Muore ad Atene il 5 febbraio 1931, Athanasios Eftaxias, uomo politico che aveva ricoperto, sin dal 1893 incarichi governativi. Verso la fine del 1893, prima che nel dicembre venisse dichiarata la bancarotta dello Stato, fu protagonista in parlamento di un accorato appello e cui toni e contenuti per certi aspetti, ricordano numerosi interventi parlamentari di oggi.
Si ricorda che nel 1893, il crollo sui mercati internazionali del prezzo dell'uva passa, che era praticamente l'unico articolo di esportazione del regno, determinò un drammatico calo delle entrate, in seguito al quale il governo di Charilaos Trikupis fu costretto a dichiarare la bancarotta, riducendo del 70% il pagamento degli interessi sui bond. Feroce fu il dibattito in parlamento tra rappresentanti del governo e, soprattutto, i nazionalisti di cui faceva parte l’Eftaxias. Di seguito un passaggio del suo lungo intervento di quella giornata:
“Signori, non è manifestazione patriottica bensì antipatriottica pronunciarsi così come ha fatto l’onorevole deputato di Andros circa la bancarotta della propria patria, trasformandola in necessità politica e soprattutto proclamandola come ha fatto, dall’alto di questo consesso parlamentare.
Quando le parole di questa sinistra proclamazione del disonore nazionale per la prima volta si sono udite in questo consesso [in altra sessione cfr.], coloro che le ascoltarono non attribuirono al Sig. Contantinopoulo, che le ha pronunciate, l’importanza che avrebbe dovuto esser loro conferita.
Se la Camera avesse attribuito una qualche importanza alle sue parole, sicuramente si sarebbe alzata come un solo uomo ad imporgli il silenzio. Ma la pietà che abbiamo provato per quest’uomo potrebbe aver incoraggiato il deputato di Andros a ripetere le sinistre parole, a qualificarle anche come patriottiche, molto patriottiche. Io credo di essere l’interprete del pensiero non solo del partito politico al quale ho l’onore di appartenere, ma anche di tutti gli altri partiti degni di tale nome, protestando con tutte le mie forze contro questa vergogna che si vorrebbe infliggere al nostro paese. Seppure divisi su molte altre questioni, Signori, noi in questo siamo d’accordo. Noi dobbiamo tenere alta la bandiera e l’onore della Grecia che alcuni stanno cerando di macchiare in maniera indegna ed impietosa. Il popolo Elleno, sempre pronto a tutti i sacrifici sull’altare dell’onore nazionale, verrà a sapere, ne sono sicuro, con indignazione e disgusto che si è ritrovato, in questo consesso, dei rappresentanti del paese che hanno avuto il coraggio di farsi interpreti di appetiti così bassi e ignominiosi.
Fino a questo punto, signori, abbiamo osservato la bancarotta solamente in nazioni senza tradizioni nazionali, senza obiettivi nazionali, senza un lungo avvenire. Il Portogallo, il Brasile, la Repubblica Argentina, l’Egitto, la Turchia sono andati in bancarotta, ma questi paesi sono già condannati ad un immiserimento politico. E voi volete assimilare a loro la Grecia che ha delle così gloriose tradizioni nazionali, una così alta missione da compiere, che vede aprirsi davanti a lei un così immenso avvenire? Bisogna essere ciechi, in verità, aver perduto il senso del discernimento per non poter comprendere che la Grecia, dichiarandosi fallita, si mostrerebbe indegna del proprio passato, sconterebbe il proprio presente ed il proprio avvenire e la si condannerebbe al marasma politico che sarebbe ancora peggio della morte politica. Io non esaminerò, Signori, la questione solamente dal punto di vista più nobile e più alto. La esaminerò dal suo punto di vista più basso e più vile, ovvero dal punto di vista economico. Domando ai fautori della bancarotta: credono loro che la sua proclamazione potrà migliorare la situazione finanziaria,contribuirà come alcuni pensano, a ristabilire il prezzo normale dell’oro, a ridurre il tasso di cambio ed a risollevare il valore della valuta legale? Ma se loro ignorano questo, cercheranno di trarre lezione da ciò che è successo in altri paesi che, come noi in virtù di una situazione forzata, hanno sospeso i loro pagamenti? In quei paesi, dopo la sospensione dei pagamenti la moneta legale ha subito un deprezzamento del 100%. E’ ciò che ci succederebbe anche a noi, ma Dio non voglia che anche la Grecia possa ritrovarsi mai a fare altrettanto. Siatene certi, Signori, che ciò succederà quando il franco non sarà più intorno al valore di 1,5 o 1,6 dracme ma di 2 e più dracme cartacee [i bond ndr]. E questa non sarà l’unica aggravante della nostra situazione finanziaria.
I valori greci, Signori, non sono unicamente nelle mani straniere ma anche nelle mani degli Elleni, nelle mani dei nostri istituti di credito, delle nostri istituzioni filantropiche. La bancarotta della Grecia fermerebbe per lungo tempo, se non per sempre, la porta all’inserimento dei capitali stranieri nel nostro credito pubblico e privato e ci condannerebbe ad un isolamento economico. La bancarotta dello Stato avrebbe per effetto l’impoverimento del paese, impoverimento che sarebbe necessariamente seguito da una crisi sociale di cui è impossibile prevederne le proporzioni.
Dobbiamo tremare, Signori, al pensiero che ci sia proposto di levare la bandiera della bancarotta come una bandiera politica e di piantarla nel consesso stesso del Parlamento nazionale. La bancarotta è una vergogna, un disonore nazionale, disonore che potrebbe apparire come una catastrofe inevitabile ma bisogna essere ciechi e non avere pietà del proprio paese per farne una scelta politica. Spero, Signori, per l’onore di voi tutti, che qualora osasse mostrarsi ancora qui con questa sinistra bandiera, che la Camera tutta si sollevi per chiudere la bocca a quell’empio, a quel sacrilego che proferisse un simile insulto alla Patria”.
Al Primo ministro Trikupis che a seguito della dichiarata bancarotta dimissionò, successe il nazionalista Theòdoros Diligiannis che, fors’anche per “distogliere l’attenzione” dal disastro economico cercò, facendo leva sull’orgoglio nazionale, di portare l’attenzione sull’annessione di Creta. Ne scaturì una guerra con gli Ottomani, detta “guerra dei 30 giorni” che finì male per la Grecia, costretta così non solo a rinunciare a Creta ma anche a pagare danni di guerra oltre a dover accettare l'insediamento di una commissione internazionale di controllo formata da inglesi, francesi, russi, tedeschi, austriaci ed italiani, che assunse direttamente la “supervisione” del pagamento degli interessi sui debiti esteri. A tal fine i commissari decisero di introitare i proventi dei monopoli di stato del sale, del kerosene, dei fiammiferi e delle carte da gioco, oltre ai dazi sul tabacco e la carta da sigarette e le imposte da bollo, nonché gli importi delle tasse doganali riscosse dal traffico del porto del Pireo.
Insomma, anche la troika non è una novità.
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