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Mr Ciak - Edizione speciale: Robin Williams (Mrs Doubtfire, L'attimo fuggente, Al di là dei sogni, One Hour Photo)
Creato il 23 agosto 2014 da Mik_94Ci sono i film per l'infanzia, e poi c'è Mrs Doubtfire. Il film per l'infanzia. Con Robin Williams che, quando i miei non erano in casa, mi faceva da baby-sitter. Guai se i miei dicevano che io e mio fratello avevamo bisogno di una tata, come i figli piagnucolosi dei nostri vicini. Ma guai ad ammettere che io avevo un po' di preoccupazione a stare da solo. Mamma ho perso l'aereo – altra commedia, altro Columbus – insegnava ai genitori a non scordare i figli in città e a non lasciare entrare estranei in casa. Chi non conosci ha brutte intenzioni, e i ladri rubavano gioielli, soldi e bimbi piccoli per chiedere poi un riscatto. Ma quali gioielli, ma quali soldi...? In casa, al massimo, c'erano solo due carinissimi esponenti dell'ultima categoria: bambini. Circondandomi di giocattoli e altri strumenti di tortura, mettevo su una videocassetta che ormai conoscevo a memoria, così da poter seguire con un occhio il film e con l'altro mirare alla porta d'ingresso. Iniziava il film, invece, e io mi dimenticavo di tutto. Il fatto di conoscerlo da cima a fondo era scusa perfetta per anticipare le battute dei protagonisti, infastidire con anticipazioni spietate l'altro attento spettatore, fare vocioni grosse e vocine acute, per imitare il più camaleontico e buffo dei personaggi. Mrs Doubtfire, uscito nei cinema un anno prima che io nascessi, mi ha cresciuto, fino a quando il nastro non si è consumato e io, costernato, sono dovuto passare al dvd. Conservo ricordi vivi di questo film, anche se – con la scusa di averlo dimenticato – lo rivedrei volentieri oggi e pure domani. Con la consapevolezza del poi, riesco a vedere la mia infanzia così: comune, spensierata, quieta. In realtà, il Michele che guardava Mrs Doubtfire era già un bambino troppo incline alla malinconia: con poca esperienza del mondo, pensavo che tutte le famiglie dovessero vivere in pace come in un bel film e che solo nella mia, sballottata spesso e volentieri da una parte all'altra d'Italia, ci fossero litigi, malintesi, traslochi. E se, al posto della vecchia casa, un anno, avessi dovuto rinunciare alla mia mamma o al mio papà, per un nuovo genitore che non volevo? Capita, crescendo, di sbucciarsi un ginocchio e di cadere dalla bici. I miei genitori – a anche quelli nelle case degli altri – alzavano la voce perché starnazzare era il loro modo di farsi male e curarsi; di crescere insieme. In un universo di felici case del Mulino Bianco, la famiglia Hillard mi ha insegnato che a volte le coppie scoppiano, che il lieto fine non puoi catturarlo, ma che l'amore non passa. Non quello per un figlio, con cui vedresti anche i più brutti dei cartoni animati mai pensati. Robin Williams, qui, fa di più: si intrufola nelle vite dei suoi figli come un agente segreto sotto copertura. Un angelo custode in missione per la famiglia che ha la parrucca bianca, le calze contenitive, le tette di gomma che vanno a fuoco. Quella volta ho scoperto che c'è chi cambia sesso davvero, non per finta: si chiama “transessualità” (che strana parola!) e, anche se non si torna più indietro, è una cosa di cui non ridere. Quella volta, invece, ho riso come un matto per i chili di trucco, le trasformazioni impressionati, i donnoni che facevano la pipì all'impiedi come me, che al water ci arrivavo a stento. Una volta ho anche pianto, perché non era giusto quel finale dal gusto amaro... ma una volta sola. Tutte le altre, ho lodato il magico realismo che quel Tootsie per bambini aveva il coraggio di mantenere. Tra tutti, questo è quello che ho visto più volte – quando avevo la febbre, quando ero solo, quando mi andava. Ho accolto la notizia della morte del suo protagonista con un sorriso triste. Al mare, quel giorno, ho guardato la mia vicina d'ombrellone: una signora di una certa età, alta e massiccia, con un impeccabile cocco biondo e la passione per gli sport, i libri, gli hobby dei giovani. E' da quando la conosciamo che, tra noi, la chiamiamo segretamente Iphigenia. Il cognome, non detto: Doubtfire. (9)
