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Vedendole per strada, probabilmente, penseresti a due sorelle. La più grande, che mostra appena un venticinque anni, seduce a ogni sguardo: le gambe lunghissime, i capelli corvini, il seno prosperoso, la pelle diafana. La minore, di circa sedici anni, è ancora una bambina: lo sguardo sperduto, gli occhi bassi, un cappuccio rosso calato sui capelli biondo cenere per non dare troppo nell'occhio. Sembrano giovani, sembrano sorelle. Ma hanno duecento anni e sono madre e figlia. Non sono umane, non più. Nessuno conosce la loro storia senza tempo, ma la piccola e fragile Ella, ogni tanto, la affida a parole che si perdono nel vento e ad anziani sofferenti che non supereranno la notte. Sono due vampire senza casa: costantemente in fuga, costantemente in pericolo. Vittime di uomini che le hanno sfruttate, ferite, sedotte e abbandonate, uccise. La seducente Clara uccide molti dei suoi amanti per ripagarli con la loro stessa moneta e utilizza il suo fascino mozzafiato per sopravvivere... e nutrirsi. Da quando, appena bambina, agli inizi dell'800, fu costretta a prostituirsi da un uomo crudele e senza scrupoli, fa il lavoro più antico del mondo e gestisce una ex pensione diventata una casa di piacere. L'insegna sbiadita e tremolante riporta il nome di una città antichissima, come lo sono lei e sua figlia: Byzantium, Bisanzio. I loro inseguitori, tuttavia, le hanno raggiunte attraverso una lunga catena di misteriosi delitti ed entrambe sono in pericolo, proprio come lo è il fragile amore di Ella, per la prima volta dopo duecento anni, innamorata di un umano che conosce il suo segreto più oscuro. Diretto da Neil Jordan, acclamato regista di film come il controverso La moglie del soldato, Byzantium è il ritorno dietro la macchina da presa di un grande professionista che non ha mai perso il suo tocco e il ritorno al cinema di vampiri malinconici e dannati come quelli di Intervista col vampiro. Le atmosfere tetre e caliginose dell'horror tratto dal best-seller di Anne Rice sono in ogni inquadratura, proprio come in ogni scena ci sono il sottilissimo erotismo, la violenza celata, i perfetti salti temporali e i rapporti morbosi così profondamente presenti anche tra i Lestat e i Lous di Tom Cruise e Brad Pitt. Il film ha un ritmo tutt'altro che frenetico, ma offre quasi due ore che scorrono senza che lo spettatore se ne accorga, ammaliato da una storia tanto strana, eppure tanto vera. Un velo nero da tragedia greca sembra premere sui personaggi e i numerosi flashback, in maniera efficace e delicata, ci trasportano in un passato remoto di innocenza perduta, cascate di sangue, superstizioni e isole maledette. Nonostante la presenza di ottimi interpreti maschili, tra i quali spiccano i bravi Sam Riley e Johnny Lee Miller, questo è un film di sole donne e narrato da donne sole. Donne forti, come lo sono tutte per la potenza della loro stessa natura: madri, figlie, amanti, vittime, vampire. Unite contro il resto del mondo, per un'eternità che è una condanna perpetua e non voluta; una maledizione. Straordinarie, dunque, sono le interpreti femminili. Saoirse Ronan cresce ad ogni film, fisicamente e professionalmente: è di una bravura indiscutibile, emoziona, commuove e, con i suoi occhi azzurri senza fine, incanta e disturba. Ancora una volta, la sua è una prova che meriterebbe di essere premiata. Se lei, tuttavia, è una conferma, Gemma Arterton è una folgorante e inaspettata sorpresa: bravissima. E poi, quant'è bella? Tanto, e in questo film sfoggia tutto il suo sex appeal, il suo carisma e il suo talento, in una prova struggente e toccante. Le due si rubano la scena a vicenda, fanno a gara a chi è più brava, litigano e si feriscono a suoni di egoismo e rivalse. Saoirse, per una volta, vorrebbe soltanto