Mr. Ciak #19: La Fine del Mondo, Facciamola Finita, The Bling Ring, Un piano Perfetto
Creato il 04 ottobre 2013 da Mik_94
Ciao
a tutti, amici miei. Finalmente sono tornato alla base. Mi siete
mancati, anche se sono passati appena pochi giorni. Come avranno avuto modo
di leggere molti di voi, mi sono trasferito al campus universitario
lo scorso lunedì, ma al mio arrivo ho fatto una bruttissima
scoperta: niente internet, almeno per il momento. T.R.A.U.M.A. Per
fortuna, nel weekend sono tornato a casa, quindi ho pronto per voi un
nuovo, velocissimo post, sperando di pubblicare una recensione come
si deve domenica, prima della mia partenza. Vi abbraccio forte e
prometto che vi racconterò tutto al più presto. Un bacione, M.
Simon
Pegg e Nick Frost: chi sono costoro? Nel Regno Unito sono
semplicemente delle icone, ma qui in Italia – purtroppo – solo in
pochi li conosceranno. Quindi, se ignorate chi siano, vi perdono, ma
vi obbligo a rimediare. Sono due bravissimi attori, due mostri di
comicità, due idoli. Li ho scoperti con La notte dei morti
dementi e, andando oltre all'idiotissimo titolo, li ho adorati da
quel momento in poi. Li ho ritrovati con Hot Fuzz e le risate
mi hanno fatto collassare. Adesso, dopo qualche anno e dopo il
dimenticabilissimo Paul, sono tornati in grande stile. Come
solo loro sanno fare. Ironici, sfigatamente fighissimi, brillanti,
epici, idoli. Le loro commedie sono sempre film ad alto budget e,
sempre, regalano spettacolari crossover nell'ambito dei generi più
disparati. La fine del mondo è il terzo capitolo di un'ideale
e imperdibile trilogia. Il primo episodio era un omaggio e una presa
in giro degli horror sanguinosi di Romero; il secondo, invece, era un
esilarante giallo alla Agatha Christie; questo, immancabilmente, è
l'ottimo risultato di un miscuglio tra Una notte da leoni e la
fantascienza più pura. La fine del mondo è un'avventura
all'ultima bevuta che fa tappa per L'invasione degli ultracorpi,
La moglie perfetta, Doomsday. La fine del mondo è
il nome dell'ultimo dei dodici pub che la nostra gang di protagonisti
dovrà raggiungere per la loro nostalgica e alcolica notte brava. Non
si vedono dagli anni '90, sono tutti sulla soglia dei quaranta e –
dopo vent'anni – si rincontrano nella piccola città che li ha
visti crescere, fare gli idioti, amoreggiare, ubriacarsi fino a
vomitare. Ma tante cose sono cambiate, durante la loro assenza. E lo
capiranno presto, quando si scopriranno circondati da una razza
aliena che ha sostituito i loro compaesani quasi completamente. Da
quel momento in poi, fughe, scazzottate e schizzi di sangue bluastro
avranno comicamente la meglio. Il nuovo film del giovane e
promettente Edgar Wright sembra scemo fino al midollo, ma è
intelligentissimo e velatamente metaforico, ambizioso e originale. Un
cult istantaneo che vedrò e rivedrò fino alla nausea, lo so già.
Nel parodiare il genere catastrofico può ricordare il recente
Facciamola finita, ma la comicità di questa squadra qui è
tutta un'altra cosa: mostra che senza volgarità e battute oscene si
può ridere benissimo ugualmente. Molti sceneggiatori dovrebbero
vederlo e prendere esempio da esso. E sono sicuro che piacerebbe
tanto, tanto anche al nostro Stephen King! Come in ogni film che li
ha visti coinvolti, ottimo ed illustre il cast: accanto a un inedito
Simon Pegg e a un sempre simpaticissimo Nick Frost, il fedele Martin
Freeman (Lo Hobbit), Rosamund Pike (prossimamente in L'amore
Bugiardo) e Pierce Brosnan (007). Guardatelo, godetevelo,
ridete a crepapelle, diffondetelo – a voce – come giustamente
meriterebbe.
