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Mr. Ciak: Insurgent, Kingsman, Musarañas, The Boy Next Door, Maicol Jecson, The Town That Dreaded Sundown
Creato il 23 maggio 2015 da Mik_94Qualche giorno fa ho rievocato il carnevale di un'infanzia lontana. Quando mi vestivo da supereroe e da grande dicevo di voler essere un fumettista. I sogni non avevano un numero fisso, e in alternativa avrei trovato stimolante anche la vita da agente segreto. Stravedevo per Spy Kids; poi alle medie per Agente Cody Banks – e Hilary Duff. Adesso non guardo cinecomic né pellicole di spionaggio. A me piace poco l'azione, ma parecchio due fattori che solitamente cozzano: l'elegante e il tamarro. In Kingsman, in due ore che volano, cafonate e alta moda si incrociano e danno vita a uno sposalizio irresistibile, anche per me, spia mancata senza rimpianti. Con la firma del Matthew Vaughn di Kick Ass, altra perla, questo film è una parodia di un genere che o si ama o si odia: ma come odiarlo se è riproposto in chiave ironica, con invasioni massive di effetti speciali, una regia strabiliante, combattimenti coreografici e dialoghi gustosi? In Kingsman non mancano le missioni impossibili, i cattivi che vogliono distruggere il mondo, le rivincite personali: il protagonista combatte contro le smanie dei figli di papà, sventa piani criminali, conquista principesse ninfomani. A fargli da guida, un magnifico Colin Firth che si congeda con un colpo di scena ad effetto ed è re di una tavola rotonda di moderni cavalieri. Picchia duro, ha pantaloni dalla piega perfetta, beve il té delle cinque in punto. Samuel L. Jackson caratterizza un antagonista che è uno spasso, a metà tra un Mark Zuckemberg pazzo e uno coi difetti di pronuncia del primo Muccino; Michael Caine dice due parole ed è subito un'icona; Mark Strong trova il supporto di uno script che, questa volta, lo vuole più presente del solito. A mancare in copertina, il nome del giovane Taron Egerton, quando questo poi è il suo picaresco romanzo di formazione. Chiassoso, sopra le righe, chic. Vive dei tòpoi dell'action movie e cita My Fair Lady. Con un fucile tra le mani e un paio di intramontabili Oxford lucide in cui specchiarsi. Kingsman ha la violenza esagerata dei cartoni, rumori fortissimi e colori che fulminano la cornea. Le scene d'inseguimento più spettacolari che vedrò quest'anno e uno degli intrecci più spiritosi che mi godrò nei sei mesi a venire. (7,5)
In una Spagna che ancora porta le cicatrici del conflitto mondiale, la storia di un soffocante mènage familiare. Un appartamento abitato da due sole donne, l'arrivo di un vicino di casa a comprometterne le fragili dinamiche. Montse, che non ha mai oltrepassato l'uscio del suo mondo asfissiante, dopo l'abbandono del padre orco, vive come una reietta, barricata nelle sue stanze piene di pizzi, sete, bottoni. Fa la sarta. Sognerebbe, un giorno, una boutique in centro e un rapporto esclusivo con quella sorella che non ha un nome e che, semplicemente, definisce la sua bambina. Anche se ha diciotto anni, è una giovane donna che fa innamorare tutti al primo sguardo e ha rubato le attenzioni di lui, Carlos, l'uomo ferito che le due accudiscono sotto il loro tetto. Ma Carlos, a letto con le gambe rotte, ha i suoi segreti, proprio come la paziente Montse: gli scatti di ira, le mani che tremano, l'ossessione di avere tutto, e tutti, sotto controllo. Personaggi prigionieri di una casa che è impossibile abbandonare; tutti vittime. Musarañas ha nel titolo i toporagni: roditori che vivono al buio, protetti a vita nel loro nido. Thriller psicologico dello scorso anno, è la rinnovata conferma di un cinema spagnolo pensato meravigliosamente, che sa intimorire con originalità e immensa eleganza. Sorpresa per molti? Non per me, che ai cugini d'oltralpe invidio le commedie romantiche a ai vicini spagnoli gli horror più rigorosi in circolazione. Questo, diretto a quattro mani da due esordienti, ha un intreccio classico e la tensione alle stelle. Girato interamente in un appartamento dal perimetro circoscritto, ospita tra i suoi corridoi i fantasmi della pedofilia e i tragici traumi che si trascina dietro. Si sguazza perciò nel sangue delle vittime