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Se dico Tim Burton, cosa vi viene in mente? Nebbie e corsetti, ghirigori ed effetti speciali, atmosfere gotiche e personaggi bizzarri. Magari, la bruma della Londra vittoriana e il volto dell'affascinante Johnny Depp nascosto da strati di trucco ben fatto, che una volta ce lo trasformano nel Diabolico barbiere di Fleet Street, un'altra nel romantico, mostruoso e malinconico Edward Mani di Forbice. Quando penso a Tim Burton, invece, io penso a questo film, unico nel suo genere e splendido proprio per questo: Big Fish. Il meno celebrato, il meno noto, ma decisamente il più suo. Uno dei miei preferiti. In esso brilla forte il sole, i colori sono vivi e sgargianti, i campi sono invasi da asfodeli giallo canarino, i boschi nascondono pericoli striscianti e villaggi da sogno, la magia nuota in fotogrammi pieni di vita. La vita che, come primo motore immobile, informa di sé ogni cosa, piccola e grande che sia. Questa è la storia di Edward Bloom, dell'unica esistenza che visse e delle tante esistenze che sfiorò. Vita, morte e miracoli di un uomo che fu marito, padre, avventuriero, cantastorie, inventore. Un uomo che visse una vita incredibile, dentro e fuori la sua testa. Essere suo figlio non è mai stato facile per Will, uomo razionale e monolitico che, quando ne ha avuto la possibilità, è volato a Parigi, lontano da un padre anziano e malato, ma ancora intrattabile. Edward, da giovane, non c'è stato mai e ha sempre colmato le sue assenze con scuse inverisimili, che una volta lo vedevano a lavorare in un circo, un'altra in guerra contro i giapponesi, un'altra ancora a un'asta per comprare una città abbandonata. Fantasia e realtà si intrecciano nella lunga vita di quell'uomo, che seguiamo dall'infanzia alla vecchiaia con interesse immenso e con i brividi a fior di pelle, onnipresenti com'è la maestria e l'eleganza del regista. Come in una raccolta di novelle, in un'antologia perfetta, gli episodi si intrecciano in maniera splendida, formando ghirlande variopinte, corone di fiori, le fasce colorate di un arcobaleno perenne sotto cui si nasconde una pentola d'oro o un drago sputa fuoco. Dipende da cosa vorrà creare l'arma più potente a disposizione dell'uomo: la sua immaginazione. Un potentissimo e indistruttibile carro armato che spara margherite, rose e tulipani: non proiettili. Molto curata la fotografia, che mescola colori cupi a toni pieni di candore, sole e crepuscolo; sensazionale il cast, che, grazie a grandi e intense prove, sa riassumere e mettere a confronto due generazioni. Uno stanco e triste Billy Crudup è Will, il figliol prodigo che, con la sua consorte, interpretata da una dolcissima e giovanissima Marion Cotillard, ritorna al capezzale del padre morente, dove tutto ha avuto inizio. L'Edward Bloom schiacciato da una malattia di nome vecchiaia è Albert Finney e Sandra, la donna della sua vita, è la sempre fantastica e affascinante Jessica Lange. Le loro copie carbone, da giovani, sono Ewan McGregor e Alison Lohman, il cui magico primo incontro, avvenuto nel circo errante gestito da Danny De Vito, è pressoché indimenticabile. Il tempo si ferma, perché così deve essere quando sai che hai incrociato lo sguardo della tua anima gemella, e poi riparte, inaspettatamente, a velocità raddoppiata. Tra di loro si ci metteranno tre anni di lontananza, la guerra in cui Edward sarà dato per disperso, un romantico campo di asfodeli in cui lei gli dirà sì. Scena memorabile, come lo è quella in cui Jessica Lange, ridendo tra le lacrime, vestita di tutto punto, si sdraia nella vasca accanto a suo marito, con la telecamera che inquadra i loro piedi nudi ed intrecciati. Non potevano mancare cameo di tutto rispetto: Steve Buscemi, nei panni di un poeta poco... poetico, e Helena Bonham Carter, nel duplice ruolo di strega cattiva e ragazza innamorata. Big Fish è un contagioso inno alla fantasia e al miracolo della vita. Pirotecnico, spettacolare, commovente, è un trionfo. Un film da sogno. Per me, il capolavoro imbattuto di Burton, insieme al suo buon vecchio Edward mani di forbice.
