In un editoriale sullo Spiegel, il commentatore economico Wolfgang Munchau (noto per le sue posizioni critiche sulla Merkel, Monti e l’euro) sostiene che il totale abbandono dell’economia keynesiana da parte dell’SPD l’ha ormai privata di un efficace “narrazione elettorale”. Per Munchau, l’SPD ha rinunciato al keynesismo quando l’ultimo keynesiano nel partito, Oskar Lafontaine, uscì nel 1999, lasciando il campo aperto a Gerhard Schroder, che in seguito ha perseguito le sue riforme supply-side.
Ma la forza economica della Germania, così tanto decantata, è pura illusione, spiega Munchau. La Germania ha un tasso di investimento tra i più bassi dei paesi industrializzati. Inoltre, quanto a crescita della produttività, è in fondo alla classifica. La strategia non può funzionare.
Mentre tutto il mondo ha vissuto un “rinascimento keynesiano”, con i progressisti che hanno riscoperto la lezione dell’economista inglese, l’SPD è invece rimasta fuori. Munchau sembra rimpiangere l’SPD di Willy Brandt che nel 1969 sconfisse di un soffio i conservatori. Anche allora la competitività tedesca schiacciava i partner europei e mentre la CDU voleva proseguire su questa strada, la SPD indicava una nuova politica economica e dopo le elezioni rivalutò il marco tedesco.
Oggi, l’SPD è solo un altro partito conservatore, le cui differenze con la CDU si riducono a discussioni circa la distribuzione, non più a questioni fondamentali. Ciò che rimane ancora come differenza tra i maggiori partiti sono sfumature, luoghi comuni, non i principi.
Questo, secondo Munchau, è il motivo per cui il dibattito in tv tra Merkel e il candidato dell’SPD Steinbrück (che peraltro è stato ministro della stessa Merkel nel governo di “grande coalizione”) è stato definito “un duetto” da alcuni giornali.
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