cercato di decifrare le intenzioni di Melchiorre Gerbino per riferirne in Questura, mentre Melchiorre Gerbino un paio di volte si sarebbe avvalso di lui per bluffare e mandare la Questura a ramengo”.
Gerbino aggiunge che sarebbe stato Sottosanti (che, ricordiamo, fu poi un frequentatore del Ponte della Ghisolfa, e probabilmente riuscì ad intrufolarsi tra gli anarchici proprio grazie ai suoi contatti con Mondo Beat) a causare la morte di Pinelli, avendolo convinto ad “andare a testimoniare in questura”, e che sarebbe stato Calabresi ad uccidere Pinelli “con un colpo di karate” (cfr. http://www.melchiorre-mel-gerbino.com/MondoBeat/MB04_Conferenza_europea_della_gioventu_anarchica.htm ), ma come sappiamo non è questa la ricostruzione ufficiale dei fatti,.
Sottosanti non era il solo fascista che frequentava Mondo Beat, perché (scrive ancora Gerbino) “all’interno del campo il picchiatore fascista Adriano Carminati teneva sollevata in aria la bombola di gas con la quale era arrivato alla Tendopoli quando si era presentato come cuoco, e minacciava di fare esplodere la bombola in un fuoco, che aveva acceso per l’occasione, se polizia e carabinieri non si fossero ritirati subito!”.
Dopo la distruzione di Barbonia city i promotori di Mondo Beat non volevano più far uscire la rivista, ma nel luglio 1967, dietro le insistenze di Gianni De Martino, Gerbino e gli altri lo autorizzarono a pubblicare un ultimo numero, che uscì grazie al contributo dell’editore Feltrinelli. Melchiorre Gerbino ha poi dato vita ad una pesante polemica contro De Martino (oggi scrittore, ha pubblicato libri proprio sul periodo di cui trattiamo), incolpandolo di vari delitti, da lui prontamente smentiti. Tralasciando le accuse più incredibili, riportiamo questa: “(De Martino) si autodefinisce top commentator e si millanta di essere stato uno dei fondatori (…) in realtà costui era una spia della Confessione Massonica di Piazza del Gesù (Vaticano) infiltratasi in Mondo Beat sette mesi dopo la fondazione, cioè poco prima che il Movimento venisse disciolto”.
Se De Martino sia stato un infiltrato massone non è dato sapere, però è vero che il suo nome risulta nell’elenco dei massoni italiani che si trova al link

http://www.centrostudimalfatti.org/cms/wp-content/uploads/2010/03/elenco-massoni-italiani.pdf.

Mondo Beat ebbe vita breve, tra il 1966 ed il 1967, ed in quel periodo promosse manifestazioni pacifiste con anarchici, radicali ed i già visti provos di Valcarenghi e Gallieri. Successivamente i protagonisti si sparpagliarono, Gerbino andò in Marocco con la moglie ed il figlio, seguiti da De Martino; De Miranda era rimasto vittima di un incidente stradale causato da una Ford Taunus che non fu mai identificata, e che all’inizio fu ritenuto intenzionale; Gallieri (che durante le perquisizioni seguite agli attentati del 25/4/69 rivendicò come di sua proprietà dell’esplosivo rinvenuto in casa di un anarchico, il che non depone a favore dei sentimenti “non violenti” del “personaggio carismatico”) continuò a frequentare il Ponte della Ghisolfa, ma entrò a far parte del circolo La Comune (che faceva capo a Giorgio Cesarano, uno degli intellettuali contattati da Giovanni Ventura nel corso delle sue pratiche di infiltrazione), e secondo la testimonianza di un altro militante del Circolo, avrebbe raccontato a Calabresi “cose piccole ma non abbiamo mai saputo cosa abbia raccontato” a proposito “del gruppo e del giro” (cfr. Paolo Cucchiarelli, Il segreto di piazza Fontana, Ponte alle Grazie 2010, p. 358).
Valcarenghi a sua volta fondò la rivista Re Nudo, che diede vita ai festival musicali omonimi, l’ultimo dei quali si svolse a Parco Lambro nel 1976, con i noti incidenti che fecero decidere all’ex promotore di Onda verde di chiudere anche quell’esperienza; nel 1973 pubblicò, con la casa editrice Arcana, “Underground: a pugno chiuso!”, con l’introduzione di Marco Pannella: il libro fu recensito sul Tempo del 4/11/73 da Pier Paolo Pasolini, che lo definì il “testo di un manifesto politico del radicalismo” ed estrasse alcune frasi dall’introduzione di Pannella, che andiamo a citare.
“Basta con questa sinistra grande solo nei funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste, nelle celebrazioni; tutta roba, anche questa, nera”; “Ma chi sono poi questi fascisti contro i quali da vent’anni vi costituite… in unione sacra, in tetro e imbelle esercito della salvezza?”; “dove sono mai i fascisti se non al potere e al governo? Sono i Moro, i Fanfani, i Rumor, i Colombo, i Pastore, i Gronchi, i Segni e – perché no? – i Tanassi, i Cariglia e magari i Saragat, i La Malfa”;“sotto la bandiera antifascista, si prosegue una tragica operazione di aggressione”;“in tutta questa vostra storia antifascista non so dove sia il guasto maggiore; se nel recupero… d’una cultura violenta, antilaica… per cui l’avversario deve essere ucciso o esorcizzato come il demonio… o se nell’indiretto, immenso servizio pratico che rendete allo Stato d’oggi ed ai suoi padroni, scaricando sui loro sicari… la forza… dell’antifascismo vero…”; “il fascismo è cosa più grave, seria e importante, con cui non di rado abbiamo un rapporto d’intimità”.
Sembra di leggere quelle prese di posizione dei giorni nostri, che negano la necessità dell’antifascismo ed accusano una non meglio identificata “sinistra” di non avere più senso di esistere, confondendo la sinistra con il Partito democratico. e del resto abbiamo visto che nel movimento beat non c’era la discriminante antifascista (ne faceva parte anche il “fascista mussoliniano” Sottosanti), così come alcuni settori anarchici e radicali sono anticomunisti.
Dopo il 1977 Valcarenghi “intraprese la strada della ricerca spirituale” diventando (come due altri ex “sessantottini”, Mauro Rostagno e Carlo Silvestro) discepolo di Osho Rajinesh; rientrato in Italia rilevò da Rostagno il locale, il Macondo, trasformandolo in un centro di meditazione spirituale, poi continuò l’attività giornalistica e nel 2006 riprese l’attività di editore della rivista Re Nudo e di una casa editrice con lo stesso nome.

