Mr Ciak #40: The Fault In Our Stars - Colpa delle stelle
Creato il 13 luglio 2014 da Mik_94
Buona
domenica, amici. Mr Ciak è passato da queste
parti ieri e non è un tipo a cui piace stare sempre tra le scatole. Le eccezioni ci sono.
Questa mattina, mi sono imbattutto in The
Fault in our stars e
l'ho visto senza pensarci. Finito, al film ci pensavo ancora. Quindi
ho deciso di parlarvene, senza aspettare qualche segno in
particolare. Dovevo riprendermi dalla scossa e lo faccio con voi.
Domani e venerdì prossimo, inoltre, giorni di esame: questa domenica
era il giorno più giusto sul calendario. Vi ricordo che il
film sarà nelle nostre sale a Settembre e, probabilmente, mi
troverete lì a vederlo. Non perché sia finito nella lista dei miei
preferiti, tutt'altro, però una revisione, tra due mesi, ci sta.
Poi, voglio il biglietto del cinema da conservare tra le pagine: tradizione.
Ma non riesco a dirti quanto ti sono grata per la nostra piccola infinità. Mi hai regalato un per sempre dentro un numero finito, e di questo ti sono eternamente grata.
La recensione del film
Se
una cosa sai già come finisce, magari ci rimani meno male. Di solito
sì. O almeno così si dice. Ma ci sono quelle storie che, per
copione, per contratto, devono lasciarti di sasso, in briciole, ogni
volta. Quello è il loro segreto fascino. Senza tristezza, in fondo,
che sarebbe di loro. Colpa
delle stellefa
parte di quel filone lì. Film strappalacrime, drammoni sentimentali:
come vi pare. Si vede. Si sa. Ora lo sanno tutti, perché tutto il
mondo, tipo, ha letto il romanzo e sa cosa aspettarsi. Io lo sapevo
da prima, e lo so da circa due anni. Era il 2012 quando ho preso in
mano il romanzo e l'ho letto. Aspettandomi una mezza tragedia che,
alla fine, con quella metà più o meno colmata, si era manifestata.
Si parla di ragazzini, si parla di cancro, si parla di commozione
assicurata nel prezzo. Invece no. John Green – l'autore a cui,
prossimamente, erigerò un piccolo altarino in libreria – non era
arrivato a quel punto. Okay che io non sono un tipo da lacrima
facile. Però datemi vecchietti, cagnolini, amori impossibili e, be',
sarò perdutamente vostro. Qui non c'erano i vecchieti, nemmeno i
cagnolini: solo un gran, bell'amore impossibile. Uno di quelli che
piacciono a me. Perché non ci sono rose senza spine, non ci sono
amori con l'happy ending e blablabla. Una volta, mi hanno detto che
io sono un tipo malinconico. In realtà, mi piace semplicemente
deprimermi, di tanto in tanto. E a voi? Io ci sguazzo, come se le mie
sfighe quotidiane non fossero sufficienti. Comunque, dicevo che Green
non era stato il solito Green. E che, con quella storia lì,
ruffianotta e decisamente ben scritta, non mi aveva convinto al cento
per cento. Lui era altro, lui sapeva fare di più. Avevo trovato
fastidiosa l'ironia di alcuni dialoghi, irrealistica. Che volete
farci: io sono per gli amori sfigatelli più tradizionali, un tipo
alla Sparks-sfiga non alla Green-sfiga. Ho seguito gli sviluppi del
film da lontano. Sbirciato il trailer, controllato l'uscita italiana.
In realtà, quel trailer l'avevo molto più che sbirciato. Lo
conoscevo a memoria. E avevo messo la colonna sonora – Birdy, Ed
Sheeran, One Republic – sull'mp3. Altri libri mi avevano fatto
fare pace con John Green. Il semplice trailer mi aveva fatto far
pace, invece, con Colpa
delle stelle.