Due stelle sul nostalgico viale del tramonto. Richard Burton ed Elizabeth Taylor. La coppia più bella, problematica e affiatata che la vecchia Hollywood ricordi. Un breve sodalizio artistico, un amore profondo che nemmeno il loro travagliato divorzio potè spezzare. Loro erano più di due semplici innamorati. Si appartenevano, si tempravano: erano amici grandi. L'elegante e validissimo film firmato dalla BBC, tanto bello da poter meritare anche la distribuzione nelle sale, a mio avviso, si focalizza su un periodo preciso delle loro vite. Gli anni '80 stanno finendo, una Taylor – ormai cinquantenne – sta invecchiando, Burton ha abbandonato il cinema per il teatro. Ma Private lives, un'importante produzione teatrale, li unirà ancora, portandoli a recitare sullo stesso palco e per la stessa platea, davanti a un pubblico più attirato dal gossip che da un copione frizzante e vivace che, forse forse, parla anche un po' di loro. Burton & Taylor è un film privato, intimo, dal tocco delicato e dal marcato umorismo british, più attento ai reali retroscena che alle luci della ribalta. E' intelligente e si avvale di un sublime script dai dialoghi brillanti e profondi che permettono all'abile regista di ricostruire una finzione sottratta silenziosamente alla realtà. Non ha il taglio amatoriale di un documentario, con le sue scene patinate e la sua fotografia limpida, ma è come se, per tutto il tempo, una telecamera fissa, puntata sui camerini delle star, riprendesse i corteggiamenti, le schermaglie e le debolezze dei due divi. Il Richard e la Liz di questo film sanno ridere del loro matrimonio fallito, delle loro rughe, delle recensioni negative. Forti, autoironici, sinceri, realistici. Tutto grazie a loro, Dominic West e Helena Bonham Carter: clamorosamente, sorprendentemente bravi. Straordinari. Lui, visto giovane e arzillo in 300, è invecchiato e ingrigito da un curato lavoro di make-up, ma il resto lo fa da sé: voce bassa e cavernosa, modi da galantuomo, un self control tipicamente anglosassone, le mani che tremano davanti a un bicchiere di alcool a cui rinunciare. Se la sua ottima prova è stata una sorpresa inaspettata, in quella di Helena ho trovato la meravigliosa conferma che cercavo. Vedendola sempre nei soliti ruoli bizzarri, legata anche lei sentimentalmente e professionalmente a un altro Burton (Tim), avevo dimenticato quanto fosse talentuosa e affascinante. Veste i panni di un simbolo mai tramontato e lo fa con bellezza, raffinatezza, umiltà, garbo. Alcuni giochi di luce e alcune acconciature le rendono incredibilmente simili, e sembra di vedere la vera Liz, davanti ai suoi capricci e ai suoi ritardi continui o quando, entrando in un ristorante, si procura gli sguardi incantati dei paparazzi, che hanno occhi solo per lei, mentre il forse più talentuoso ex marito vive nella sua ombra immensa. Un personaggio umano e tragico al tempo stesso, che fa ridere insieme a lei, mentre si diverte in mezzo a una folla che la ama, e fa commuove, mentre, sola, piange nel suo camerino vuoto. Supportato da due attori da Oscar, da una regia asciutta e da una coinvolgente colonna sonora, questo biopic si fa guardare con un sorriso e qualche brivido inevitabile. Degno di nota l'ultimo scambio di battute tra i due, sempre sospeso – come fu anche il loro rapporto – tra scherzo e verità. Da vedere! Basta una parola sola per descrivere tutto ciò che Le 5 leggende è: meraviglia. Meraviglia allo stato puro. Meraviglia incontaminata e vitale. Io sono un tradizionalista: amo i vecchi cartoni della Disney e, nella maggior parte dei casi, queste fiabe moderne di ultima generazione mi lasciano del tutto indifferente. E' per questo che, lo scorso novembre, quando questo film d'animazione è approdato in sala, l'ho del tutto snobbato. Come mio solito. In una sera di noia totale, su consiglio dei miei genitori, che l'avevano adorato come due bambini troppo cresciuti, ho deciso di vederlo. Ed è stato amore al primo fotogramma, credo. Perché, come dico sempre, quando una cosa è bella è bella. La bellezza di questo film non è nascosta, ma è ovunque, in ogni minuto e in ogni secondo della sua durata complessiva. Figlio di una fantasia senza limiti e di una resa originale e coraggiosissima, Le 5 leggende narra della lotta contro il male di alcuni, mitici personaggi che tutti noi conosciamo: Jack Frost, Babbo Natale, il Coniglio pasquale, la Fatina dei denti, l'Omino del sonno. Il loro nemico è l'uomo nero che sta strappando via i sogni ai più piccoli: Pitch Black. La loro missione è stanarlo e sconfiggere il buio. Difficile, dal momento che i nostri eroi formano una squadra particolare e male organizzata, ma del tutto adorabile. Quando Babbo Natale è un omone tatuato che sembra un magnate russo – con un colbacco rosso e una slitta che è una limousine ultratecnologica – e il Coniglio pasquale è un animaletto scontroso e alto quasi due metri, come può Jack Frost – un ragazzino vivace e dispettoso senza ricordi suoi – considerarsi uno dei Guardiani? Scoprirsi parte di quella famiglia di creature magiche sarà la sorpresa più bella, entusiasmante e avventurosa: con gare per aiutare la Fatina dei denti, sprovvista di valenti aiutanti, a sostituire i denti perduti da ogni bambino con una moneta, con la neve che cade a Pasqua, con l'Omino del sonno – un essere paffutello, dolce e... dorato – che tesse “sogni d'oro” per contrastare gli incubi alimentati da Pitch Black. Incubi che, in maniera intelligente e pregevole, sono raffigurati con cavalli neri e dagli occhi spalancati, proprio come nel capolavoro artistico di Fussli. Divertentissimo, ma anche coinvolgente ed emozionante, in 3D dev'essere uno spettacolo come pochi: anche con la mia comunissima TV ho percepito la grande cura dei dettagli e mi sono sentito parte della magia. Il motivo per cui non abbia vinto l'Oscar, a Febbraio, mi sfugge davvero. Poi, in lingua originale, i personaggi hanno le voci di doppiatori e un altro po': Hugh Jackman, Jude Law, Isla Fisher, Alec Baldwin, Chris Pine. Guardandolo, proprio come mi è capitato recentemente con Monsters University, mi sono sentito di nuovo piccino. Guardandolo, anche se era ancora estate, mi è sembrato che fuori fosse già arrivato Natale.
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