Edvard Munch – Self-Portrait à la Marat at Dr Jacobson’s Clinic in Copenhagen – 1908-09 – © Munch Museum Organizzata in stretta collaborazione con il Munch Museum di Oslo e il Centre Pompidou di Parigi, la mostra che la Tate Modern dedica a Edvard Munch (Loten, 1863 – Ekely, 1944) presenta una selezione di dipinti, fotografie e cortometraggi realizzati dall’artista. Ma non si tratta di una retrospettiva, al contrario: i dipinti rappresentano solo una parte del percorso e sono presenti per illuminare un momento particolare della sua carriera. Non mancano i capolavori, ma sono assenti i quadri per cui Munch è noto al grande pubblico: per una volta i curatori, invece di soffermarsi sull’immagine dello psicopatico pittore ottocentesco tramandatoci dalla critica, vogliono dimostrare che Munch era un pittore del XX secolo, al passo con le scoperte del suo tempo, quasi un modernista.
Sebbene l’idea di un Munch d’avanguardia sia discutibile (il fatto che molta della sua opera abiti parte del XX secolo, essendo morto nel 1944, non lo rende necessariamente un modernista), il relegare per una volta le sue ben note angosce esistenziali a un ruolo secondario è una ventata d’aria fresca. Perché Munch, come altri della sua generazione, fu profondamente influenzato dall’avvento della tecnologia e per tutta la sua carriera non cessò di sperimentare con strumenti alternativi alla pittura, come la fotografia e il cinema. Ed è proprio questo che la mostra di Tate Modern mette in rilievo, accanto a un altro elemento altrettanto importante nella sua formazione, il teatro.
Edvard Munch – The Girls on the Bridge – 1927 – Munch Museum – © Munch Museum/Munch-EllingsendGroup/DACS 2012
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