Ancora prima di iniziare il liceo, a me Orazio l'aveva insegnato L'attimo fuggente. Per me, per anni e anni, l'invito a non sprecare un'ora, un secondo, un'eternità è appartenuto non a un'antichità difficile da immaginare, ma a un omino paffuto, affabile e sognatore che esortava, dalla cima della sua cattedra e del suo metro e settanta, i suoi alunni al carpe diem. Ho scoperto che la citazione era di gran lunga precedente al 1989, e di parecchio, anche se a me – nato qualche anno più tardi – anche il finire degli anni '80 appariva cosa indefinita e astratta. Questione di prospettive, suppongo. Apparteneva ad altri ingegni e ad altre epoche. Ma niente da fare: mai come adesso non c'è voce diversa da cui voglia sentirla pronunciare. Robin Williams per la vita. Qui, nelle vesti comuni del professor John Keating, l'insegnante che tutti sognavano, ma che nessuno ha mai avuto. Io ci ho riempito i miei temi delle elementari e delle medie coi suoi piccoli e memorabili inni. Io, su di lui, ho disegnato la scuola che vorrei. Capivo che c'era un po' di Keating quando alla prof di greco, umana come tutti, scappava una parolaccia bella e buona, perché la campanella non si decideva a suonare o lei non si decideva a smettere di fumare; quando, a lezione di chimica, spiegando il trasporto attivo, io ero stato una molecola e il mio compagno di banco un'altra per mostrare alla classe i sottili e teatrali meccanismi della scienza secondo noi; quando, anche se le possibilità di lavoro sono magre, lo scorso annno ho scelto Lettere senza pensarci. Non avrei potuto scegliere qualcosa che non fosse mio, mi dicevo e me lo diceva anche Robin: se c'è la passione, ma purché sia grande grande, il resto segue a ruota. E gli imprevisti succedono, e gli accidenti capitano, ma tutto disegna giorno per giorno i contorni della nostra esistenza. Lo fa L'attimo fuggente, almeno: una commedia poetica, emozionante e iconica che parla di gente morta che ci insegna com'è che va la vita. Possibile? A vent'anni, dopo un gesto che ha reso il prof di Robin Williams drammaticamente vicino al più fragile, emotivo e artistoide dei personaggi del film di Peter Weir, l'ho visto con occhi annebbiati e spirito stravolto. Più commosso ancora, nel sentire il professore dire che non siamo altro che cibo per vermi, ma che dalla nascita al fetore della putrefazione ne passa di meraviglioso, irripetibile tempo. Il tuo, Robin, non è andato sprecato, non preoccuparti. Di diritto, adesso, lui entra nelle fila della Dead Poet Society. Purtroppo, è morto; ma è stato un poeta e un oratore eccellente, unico anche col più stiracchiato dei copioni; ha creato una società di fan di tutte le età che lo piangono come un parente e riempiono i muri invisibili dei social di idee pazzesche – appartenute a lui, appartenute ai suoi personaggi: ché poi è lo stesso. Lui era i suoi personaggi. Il suo corpo, su una barchetta di legno costruita su misura, va alla deriva, nel mare della storia del cinema, come fosse un condottiero vichingo. E chiedi a un giovanissimo Ethan Hawke, al superbo Robert Sean Leonard e a tutti quelli cresciuti sotto le insegne di Onore, Disciplina e Tradizione di farti largo per dire, una volta nella vita, “O capitano, mio capitano”. Anche se non sai leggere a voce alta. Anche se ti senti incompreso. Anche se vivi di nascosto. L'attimo, tanto, arriva. Salite sul banco e andate a raccoglierlo dall'altra parte di ciò che l'occhio, limitato, vede. (8)
Invece, a quattro o cinque anni, la Divina Commedia l'avevo scoperta con Al di là dei sogni. Non avevo dovuto aspettare neppure la prima elementare. Mi ci ero avvicinato come fosse una favola. E, a lungo, mi è piaciuto pensare questo: che Dante, in realtà, avesse firmato una delle più belle storie d'amore mai raccontate. Quando, quella mattina, avete saputo la notizia, voi che avete fatto, a cosa avete pensato? Il mio primo ricordo di lui era legato a questo film, particolarmente significativo, eppure visto qualche volta appena. L'avevo immaginato, mentre, come nella canzone di Modugno, si dipingeva le mani e la faccia di blu, in un Paradiso disegnato dal nulla con gli effetti speciali e gli acquerelli. Un uomo coraggioso, con un sorriso e un pianto che contagiano, che camminava in un aldilà liquido, scomposto, ancora fresco di vernice. C'era scritto non toccare. Ma i fiori sembravano così veri, il mare così azzurro, i gabbiani così vivi: il tocco di quella natura irreale lasciava i segni dell'arte sulle mani. Ispirato all'omonimo romanzo del compianto Richard Matheson, Al di là dei sogni è una malinconica gita in compagnia della morte, in cui il Regno dei cieli, costruito su teorie new age e filosofie orientali, ha le forme di un capolavoro di quadro impressionista. Onde di colore, merletti di ombre, bagni di luce. Correre tra i papaveri di Monet, volare nei cieli di Van Gogh, trascorrere le domeniche pomeriggio al Grand-Jatte di Seurat. Il destino di un dottore come Patch Adams; un uomo dolce e buono che aveva sofferto quello che nessun padre dovrebbe soffrire. La perdita dei suoi figli. Aveva provato a raccontare loro, alla morte del loro vecchio dalmata, cosa fosse il