Un viaggio. Un viaggio d'altri tempi. Un viaggio in India. Si parte da Londra, colla nave. Si arriva a Mumbai, o Bombay: ma come diamine si chiama questa città? Con me ho il braccialetto portafortuna. Un Miansai. Chissà di dove sarà il brand. Miansai. Suona giapponese. E invece no. Cerco sul fichissimo Iphone. "Creata a Miami da Michael Andrew Saiger, Miansai...". Americana. Come le aziende di una volta, il nome è quello del fondatore, l'insieme delle sue iniziali. Detto così sembra una legge della matematica. Flusso di coscienza. Fottiti, Joyce.

Sulla nave voglio dormire. Effettivamente dormo. Sbarchiamo a Mumbai. O Bombay? Lo cerco, anche questo. Mumbai dal 1995. Addosso ho la mia tshirt Lanvin. Un po' troppo lunga, sembra una tunica. Eppure è così. E' setosa. Effettivamente è seta. Mi piace, sembra un quadro. Pagata tanto, eh...
Gli azzurri sono così intensi.
E' l'alba. E' magnifica. Anche i suoi colori sono incantevoli. La città è una cacofonia di immagini, permettetemi la sinestesia.Sopra indosso una sciarpa in seta, anche lei. Di Dries Van Noten. E' fatta in India, casualità. Mi piace l'artigianato indiano... o è solo una questione di marketing ed è a livello di Made in China raffinato? Non credo. Comunque sembra fatta apposta per la tee. Stessi colori. Ha delle belle e poderose nappine di seta. Mi piacciono. Mi piace anche l'etichetta, con quella sua scritta corsiva. In verità ho portato due sciarpe, ma sono simili.

Una...
... e due.L' India è stata colonia inglese. E si vede. Non certo nell'organizzazione burocratica, ma negli enormi palazzi che i britannici costruirono. Vago tra di loro. La città è ancora mezza addormentata, ma già brulica di anime. Un controsenso? Diciamo che gli abitanti degli slum si danno da fare. Comunque, in memoria della colonizzazione inglese, ho scelto una giacchetta militareggiante di Lanvin, in cotone.



La città ha un che di decadente. Me lo aspettavo, ma di meno. L'impatto con lo slum, il contrasto della lamiera con le sete e i colori sgargianti... però la gente sorride.


Qualche giorno a Mumbai. E poi? Mi dirigo ad Agra. Prendo un treno. Un'esperienza terribile. Mai più. Poi però si arriva. La città è bella. Il Taj Mahal, il forte Rosso... la giacca è un'altra, Taffetà di seta. Anzi no, guardo bene: Nylon e Poliestere. Vabbè. Come al solito è abbinata a una delle loro fantastiche spille da revers. Mi ricordano tanto le trame a fiori del ricamo indiano. Maledetti flussi di coscienza. Il ricamo più complicato si chiama ricamo Zadosi, viene eseguito con fili metallici. Anche i bambini lavorano, qui. Non ci penso mai. Saranno loro le fini manine dietro agli atelier artigianali dei brand? Chissà. No, forse. Scandali troppo grandi.






Il Taj Mahal anche si trova ad Agra. E' la tomba che un imperatore mogul fece costuire per la giovane moglie morta anzitempo. Sembra essere lì da sempre, invece è di metà seicento. Molti edifici di Roma sono più vecchi. Però...Il poeta Rabindranath Tagore lo definì "Una lacrima di marco ferma sulla guancia del tempo". Le citazioni dolci si sprecano, basta cercarle su wikipedia. "Avete mai costruito un castello in aria? Qui ce n'è uno, portato giù sulla terra e fissato per la meraviglia dei tempi." Questa è di Bayard Taylor. Non lo conosco. Nessun link sul suo nome. Sarà un illustre sconosciuto? Viaggiatore sconosciuto e letterato, americano. La principessa, questa del taj, si dice fosse di enorme bellezza e sensibilità. La leggenda vuole che abbia chiesto, morente, al marito di erigere per lei un monumento al loro amore, e non risposarsi più. Lui rimase in solitudine dopo la sua morte. Un anno. E quando lo rividero sembrava invecchiato di dieci. Venti furono invece gli anni necessari per costruire il Taj. La leggenda vuole anche che l'imperatore ordinò che agli artisti che lavorarono all'opera fossero, indovinate un po', tagliate le mani. Fortunatamente non si è sicuri della sua veridicità. Tutto il mausoleo è perfettamente simmetrico. Tranne un errore, al suo centro. Per una beffa del destino proprio la tomba del mogul, che, non prevista, è al lato di quella della sua bella.
Naturalmente due leggende erano troppo poche. E così ne spunta un'altra. Quella di un altro Taj, un Taj nero, che si sarebbe dovuto costruire. O forse sono solo le suggestioni del riflesso dell'enorme mausoleo sugli specchi d'acqua?




Un po' di immagini stereotipate...Prendo un pullman con una comitiva di giapponesi. Ci si dirige ad Amritsar. Naturalmente gli inconvenienti del viaggio ci sono. Uno? L' influenza intestinale. Mai capito perchè si chiamasse così. Tanto vale dire diarrea e fugare ogni dubbio. Anzi no, forse è meglio influenza intestinale che diarrea o cagarella. Comunque è un'allitterazione piacevole. Non ho mangiato molto, sono dimagrito. Voilà: cintura e risolto il problema. Hermès, in seta.

Amritsar è famosa per il tempio Sikh dorato che troneggia su un lago. Placido paesaggio.


Il tempo stringe. Devo prendere un aereo al ritorno, ma in pochi giorni mi sono prefisso di visitare ancora altri due luoghi. Di corsa a Jodhpur. La città azzura. Ormai cambio vestiario ispirandomi alle città dove vado. Mi sembra necessaria questa cintura di Hermès in pelle Mykonos:

Il Mykonos
Jodhpur. E' bello notare come qua anche la gente si vesta di colore. Ma non c'è tempo. Voglio rilassarmi. Udaipur, arrivo.Metto una tshirt di McQueen: i cocci di un raffinatissimo vaso di porcellana, rotto, creano un teschio. Vanitas, effimero. Chissà perchè proprio questa maglietta, chissà perchè proprio ora. La fine del viaggio è l'effimero, il colore è il ricordo di Jodhpur, il disegno è la delicatezza dei decori indiani e di Udaipur. Mi tratto da riccone e mi faccio due notti al Lake Palace Hotel. Innegabile, mi piace.









La Venezia dell'est, è detta. Famosa per i suoi 4 laghi e i brillanti palazzi. Effettivamente è così. Di Venezie del... ce ne sono tante nel mondo: Amsterdam, Bangkok, Stoccolma, Colmar. Ognuna tenta di rubare il titolo alla città italiana. Udaipur le si avvicina. E' unica, raffinata come un merletto. E io me la godo dal più bello dei palazzi, sul più bello dei laghi.


Dopodichè, però, si torna...