restare. Gemma, per una volta, vorrebbe essere soltanto una madre – apprensiva, fastidiosa, affettuosa – come tante. E, come tante mamme prima di lei, è alle prese con il compito più ingrato: lasciare che la sua bambina, dopo duecento anni insieme, voli via, libera come l'aria. Trascinante la colonna sonora, ben dosati i pochi effetti splatter, affascinanti le ricostruzione storiche e i dialoghi, perfetta la costruzione del dramma. Per me, è un gran film. Un gran dramma umano, prima di essere un gran film sui vampiri. La classe (e il sangue) non è acqua e Byzantium è uno di quei film che meriterebbe la giusta attenzione e un'ottima distribuzione. Come sempre, per il momento, in Italia ce lo siamo lasciati sfuggire e lo stesso discorso vale per il Passion di Brian De Palma, che – tra l'altro – ho trovato un tantino inferiore a questo. E' originale, è oscuro ed è umano, oscillante tra horror indipendenti come l'ottimo Lasciami entrare e storie forti e intense, come il conturbante romanzo di Alma Katsu, Immortal. Da vedere. Un film fragilissimo, che si basa su una trama fragilissima e sue due personaggi fragilissimi. E' lento, logorante, statico, disarmante. Ha l'impianto atipico di un film indipendente, con riprese talora tremolanti e una colonna sonora ridotta all'ossa, ma al suo esordio dietro la macchina da presa l'acclamato Derek Cianfrance ha a disposizione due attori semplicemente mostruosi. Semplicemente immensi. Ryan Gosling e Michelle Williams – per questo ruolo, candidata giustamente anche agli Oscar. Scelta geniale, vincente, azzardata. Due delle star più belle di Hollywood, simbolo per eccellenza del melodramma e della commedia romantica, vengono scelti per un film che si crogiola nel dramma più duro e che uccide i sentimenti. Ingrassati leggermente, imbruttiti, stanchi di fingere e di vivere, Ryan e Michelle sono bellissimi ugualmente, insieme. Il film narra due storie parallele. L'inizio e la fine di un amore. Non ci sono lieto fine. Vediamo i protagonisti dieci anni prima – innamoratissimi, folli, giovani – e poi li vediamo adesso – con una bambina, segreti sospesi, problemi grandi e piccoli. L'amore li ha resi più brutti, più cinici, più cattivi. Brutta bestia davvero i sentimenti umani. Ryan Gosling viene proiettato dal romanticismo spettacolare e commovente di Le pagine della nostra vita su un set che ha come sfondo una squallida e spenta periferia. Con i capelli o stempiato, bello o brutto, felice o depresso, lui è la stessa anima buona e romantica che aveva fatto innamorare tutti i giorni la Rachel McAdams della trasposizione cinematografica del bestseller di Sparks. Si sacrifica, accetta l'onta ma non rinuncia all'amore, cerca di rucire a suoni di poco convinti Ti amo quello che ormai è perduto nel fuoco. Fa pena, fa commuovere, fa sorridere mentre – giovane e stonato – canta una canzone d'amore alla sua anima gemella. Michelle Williams ha la parte più difficile. Verso di lui scatta la compassione, verso di lei l'odio. E' spietata, stronza, dura, realista. Lei è l'adulta, lui è il bambino che – per far ridere sua figlia – mangia la pasta con le mani o inventa fantasiose scuse per nascondere il più a lungo possibile la morte del loro cane. Lui è un personaggio a cui è facile volere bene, lei è facile da detestare. Eppure la vita è così. Certe strade sono fatte per separarsi per sempre. Blue Valentine è una storia come tante, ma di cui poco il cinema ha parlato. E pensare che ci sono voluti tre anni affinché fosse distribuito – male, tra l'altro – da noi... Perché la verità è brutta e, a volte, lo spettatore vuole solo dimenticarla. Un film bello, ma da vedere una volta e basta. Non credo reggerei alla seconda. Non credo che, fino alla fine, riuscirei a fare a meno di pensare a un epilogo diverso. Più fasullo, anche se più felice.