Paradiso: un'idea lontana, per due bambini che scoppiavano di vita. Invece, prima di lui, vanno via. E lui, quattro anni dopo, li segue, lasciando sola una moglie di cui nessuno può più raccogliere i pezzi: una famiglia distrutta dal traffico, dalla strada e, infine, dal dolore più forte. Chris ha incontrato la sua Annie ai piedi di un lago: lei era in barca, aveva i capelli nerissimi e uno scialle rosso. Sognavano di andare lì, quando sarebbero stati vecchi, pensionati, innamoratissimi. I pensieri positivi di Robin Williams hanno aiutato una potente, distrutta e splendida Annabella Sciorra a non tagliarsi più. Gli squarci alle vene si sono chiusi e, della depressione, resta un caschetto corto, una cicatrice, il soggiorno nel verde di una clinica psichiatrica. Quando il marito muore, cosa resta? Raggiungerlo. Mentre Chris sguazza nel suo angolo di cielo, che ha lo stile e le strutture di un quadro della moglie, Annie si ritrova altrove, senza memoria. Al di là dei sogni, così, si trasforma in un folle volo, un'impresa impossibile: esplorare l'altro lato del cielo, varcare le porte dell'inferno, per poi rinascere, con la speranza che l'amore della nostra vita – nonostante l'oblio – possa riconoscerci. Non siamo nessuno per mettere bocca nel dolore di un'altra persona. Per capire cosa significa l'amore quando c'è e quando invece non c'è. Il fantasioso melodramma di Vincent Ward, con i suoi effetti speciali all'avanguardia e la più macabra e tenera delle storie, canta amori e morti violente, suicidio, gioie ultraterrene e amarezze terrestri. E' un colore che non va via. Cuba Gooding Jr. è Virgilio, Max Von Sydow è Caronte, Robin Williams è sia Dante che Beatrice. Narratore della sua storia, attore del suo dramma, salvatore. Orfeo, ma con una Euridice da salvare da se stessa e da demoni che chi ha la fortuna di non conoscere non può vedere e basta. (7)
Non esistono. I ritratti di famiglie infelici. Le famiglie felici. I matrimoni inattaccabili, i figli perfetti. Invenzioni da giornali, soggetti per primi piani da rivista. Cose che invece esistono: gli interpreti forbidabili. Ma non quelli semplicemente passabili. Io parlo di quelli così bravi da cambiare le sorti di un film. Questo è il caso del Robin Williams che possiamo ammirare in One Our Photo. Un thriller che, ragionandoci sopra, è da brividi per un solo motivo: il lavoro eccelso nella costruzione di un protagonista cattivo, eppure raro. Ho recuperato il film solo adesso, tardi. L'idea che mi stessi per perdere una prova di simile pregio mi fa piangere il cuore. Questo è uno dei Robin Williams migliori di cui avrò memoria. L'ennesimo Oscar mancato nella sua carriera, un ruolo inedito. Indelebile, il ricordo di lui che, coi capelli ossigenati, la stempiatura evidente, gli occhi più blu del blu, si aggira tra i corridoi spogli di questo film bianco ospedale e verde acido. La prima prova da regista del futuro autore del fortissimo Non lasciarmi, tralasciando qualche cruda e intrigante trovata formale, ha intoppi che potrebbero far crollare il tutto nel territorio del tv movie. Momenti diluiti, tòpoi abusati. L'idea classica, ad esempio, di un ossessione che ti porta a cancellare il volto del rivale in foto. Il fatto che ad impugnare il coltellino e a cancellare la faccia di suola di Michael Vartan, però, sia un Williams in forma smagliante dà senso al tutto e, da nulla, riscrive una storia tipica. Un film da poco diventa perciò un gran film grazie a Seymour Parrish e alle sue smanie. Un uomo mite, gentile, solo, affetto da una malinconia che fa danni. Ispira simpatia, mette addosso una tristezza gelida. Cerca attenzioni come un bambino, elemosina la tua compagnia con scuse patetiche come chi è dimenticato dai propri simili. Sviluppa foto. Spia le vite degli altri, mette a posto cose. Colleziona frammenti di vita degli Yorkin su una parete che testimonia i loro cambiamenti: la nascita di un bambino, gli ultimi tagli di capelli, la casa nuova in un quartiere alla moda... Il film è una foto della foto. Un muro, contro cui rimbalza il suono, con i primi piani sulle espressioni mutevoli - ora placide, ora furenti – di un attore benevolo che, eppure, sa far paura. La foto segnaletica di un mancato assassino. Il ritratto di un addetto alle stampe che ha vinto il titolo di miglior impiegato del mese, e di peggior incubo diurno. Le macchinette che sono diventate digitali, i rullini in via d'estinzione. Un personaggio che, arrendendosi al progresso della tecnologia, non esiste più. Catturato dal flash, per sbaglio, prima della cassa integrazione, di una mensa dei poveri, di un passo falso di troppo. (6,5)
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