Da intiepidito fan del libro, avevo aspettative non intiepidite. Alla
fine ho ceduto. Alla fine l'ho visto e l'ho trovato perfetto. Ho
dimenticato in due ore i motivi per cui avevo trovato vagamente
fastidioso il romanzo. Dio, come avevo fatto a trovare fastidiosi
Augustus Waters e Hazel Grace Lancaster? Ma siamo sicuri che erano
come quei due baldi giovani che, nei casting, non mi piacevano
granché? Mi dicono di sì. Sono sicuro. Cinici, chiacchieroni,
brillanti, malatissimi, proprio come gli originali. Shailene Woodley
e Ansel Elgort funzionano a meraviglia e sono bravi davvero. Belli,
lì, su quell'altalena. In quel viaggio ad Amsterdam. A una cena con
indosso gli abiti dei loro potenziali funerali. Non è un mistero
quanto lei poco mi piaccia. Invece, anche grazie alla visione in
lingua originale, l'ho trovata intensa, al centro di momenti che,
sulla mia pellaccia dura, hanno fatto affiorare i brividi. In estate.
Quel pianto,
e quello sguardo prima di quel pianto.
Rivelazione lui: vent'anni,
faccia pulita, un contagioso sorrisone tutto denti. Sono bellissimi,
giovani, pieni di vita e cellule cancerose. Diversi tra loro, ma
identici a come li ricordavo: lei pensa troppo e legge libri
ammorbanti, lui gioca troppo ai videogame e non legge libri che non
contemplino zombie, apocalissi zombie, isole zombie. Avevo notato
in Stuck
in love,
consigliatissimo, la sensibilità del regista, Josh Boone. Mentre,
all'epoca, Green l'aveva un po' fatto, deludermi, dico, Boone no.
Mai. Col tempo che ha disposizione fa frullati di sentimenti
coinvolgenti, personaggi irresistibili, location sparse. Emerge il
dolore e la forza delle famiglie, un'infanzia bucherellata in
flashback saggiamente distribuiti, la simpatia e la brutalità del
personaggio del mitico Isaac, un Nat Wolff con poche scene, ma
esilarante e tormentato. Uno spera sempre in un intoppo nella
sceneggiatura. E' cambiato qualche dialogo, perché non l'epilogo?
Quei momentacci arrivano lo stesso. E li ricordavo con una smorfia
anch'io che, verso Green – da allora in poi – ho nutrito
silenzioso risentimento. La parte del romanzo che più tocca,
l'aggravarsi di una situazione già precaria, l'irruzione del dramma
in mezzo a tanti sorrisi e a discorsi dal sapore geek, è sfumata;
giusto accennata. Ho apprezzato. Sarebbe stato troppo. E' già
abbastanza tuttocosì.
In linea con il libro, preciso e rispettoso, mi ha emozionato nei
momenti in cui il libro non l'ha fatto. Arrivato, almeno nel mio
caso, lì dove il libro non era arrivato. Fatto pienamente breccia.
Che dico, una galleria: un traforo. Le gag in compagnia di un
isterico Isaac e la dichiarazione d'amore, in un ristorante che vende
risotto alle carote rosse e stelle in bottiglia, erano importanti e
lo restano. L'allegra e malinconica festa di morte nel letterale
cuore di Gesù, capirete guardando, ti fa in frantumi e ti ricorda lo
splendore di certe frasi, che sulle labbra di due attori che si
comunicano amore – e okay infiniti – con gli occhi sono ancora
più dirette. Meno spazio per la pena e più spazio, invece, per un
viaggio dei desideri ad Amsterdam. Dafoe è un irritante canaglia che
puzza di liquore e segreti sussurrati solo a sé stesso; la città
delle droghe libere, i musei famosi, la storia a ogni passo è
fotografata nel miglior modo che c'è. Una scena che non mi era
"arrivata", la visita nella casa di Anne Frank. Nel film
l'ho sentita tutta, percepita, soppesata come per la prima volta: la
scalata di Hazel per scale ripide, il suo calvario di diciassettenne
metaforico e non, i passaggi del diario di Anna che sembravano
parlare di loro due, dell'aldilà e della felicità da cogliere senza
temere granate successive. Puro magone. Infine, quel bacio, venudo dopo il ti amo. Strano percorso... Colpa
delle stelle è
il film lacrima d'oro per il nerd d'oro – lo mostrano le maratone
sul divano di Buffy,
le occhiate ad Alien,
lo sposalizio tra adolescente e joystick. Divertente. Dolce. Umano.
Tristissimo e così poco triste. Un brindisi alla vita, dal film
tutto cancro che farà di te uno spettatore tutto cuore.
Okay? (8)
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