della sarta assassina, una Misery che non potendo scappare dal suo incubo vuole trascinarci dentro anche chi le è vicino, ma a impressionare sono i chiaroscuri di personaggi con la guerra in testa. Nel cast, uno Hugo Silva poco approfondito, il viscido Luis Tosar di Bed Time, ma – ormai nomi di grido internazionali – sono nullità in confronto all'ipnotica Macarena Gòmez, che regge divinamente il tutto con una prova che vive di tic stizzosi e minuzie. Un personaggio ambiguo con uno spiazzante segreto che il finale, puntualmente, ci svela. Facendo pensare allo spettatore che Musarañas fosse bello già prima, ma dopo quella svolta a fior di nervi - già intuita ma cattiva - più bello ancora. (7)
Che è banale in maniera esasperante lo si capisce già dal titolo. Girato con quattro soldi e inaspettato successo, ha la storia dell'ennesima attrazione fatale. Virtuosa prof divorziata finisce a letto col suo vicino di casa pazzo. La bella Jennifer Lopez – sempre più sexy - non vincerà l'Oscar, ma la sua prova è dignitosa e in biancheria fa la sua porca figura. Con lei, dopo un paio di Step Up, Ryan Guzman: che va ancora al liceo non ci credo neanche se lo vedo con zaino in spalla, ma è un convincente squilibrato; meno pesce lesso del collega ballerino Channing Tatum, ha la faccia giusta e palpeggia le grazie della Lopez con la nonchalance di chi non deve chiedere mai. Questo thriller in rosa è scontato e classico così come appare. Ma fila, nonostante la trama la sappiano pure i sordi, e ha l'apprezzabile faccia tosta di cullarsi spudorato nei luoghi comuni, non arrampicandosi sugli specchi in cerca di novità impossibili. E' esattamente come lo si immagina, ma per quell'ora e mezza lo si tollera. Piacevole il giusto. E trash. (5)
L'estate del 2009: quella in cui Andrea perderà la verginità, quella in cui il fratello minore perderà il suo idolo. La storia delle loro prime volte – l'amore, il lutto – s'incrocerà con quella di un pensionato convinto di essere il loro nonno, di un cacciatore di alieni, di un viaggio verso la fine del mondo. Maicol Jecson è una commedia italiana e, a tratti, non ci si crede. La trama è vista e rivista. La voce fuori campo ricorda più quella di uno YouTuber qualsiasi che John Green. C'è una scrittura che va affinita, ma sulla resa non posso mettere bocca: non segue standard televisivi, è girato con intelligenza e con gusto internazionale, gli attori più giovani, ineditamente – anche merito del doppiaggio; ma perché doppiarli? -, non sono dei cani totali. Un bravo d'incoraggiamento ai registi, per l'idea e la buona realizzazione, e al cast di esordienti, capitanati del veterano Remo Girone. Maicol Jecson va visto come un vincente esperimento di prima commedia adolescenziale nostrana. Solo così può essere osservato con occhi diversi e un po' compiaciuti. E' la variante young adult di Il ragazzo invisibile, ma l'esperimento è dello stesso tipo. Territorio raramente esplorato, dunque, soprattutto con questi deliziosi toni indie. (6,5)
Titolo lungo, durata ridotta, un assassino mascherato che per i fanatici dell'horror, forse, è una vecchia conoscenza. The Town That Dreaded Sundown è il remake di uno slasher degli anni '70, e uno dice che noia. Ma questo film si rivela un'autentica chicca; un gioiellino insanguinato. Il regista è Alfonso Gomez-Rejon, nome di punta nella direzione di Asylum, il migliore degli American Horror Story, e ha un talento sorprendente. Nonostante la trama esilissima, uno Scream vintage che qualche colpo di scena ben piazzato lo regala, il film si fa guardare dal cinefilo attento con gli occhi a cuore. Non c'è una scena che non sia confezionata ad arte. Sangue contenuto, morti fantasiose e i volteggi funambolici di una macchina da presa che non sa stare ferma, in cerca delle angolazioni più originali, dei giochi naturali delle ombre, della qualità che nel genere di serie B per eccellenza si è raramente riscontrata. Il resto è roba che Craven, con più ironia e vivacità, ha già affrontato. Uno script più memorabile, al prossimo giro, e Gomez-Rejon potrebbe essere il profeta del nuovo modo di far paura, ma con classe. (6,5)
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