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Mr. Ciak: La famiglia Bélier, Hungry Hearts, Sarà il mio tipo?, Lost River, The Last 5 Years, It Follows
Creato il 11 maggio 2015 da Mik_94Ecco, qui ci avviciniamo. Alla mia commedia francese. Alle giusta proporzione tra semplicità e impegno. Il titolo italiano prometteva risate e un epilogo solito. Non che quello originale fosse diverso, non che la trama brillasse: professore di filosofia in esilio, intreccia una relazione con una ragazza che non ha grossi sogni. Lui frequenta convegni, lei si esibisce al karaoke. Lui legge saggi, lei ha la fissa per i rotocalchi e la Aniston. Uno orgogliosamente parigino, l'altra – sia nel nome, sia nello studiato look – esterofila. E ci provano sì a venirsi incontro. Ma Clément è scettico, perfino sui dettami del cuore; Jennifer, a un bivio, è stanca di inseguire l'uomo impossibile. E' lei a dire il primo e unico ti amo; è lui a tenere gli occhi aperti mentre si baciano. La freddezza del prof e il romanticismo della parrucchiera sono due modi di vedere la stessa storia. Il punto di vista dello spettatore, però, finisce per coincidere con lo sguardo limpido e comune della bravissima Emilie Dequenne – la Rosetta dei fratelli Dardenne ormai diventata donna. Ma è in lui, opportunista e misantropo col volto impenetrabile di un ottimo Loic Corbery, che mi sono un po' rivisto: brutto ammetterlo, ma viva l'onestà. Parte con la consueta leggiadria e con ritmi perfetti questo Sarà il mio tipo?, per poi imboccare l'inconsueta strada dei drammi da Sundance. Allora sorprende, per l'amaro in agguato. Per quel titolo originale, Ne pas son genre, che è simile al nostro, ma manca del punto interrogativo. Non c'è dubbio, è una dura presa di coscienza: non è il mio tipo. Illudersi del contrario è un attimo, un errore, una bugia. (7)
Nonostante sia bello e bravo in quantità uguali, Ryan Gosling lo si invidia un botto, ma non lo si odia. Si attendeva, dunque, il suo esordio alla macchina da presa. Lost River si fa fatica a metterlo a fuoco. Non è quel che sembra, ma non si sa cos'è: è girato da dio – anche se, a sprazzi, sembra più un lavoro di Nicolas Winding Refn che dell'onnipotente – ma è scritto da chi non sa bene come e cosa comunicare. Un puzzle di storie dolci e crudeli, in un'oscura fiaba che ha le ambientazioni surreali, i lupi cattivi esagerati, personaggi dai nomi parlanti e una morale della storia che sfugge. La procace Christina Hendricks è una madre che, per campare, ogni notte lavora in un club di sensualità e massacri. Suo figlio, perseguitato dal bullo Matt Smith e innamorato di Saoirse Ronan, la aiuta come può, rubando rame e cercando Atlantidi sommerse. Ma non c'è un attore che brilli davvero sugli altri, tant'è vero che la particina della Mendes è aria fresca e l'iconica Barbara Steele strega. Tra rimandi, fuoco e acqua, immagini sanguinose e suggestive e la ricerca della fuga. Tecnicamente all'avanguardia, ma secco, troppo, nella trasmissione del messaggio. Messaggio che ci sarà, ma personalmente ho stentato a recepire. Come dire che sia brutto? Come dire che sia bello? Si opta, perciò, per un è già finito; tutto qui? Resoconto di un fantasmagorico videoclip muto. Senza canzone. (6)
The Last Five Years è un altro spettacolo di Broadway che fa il grande salto. Fatto strano, perché quando si immagina il musical non si fa che pensare agli epiloghi felici. Eppure le canzoni vivono di cuori spezzati, fiducia infranta e continui facciamola finita. Into the woods però era una fiaba Disney, e vedi che noia. Figuriamoci se Like Crazy o Blue Valentine diventassero una ballata sull'amore tradito, sorretta da un cast di due attori. Inaspettatamente – purché piaccia il genere – si rivela un musical moderno e adulto, originale nella sua normalità. Cathy e Jamie si innamorano subito e si disinnamorano in fretta: lei, il sogno dello spettacolo e le insicurezze della moglie oggetto; lui, prodigioso scrittore che colleziona riconoscimenti e musi lunghi. A reggere il tutto, i bravissimi Anna Kendrick e Jeremy Jordan. Che lei canta e recita bene lo testimoniano quella Cups Song tormentone e una nomination all'Oscar, mentre le doti di lui – assodate per chi ha seguito Smash – si fanno ricordare grazie a note altissime e al personaggio più umano della storia. Unico appunto: alcune canzoni, registrate in presa diretta, sarebbero state meno precise ma più intense, con un sospiro o un singhiozzo piazzato al momento giusto. LaGravenese, con la leggerezza di chi da tanto è tra gli addetti ai lavori, confeziona un dramma sentimentale dal finale annunciato, in cui i punti di vista di lui e di lei si alternano, passando da toni effervescenti a maturi faccia a faccia. E non ci si annoia, nonostante la musica perenne e il tema agrodolce. Con l'allegria contagiosa delle prime volte che sfuma canzone dopo canzone, mentre i due si allontanano piano, tra loro e da te, senza lasciarti amareggiato. (7)
It Follows non è il classico horror di nicchia che si pesca tra i film inediti e si guarda con aspettative zero. Su di lui, pesavano attese poderose. Chi dice sia il film di genere più bello dell'ultimo decennio ha incuriosito e ha detto anche una cazzata da guinness. Non so se le attese mi hanno reso troppo fiducioso, ma al posto del troppo io ho trovato il nulla. Mi ero informato a stento sulla trama e, per un'ora e quaranta, paziente, sono andato in cerca di un senso. Horror indipendente, premiatissimo, parla di un terrore che si diffonde come una malattia venerea. Attraverso un rapporto sessuale, un'adolescente contrae una maledizione e unico modo per liberare la sua casa infestata – fior di metafora - è fare ancora sesso, per passare sortilegio e gonorrea al partner successivo. Il meccanismo della videocassetta di The Ring, insomma, ma con la firma della Durex. Disposta ad aiutare la bellissima Maika Monroe, spalla di Dan Stevens nell'idolesco The Guest, al gioco della patata bollente - altra metafora - una fila lunga così. Riuscirà la nostra eroina a darla via prima che oscure entità la facciano pentire della notte in cui ha ceduto all'altro sesso? Trama ridicola, personaggi insensati, una regia particolarissima ma che dopo un po' viene a noia. Mitchell scimmiotta Carpenter – vedi le sonorità vintage della colonna sonora e l'ambientazione indefinita: kitsch e con sprazzi futuristi - ma il suo è un omaggio inutile: ama tanto la macchina cinema e poco il genere. Magari ho visto il film sbagliato e, sotto il nome giusto, c'era un video degli anni '80 sui giovani e l'importanza del sesso protetto? Non fa paura, annoia, sembra nato vecchio, ed è mortalmente serioso: fattori ricercati, tra l'altro, negli horror di ultima generazione. E i tempi cambiano, e nostalgicamente preferisco quelli vecchi: non c'ero io, ma vi ho assistito in differita. Una volta la paura viaggiava sul filo del rasorio. Oggi, al massimo, sulla punta del pisello. Avrei usato un'altra metafora, ma le ho finite, sorry. (4)
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