Nel
linguaggio giovanile, almeno dalle mie parti, quando si dà del
“pazzo” a un tizio gli si vuole fare uno strano complimento. Chi
fa cose scorrette ed è fuori dagli schemi, chi è assurdamente
simpatico, chi ha un umorismo pungente ed originale, chi risponde per
le rime a un prof e fa fare immense risate alla sua classe... be',
quello è considerato un “pazzo”. Facciamola finita è un
esempio di film pazzo, in senso lato e in senso stretto. Il confine
tra divertente e offensivo è labile, la linea tra geniale e flop
assoluto c'è, ma non si vede. E' la fiera del no sense, con grossi
attori, grosse comparse, grossi effetti speciali. L'idea è
clamorosamente mitica: vip che interpretano loro stessi, intrappolati
in un villone sulle colline di Hollywood con l'apocalisse biblica sul
vialetto di casa. Si vuol prendere in giro, con tanta (auto)ironia
l'ampia fascia di nuovi ricchi dello show business, inquadrata in un
party alcolico ospitato a casa del noto James Franco, attore che,
personalmente, mi è sempre andato a genio. Ospiti della festa sono
moderne popstar – una Rihanna non dispostissima a farsi tastare il
suo famoso lato B – e attori di un certo tipo di cinema:
dissacratorio, rumoroso, comico, troppo brillante per essere stupido
e troppo stupido per essere brillante. Il vizioso Michael Cera
(Juno), Jonah Hill (21 Jump Street), Seth Rogen (Molto
incinta), Jay Baruchel (Lei
è troppo per me), Danny McBride (Your Highness) e
Craig Robinson (Zack &
Miri). Tra volgarità
gratuite, stupidissime freddure, esorcismi, assedi e scene da musical
meravigliosamente fuori luogo, si ride senza un preciso perché. Ma
il trucco funziona, l'idea diverte e si ride. Il sangue zampilla come
in uno splatter movie e, come in un mega videogame catastrofico, i
protagonisti combattono calamità naturali e un demone con un
esercito di teste e vistose caratteristiche alla... Rocco Siffredi. Ho
trovato Facciamola finita
una commedia epica, ma
forse ero io ad essere nel mood giusto, per una volta. Magari,
rivedendolo, lo troverei troppo, troppo ridicolo! Eppure, conoscendo
Suxbad, Strafumati e
compagnia bella, non ho potuto non ridere davanti all'affiatata
coppia Rogen-Franco, a Jonah Hill che dà le sue referenze a Dio, a
Emma “Hermione” Watson che protegge la sua verginità (?) con
un'ascia insanguinata. E' eccessivo, crudele, violento, scorretto,
esagerato in tutto, ma mi è piaciuto; sempre che il verbo
piacere valga per una
pellicola del genere. Sopra le righe e sopra l'umana comprensione. E
poi c'è il cameo a sorpresa di Channing Tatum – nel ruolo di un
remissivo schiavo sessuale – e, nell'epilogo così (poco) mitico,
parte la romantica I'll
always love you, giusto
cinque minuti prima che compaiano dal nulla i Back Street Boys, con i
piedi leggeri, l'aureola sui capelli gellati e un tappeto di nuvole. Altro che gli One
Direction!
Sarò
grezzo e poco colto io, ok. Magari io sono scemo e questo film è un
colpo di genio, ma, ai miei occhi di “profano”, The Bling Ring
è parso come uno dei film più inutili e vuoti che abbia mai visto.
Attesissimo da tutti, ma da me nemmeno un po', è il ritorno alla
regia di Sofia Coppola, della cui biografia – ahimè – ho visto
solo Marie Antoinette, anche se faccio il filo a Lost in
Translation da tipo una vita. Figlia del grande Francis, a Sofia
sono bastati pochissimi film per diventare una delle giovani registe
di Hollywood più quotate. Ogni suo film è accolto dalle recensioni
più ricche d'ammirazione e, per molti, lei è diventata sinonimo di
garanzia. Io, che la conosco poco, ho visto questo suo ultimo film
senza nessun pregiudizio. E mi è sembrato assolutamente sterile:
banale, ricco di luoghi comuni, poco efficace. Una sorta di
mocumentary, se così si può definire, dalle riprese traballanti e
dalla trama inesistente. Fotogrammi su fotogrammi di adolescenti
stupidi che bevono, si drogano pesantemente, guidano macchine
lussuose, fanno shopping con soldi non loro, rubano nelle case dei
vip. Personaggi assurdi, situazioni assurde. Eppure esistono tutti
realmente, lo sappiamo tutti, anche se sono molto meno fighi degli
attori del cast, a onor del vero. Ma il punto è questo: che bisogno
c'era di realizzare un film sui ladri più idioti d'America? Bastava
un servizio al TG per sentirne parlare di sfuggita. Delle scarpe
grandi di Paris Hilton o delle foto hard che tiene in casa, delle
collane della Lohan, dei Rolex di Orlando Bloom frega a tutti davvero
poco poco. Sono tra i personaggi più noti, eppure le loro villone
non hanno antifurti o sorveglianti, guardie o cancelli invalicabili.
Nascondono le chiavi sotto lo zerbino, hanno le loro fortune sotto il
letto e non in cassaforte. Sembra assurdo, effettivamente: ma, se
tutto ciò che ci viene mostrato è vero, sono assurdi loro. Essere
rapinati da cinque adolescenti coi neuroni in fumo non è da tutti.
Cinque adolescenti imbottiti di canne e filosofie new age, che
dovrebbero fare capire a noi comuni mortali che, come dice il
proverbio, anche i ricchi piangono, ma che mi hanno fatto fare un
pensiero incredibilmente profondo e sorprendente: non insulterò mai
più le protagoniste di Pretty Little Liars, lo giuro!