Con la Dimension di Piranha 3D e Scream a produrre ed Eli Roth nel cast e anche nelle vesti di produttore ufficiale, mi aspettavo che Aftershock fosse un horror tutto da ridere. Uno di quegli splatteroni talmente esagerati da essere perfino divertenti, con protagonisti appena abbozzati, situazioni assurde e trash, effetti truculenti a gogò. Il trailer americano, rigorosamente vietato ai minori, avvalorava decisamente le mie ipotesi. Sesso, alcol, droghe, aperitivi, ragazze in minigonne succinte, divertimento ed incubo sullo sfondo di uno scenario affascinante ed esotico: il Cile. La prima mezz'ora del film non mi ha fatto ricredere: tutt'altro. Tutto filava come da copione, se non per il fatto che le battute e i personaggi fossero leggermente più simpatici ed intelligenti di quelli degli horror standard. Un cast internazionale – con attori americani, spagnoli, ucraini e cileni – ben diretto dal giovane Nicola Lopez, perfettamente amalgamato ed inserito in un contesto scanzonato, ma lontano dagli eccessi e dalle volgarità più ovvie. La vera svolta arriva quando i protagonisti, impegnati sulla pista da ballo e in disastrosi tentativi di rimorchio, si trovano prigionieri dell'inferno. La terra trema, il mondo crolla, la violenza del terremoto si abbatte sul Cile. Era il 2010 e, nonostante numerose licenze, il film s'ispira a fatti realmente accaduti. Pensarlo mette i brividi e vedere i disastri della tragedia resi attraverso effetti speciali realistici ed interessanti ti rende parte di quello scenario di palme rigogliose, sangue, follia passeggera, tensione. Lo spirito iniziale – da commedia sopra le righe e un po' trasgressiva – cede il posto a un dramma umano sconvolgente, impressionante, profondamente emozionante. Come nello splendido The Impossible (guardetelo!), i protagonisti si trovano a dover combattere una battaglia persa in partenza con madre natura. Ma, tra strade disastrate, macchine accartocciate, gente nel panico, nessuno ha fatto i conti con il pericolo più grande. Perché alla furia della natura si può sopravvivere, ma non a quella umana. Dalle carceri ormai distrutte, la peggior feccia di galeotti si è riversata per le vie. Lo splatter viene utilizzato per mettere in evidenza la loro crudeltà, le loro malate voglie, il sangue di cui hanno sete. Per molti dei personaggi sopravvissuti al terremoto non ci sarà scampo. Il regista, attraverso uno splendido lavoro, ce li mostra mentre si scontrano con una violenza inenarrabile e mentre, da vittime, si scoprono anche capaci di essere carnefici. I fan del genere come me apprezzeranno certamente il realismo del tutto e l'originalità e l'efferatezza di alcune scene mostrate. E' un survival horror classico, efficace, ma è anche attento al dramma e ai colpi di scena. Cattivo, ignobile, terribile, cinico e realista, non risparmia lo spettatore neppure quando tutto sembra essere giunto alla fine. Accanto a Eli Roth - simpatico, disponibile e convincente -, un plauso obbligatorio per altri due membri del cast. Il primo, Nicolas Martinez, grassoccio, imbarazzante e rumoroso, mi ha ricordato inizialmente il mitico Alan di Una notte da Leoni, per per poi scoprirsi anche un comprimario ottimo, sensibile ed umano. L'altro complimento va alla bellissima Andrea Osvart, un'attrice ungherese, ma che consideriamo italiana di adozione dopo la sua partecipazione a Sanremo e a fiction Rai come La donna della domenica, Le ragazze dello swing, Pompei. Un inglese pressoché perfetto, un volto angelico ed acqua e sapone che buca lo schermo, un'espressività eccellente. Davvero notevole. Purtroppo, l'avevo sottovalutata. Come questo film.
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