Murder Ballads: Dimebag Darrel – Cowboy from hell

Creato il 19 febbraio 2012 da Nottecriminale9 @NotteCriminale

di Sergio Gilles Lacavalla
A Marysville, nell’Ohio, le armi le puoi comprare all’emporio. Sono nello scaffale dietro al bancone, vicino alle magliette delle squadre di football e di baseball. 
La signora Mary Clark ne comprò una, una .9 millimetri semi-automatica bellissima per il 25esimo compleanno del suo amato figlio, Nathan “Nate” Gale, marine dal febbraio 2002 al novembre 2003, quando era stato congedato per disturbi della personalità, e che per questo motivo era tornato a vivere con la madre. 
Lei ne era contenta, gli faceva tanti regali e gli preparava sempre la torta di mele che lui divorava a colazione; oltre a non perdere mai occasione per criticare gli strizzacervelli del Dipartimento della Marina. 
Ma che ne volevano sapere loro di suo figlio, non era affatto un instabile di mente: certo a volte si fissava su qualcosa e non c’era verso di fargli cambiare idea, ma questo non voleva dire che era matto. 
Come quando si fissò con quella storia dei Pantera, la band di cui era un acceso fan. Nate attribuiva la fine del suo gruppo preferito al chitarrista Dimebag Darrel che, dopo una lite col cantante Phil Anselmo, cacciato dalla formazione per la sua tossicomania irrecuperabile, e che avrebbe dichiarato su Metal Hammer che «Dimebag si meritava di essere picchiato severamente, a sangue, ammazzato di botte per quello che aveva fatto ai Pantera», si era dedicato, con suo fratello Vinnie Paul, ai Damageplan, scongiurando così ogni possibilità di riunione della band thrash speed metal texana. 
A volte Nate sosteneva addirittura di aver scritto lui alcune canzoni dei Pantera. 
Ma tutto questo mica voleva dire che fosse uno squilibrato. Ripeteva quella frase letta sulla rivista metal in continuazione, «Dimebag si meritava di essere picchiato severamente, a sangue, ammazzato di botte per quello che aveva fatto ai Pantera», e allora, tutti a volte ripetiamo le stesse cose. 
Col regalo di sua madre, Nate non avrebbe fatto del male a nessuno. Era buono lui: lo avevano pure mandato via dalla squadra di football americano per la sua scarsa aggressività – nonostante il fisico robusto. 
I Damageplan avrebbero suonato all’Alrosa Villa di Columbus l’8 dicembre 2004 – l’anniversario della morte di John Lennon ucciso per mano di un “fan”. E Nate “si era messo una maglietta della locale squadra di hockey, i Blue Jackets, quella sera. 
Alle 22 e 18 i Damageplan avevano iniziato da pochi secondi il loro concerto, quando dalla sinistra del palco compare Nate con la pistola della mamma. 
Avanza, cinque colpi freddano a bruciapelo Dimebag Darrell, due lo centrano alla testa. Un proiettile ferisce suo fratello alla batteria. Dopo Darrell, Nate uccide Jeff Mayhem Thompson, un addetto alla sicurezza della band che era intervenuto, Nathan Bray, un fan dei Damageplan tra il pubblico salito sulla scena per prestare soccorso, insieme all’infermiera Mindy Reece che prese a praticare all’agonizzante chitarrista la respirazione bocca a bocca, ed Erin Halk, roadie e bodyguard della band, anche lui ex marine. 
Vengono feriti altri due componenti dello staff, usciti dal backstage, il tour manager Chris Paluska e il tecnico John Kat Brooks, che Gale dopo gli omicidi prende in ostaggio. Sta cercando di tenerlo bloccato per proteggersi quando interviene sulla scena un poliziotto, ma non farà in tempo né a rispondere né a ripararsi che l’agente, James D. Niggemeyer, lo colpisce con un proiettile sparato dal suo fucile Remington 870 alla testa, uccidendolo sul colpo.
  Sono le 22 e 20” (da “Rockriminal Murder Ballads Storie di Rock Balordo e Maledetto”). 
Saputa la notizia dai giornali, la madre di Nathan “Nate” Gale strappò i poster dei Pantera dai muri della stanza di suo figlio e dichiarò alla stampa: «Non riuscirò mai a dimenticare quello che è successo». 
Prima di esplodere i colpi addosso a Dimebag, Nate sembra gli abbia urlato: «Ti uccido perché tu hai ucciso i Pantera». 
«Voglio rendere onore a Niggemeyer, senza il suo intervento chissà quante altre vittime avrebbe fatto Nate» aggiunse la signora Clark, nonostante volesse molto bene a suo figlio. 
E non andò più all’emporio. Che pare nei giorni seguenti alla strage abbia visto aumentare le vendite delle .9 millimetri semi-automatiche.

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