Buona
domenica a tutti, amici miei! Reduce da una settimana pesantissima,
ne approfitto di qualche ora di tempo libero per
presentarvi una nuova rubrica del blog. Il tema? Il cinema!Come
vi avevo anticipato nella recensione di The Impossible (qui)
abbiamo davanti un 2013 ricco di bei film, tratti da libri e non, e
la tentazione di parlarne con voi è sempre forte. Il vostro Mr. Ink,
così, per un paio di volte al mese, si trasformerà in Mr. Ciak
(ringrazio tantissimo la simpatica Sonia di Cuore d'inchiostro per
avermi suggerito il nome!) e, dal mondo dei libri, le recensioni si
sposteranno a quello parallelo, e altrettanto amato, dei film.Ad
inaugurare questa nuova serie di appuntamenti, un film in uscita a
Febbraio nelle sale italiane, ma già disponibile, in alcuni Paesi, in DVD.
L'atteso Anna Karenina,
il cui omonimo romanzo è ritornato nelle librerie qualche settimana
fa in una splendida e curatissima edizione edita dalla Garzanti (quila scheda), al
prezzo vantaggioso di € 9,90. Buon pomeriggio, M;)Non
si chiedeil perché dell'amore... La recensione Portare
sul grande schermo un capolavoro monumentale e celebrato non era cosa
da poco. Farlo avendo a disposizione appena due ore era impossibile.
Eppure, vedere sulla carta il nome di Joe Wright non mi ha fatto
dubitare un solo secondo della riuscita finale dell'opera.Dopo
essersi cimentato con Ian McEwan e Jane Austen, l'eccellente regista
di Espiazione ed Orgoglio e pregiudizio,
acclamato all'unisono nei suoi precedenti lavori da critica e
pubblico, incontra un altro mostro sacro. Forse, ancora più grande e
autorevole dei precedenti. Tolstoj.L'ultima
trasposizione cinematografica di Anna Karenina sembra
risentire – è vero - dei diversi tagli apportati alle 800 e passa
pagine del romanzo originale, ma vederlo risulta un'esperienza
straordinaria, non tanto per il cuore quanto per la vista. Sontuoso,
ricco, attento ai dettagli e alla fluidità dei passaggi da una scena
all'altra, si avvale di una colonna sonora impareggiabile, della mano
di un regista la cui classe è ormai assodata e di un cast originale
ed eterogeneo, al cui servizio vi è una sceneggiatura semplificata
ma efficace e un lavoro scenografico ai limiti della perfezione. I
protagonisti, belli come i protagonisti di un quadro, si muovono
all'ombra di uno scenario, infatti, che è una vera opera d'arte. Un
accurato lavoro di “trucco e parrucco” ci mostra un convincente
ed invecchiato Jude Law e un angelico ed affascinante Aaron Johnson
dai ricci biondo platino, ma la musa incontaminata di regista,
coreografi e sarti è senza ombra di dubbio lei: Keira Knightley.
Ogni volta che la vedo in un film ho come l'impressione che sia
sbucata da un dipinto, lasciando vuota e disabitata la tela di un
quadro antico. Pur non nel senso convenzionale del termine, è
semplicemente bellissima. Gelida, altera, risoluta, regale come una
duchessa d'altri tempi, lascia incantati e vittima di una sorta di
timida reverenza; la si guarda ad occhi bassi, come con una regina di
ghiaccio. La sua figura gracile e flessuosa è imbrigliata in
corsetti di pizzo, in intrighi di collane di perle e in sottane
ricamate ed infinite. Ha un metodo tutto suo di recitare, senza
eccessi o esasperazioni. Con un approccio molto british è
pacata sia nel dolore, sia nelle disperazioni dell'amore. Le urla
sono soffocate dalla serietà sua e del personaggio a cui dà il
volto, la passione scoppia senza troppe lamentazioni, le lacrime sono
nascoste dalla veletta scura del suo cappello, l'ombra di un treno in
corsa è un riflesso sulle gocce di cristallo del suo lampadario. La
sua è una Anna piena di dignità e fierezza: matura, silenziosa,
pacata e tragicamente umana. Aaron Johnson, giovane star in ascesa,
dà il suo bel volto e quegli occhi glaciali che bucano lo schermo al
personaggio dell'aitante Conte Vronsky, risultando capriccioso,
convincente e degna spalla della Knightley, qui, nel suo terzo film
con il regista. La radicale trasformazione del buon Jude Law, invece,
notevolmente imbruttito e quasi irriconoscibile nel ruolo del fedele
marito di Anna, non è all'altezza della sua parte, intensa ma
trascurata. Della sua carriera politica solo accenni vaghi, del suo
amore incondizionato e della sua fedeltà di vero borghese solo un
sentore che sono perlopiù gli spettatori a trarre dalla suggestiva
scena finale. Stesso discorso per la storia d'amore a lieto fine tra
Kitty e Levin che, pur costellata di momenti dolcissimi e poetici,
non si incastra perfettamente nel dramma personale dell'eroina
eponima e della quale, non avendo letto il romanzo, non ho compreso
la basilare rilevanza.Vittime
necessarie, tuttavia, in una dignitosissima trasposizione che non
poteva realizzarsi senza (perdonabili) imperfezioni di questo tipo.
Non ci sono vuoti, momenti di stasi: tutti sono alle loro postazioni,
tutti muovono i fili di un teatro, immaginario e non.L'elemento
più sorprendente del film è l'audace messa in scena. Pur avendo le
dimensioni di un kolossal, è girato quasi interamente in un teatro
di posa e, come all'opera, i personaggi si muovono in perfetta
sincronia, con grazia e musicalità, muovendosi su un palcoscenico
che diventa all'occorrenza una sala da ballo, l'interno di un treno e
di un ricco salotto, un prato in fiore... o l'ultima stazione. Di
grande spettacolarità e impatto la patinata scena del ballo tra Anna
e il suo Vronksy. Le altre coppie si immobilizzano letteralmente
mentre, abbracciati in un romantico e passionale valzer, seguono le
note dell'orchestra. Lui la solleva tra le braccia e tutto il resto
sparisce. Si percepisce il desiderio tra i due, la passione
distruttiva che scoppierà, l'urgenza di un bacio, l'imminenza del
dramma.Stesso
emozionante effetto nell'immagine di Karenin che, sullo sfondo dei
palazzi del Cremlino, fa in mille pezzi la lettera delirante di una
Anna ormai fiaccata, nel corpo e nella mente, dalla malattia. I
frammenti volano in alto, poi si riversano su di lui come neve di
carta pesta. Trattenuto, incessante, teatrale e raffinato, Anna
Karenina è la cronaca vista e rivista di un amore disperato, ma
che, sebbene arcinota, non rinuncia a regalare sorprese. Plasmato
come un'opera d'arte, è un moderato climaxdi sentimenti; un
trionfo di grazia e bellezza scandito dalle melodie del nostro Dario
Marianelli e dalla peculiare cifra stilistica di Wright, la cui mano
diventa sempre più riconoscibile di film in film e la sua “impronta”
più profonda. Il
mio voto: 3/5
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