Esistono davvero persone assurde quanto lo sono loro, quindi chiedo
perdono. Persone che si vestono come per andare a una sfilata anche
quando sono dirette a scuola, che ostentano ciò che non hanno, che
si rovinano la vita con idee infelici. Però no, quel telefilm è
trash, se lo andate a chiedere ai grandi critici, ma questo The
Bling Ring è un capolavoro incompreso. Per me, è incompreso e
basta. Patinatissimo e fine a sé stesso, serve per riempire –
nemmeno nel migliore dei modi – un'ora e trenta della tua vita. Lo
vedi e lo dimentichi volentieri, dall'inizio alla fine. Tra i giovani
attori del cast, il migliore è Israel Broussard, l'unico maschio
della banda e, alla fine dei conti, il protagonista del film. La
bella Taissa Farmiga (American Horror Story) compare spesso,
ma ha sì e no due battute messe in croce, e Emma Watson, la cui
prova era la più attesa, fa il suo compitino in maniera svogliata.
Ha un accento americano posticcio, un ruolo da non protagonista e un
personaggio dal fare svenevole e odioso. Se le avesse rubato il posto
un'attricetta anonima sarebbe stato uguale, ma tutto sarebbe stato
diverso se, alla regia, non ci fosse stata la Coppola. Nessuno si
sarebbe filato questo film. E giustamente. Sofia Coppola ha accettato
di giocare allo stesso gioco dei protagonisti, ha realizzato il loro
sogno segreto. Che si parlasse di loro sempre e comunque. Se lo
poteva risparmiare lei, ce lo potevamo risparmiare noi spettatori.
Almeno quei cinque essere inutili, sfuggiti anche agli anni di
carcere che avrebbero meritato, non sarebbero nuovamente stati sotto
la luce dei riflettori. Amen.
Ormai
lo sapete. Le commedie francesi sono il mio punto debole, il mio
tallone d'Achille. Quando
si parla di loro, ho i pregiudizi in positivo. Sono certo che, sempre
e comunque, le adorerò. Perché i francesi e il romanticismo sono
come il crudo e il melone, il pandoro e la nutella, il latte ed il
miele. Perfetti, insieme. Hanno la torre Eiffel – il traliccio di
metallo più bello della storia dell'architettura – e hanno i mezzi
più giusti e i registi più raffinati per dar vita a piccole perle
di film. Anche se si parla di commedie, il genere più abusato,
prevedibile e svalutato di sempre. Abbiamo visto praticamente di
tutto, diciamoci la verità. E Un piano perfetto non propone
veramente nulla di nuovo. Eppure io l'ho trovato adorabile, magico,
buffo. E' la più internazionale, forse, delle ultime pellicole
d'oltralpe. E' la più british, su questo non ho dubbi, delle ultime
commedie d'oltralpe. Di una semplicità spettacolare. Ho pensato a
Una proposta per dire sì, a Un marito di troppo, a
Love Actually. Gli scenari sono più ampi e, dalla Francia al
Kenya, dalla Russia all'Inghilterra, si viaggia moltissimo, ma –
allo stesso tempo – si rimane perfettamente fermi in quel familiare
territorio in cui ogni bacio, ogni schermaglia amorosa, ogni battuta,
ogni risata è elevata ad opera d'arte: basti pensare al recente
Tutti pazzi per Rose e retrocedere fino al surrealmente bello
Amami se hai coraggio. Il nuovo film del regista di un altro
gioiello di comicità di nome Il truffacuori,
è arrivato il 19 Settembre nei cinema italiani e, distribuito dai
produttori dell'amatissimo Quasi
amici, ha come
protagonisti una strana e mal assortita coppia di attori: Diane
Kruger (Appuntamento a
Wicker Park; Troy) e
Dany Boon (Giù al Nord).
La principessa e il ranocchio, la bella e la bestia, la top-model e
l'idiota. L'allegra sceneggiatura vuole che lei, futura moglie di un
dentista altrettanto bello e famoso, per sfuggire a una maledizione
familiare che colpisce i primi mariti, decida di convolare a nozze
con Boon, una guida turistica che gli darà non poco filo da torcere:
difficilissimo sarà fargli dire di sì, altrettanto più difficile
sarà chiedergli il divorzio. Che lui fosse simpatico già lo
sapevamo; l'eterea e algida Diane Kruger, invece, è l'autentica
sorpresa. Lei, che è bella ed elegante come Grace Kelly, si mostra
per la prima volta in vesti inedite, alle prese con comiche alla
Fantozzi e
colossali figuracce. L'altra sorpresa è il fatto che questa strana
coppia funzioni una meraviglia. Si vede palesemente che, insieme, si
divertono un mondo e, altrettanto palesemente, si vede che, prima
della fine, per esigenze di copione, si innamoreranno. Prima
dell'arrivo del sentimento, però, è necessaria una lunga avventura,
che prima li farà volare sui monti del Kilimangiaro – dove un
simpatico leoncino di cinquecento chili attenterà alle loro vite -,
poi li farà sbronzare di Vodka nella fredda Mosca, poi li porterà
agli incubi di una convivenza forzata, scandita da scherzi e dispetti
pestiferi. Un piano
perfetto non è un film
perfetto, ma il collage tra pellicole diverse e diversi generi
riesce, per una volta, in maniera quasi impeccabile. Poi collage
è una parola francese. O almeno credo... Chi potrebbe realizzarne di
bellissimi, se non loro?!
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