Rostagno invece si trasferì a Lenzi (che si trova in provincia di Trapani, come Calatafimi) dove diede vita ad una comunità di recupero per tossicodipendenti, la Saman, ed iniziò la collaborazione ad una TV locale, dove denunciava le azioni mafiose. Trapani negli anni ’80 era un po’ nella bufera a causa delle indagini scaturite dalla scoperta del Circolo massonico Scontrino, definito dal magistrato Carlo Palermo “luogo di incontro e di raccordo di numerose logge occulte”, che vedeva la presenza oltre che di massoni, anche di mafiosi, trafficanti vari, agenti libici, e per le ripetute visite del Venerabile Licio Gelli in città. Rostagno aveva indagato sul Circolo Scontrino, ma aveva anche sospettato un traffico di armi che si sarebbe svolto vicino alla sua comunità, nella zona in cui era stata operativa la base di Gladio nota come Centro Scorpione. Secondo il giornalista Sergio Di Cori (cfr. “Delitto Rostagno. Un teste accusa”, Re Nudo 1997) Rostagno gli avrebbe detto di avere visto caricare casse di armi su aerei che poi partivano per la Somalia, allora in piena guerra civile, aggiungendo “li stiamo armando invece di aiutarli”.
Sarebbero stati questi i temi di cui Rostagno avrebbe parlato con il magistrato Giovanni Falcone nell’estate del 1988, due mesi prima di essere ucciso; ma va aggiunto che l’assassinio avvenne pochi giorni prima della prevista testimonianza dell’ex militante di Lotta continua al processo per l’omicidio Calabresi in cui erano imputati i suo ex compagni Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi.
L’inchiesta identificò dei presunti killer, legati ad un clan mafioso, ma le indagini (al momento in cui scriviamo non si è ancora giunti ad una verità giudiziaria) si allargarono anche nei confronti del “socio” di Rostagno nella comunità, Francesco Cardella, che fu accusato di traffico d’armi; furono poi indagati i dirigenti socialisti Bettino Craxi e Claudio Martelli per avere cercato di depistare le indagini (e noi ricordiamo che Sofri al momento dell’arresto era uno dei collaboratori di Martelli). C’è poi la dichiarazione di Renato Curcio, che ben conosceva Rostagno fin dai tempi dell’Università a Trento, nell’intervista rilasciata nel 1993 Frigidaire, che il delitto non era “imputabile alla mafia”, bensì a ragioni “inconfessabili” e “impossibili da raccontare”, ed il boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate, gli avrebbe detto, in carcere a Favignana, che l’assassinio di Rostagno “non è cosa nostra ma cosa vostra” (cfr. Paolo Cucchiarelli, op. cit.. p. 609).
Bisogna aggiungere infine che presso il Centro Scorpione fu operativo per un periodo il maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi, che fu poi ucciso proprio in Somalia, dove era stato inviato, nel 1993, prima di riuscire a parlare con la giornalista Rai Ilaria Alpi, che indagava proprio su traffici di armi e di rifiuti tossici che si sarebbero svolti con la Somalia e che fu a sua volta uccisa pochi mesi dopo, ancora in Somalia, assieme al suo operatore, il triestino Miran Hrovatin, gli ennesimi delitti sui quali non è mai stata fatta chiarezza.

Claudia Cernigoi


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