Perché dovremmo visitare un Museo del Laterizio? Nell’opinione comune i laterizi sono dei manufatti utilizzati per la costruzione e che, in quanto tali, poco hanno a che fare con la cultura, l’arte, la bellezza.
Niente di più sbagliato, in verità, e ce ne accorgiamo appena entriamo nelle prime sale del Museo. Il laterizio è una componente fondamentale del vivere dell’uomo, da quando ha cominciato a costruirsi delle dimore che potessero essere considerate tali. Tali oggetti sono per noi qualcosa di scontato, ma per chi ha la sensibilità di vedere e di ascoltare, sono capaci di narrarci la nostra storia, quella quotidiana, magari meno importante, ma più intima e più vicina ad ognuno di noi.
Inizio la visita all’interno del museo: le prime sale contengono esempi di laterizi romani rinvenuti nel territorio marscianese, segno evidente che la zona è sempre stata votata all’attività della lavorazione dell’argilla, dalle epoche più remote sino ai giorni nostri.
Si passa poi alle stanze dove viene illustrata la lavorazione artigianale di questo materiale nell’era pre industriale, a mio parere di una poesia unica… La poesia di un lavoro durissimo… che richiedeva la simbiosi completa del lavoro dell’uomo con i ritmi della natura e delle stagioni. Un anno era il tempo necessario per realizzare UNA cottura nella fornace: tra ottobre e dicembre veniva tagliata la legna necessaria per cuocere i pezzi e veniva cavata l’argilla. La legna veniva fatta asciugare e l’argilla era lasciata riposare per far si che leganti chimici la rendessero più resistente; i mesi di gennaio e febbraio non si effettuava alcuna attività a causa del tempo avverso e le temperature proibitive. Da Marzo in poi avveniva la lavorazione vera e propria: l’argilla veniva impastata con l’acqua, posta negli stampi per la realizzazione dei pezzi necessari, e lasciata poi ad asciugare naturalmente fino all’arrivo dell’estate, tempo nel quale i pezzi venivano cotti nella fornace, tutti insieme, con una tecnica apposita per la sistemazione dei pezzi all’interno, in modo da evitare quanto più possibile rotture e scarti. La cottura durava 15 giorni, nei quali gli operai addetti ,senza sosta, lavoravano per mantenere la fornace ad una temperatura stabile. Cosa semplice a dirsi, ma implicava una conoscenza profonda del lavoro ed una competenza tecnica enorme perché non esistevano termostati o termometri per la misurazione. Esempi di manufatti sono visibili per illustrare la tipologia dei pezzi prodotti.
Con l’avvento della fornace industriale Hoffman tutti questi passaggi vengono “forzati” e la produzione diventa intensiva, nonché, per la prima volta, è possibile produrre il mattone “forato”, indispensabile per le costruzioni dei nostri giorni.
E’ possibile vedere poi la ricostruzione di una tomba etrusca del IV secolo a C., ritrovata nel territorio di Marsciano, per la precisione a Villanova, con il suo corredo di suppellettili in terracotta. Dato l’elevato numero di ciotole e contenitori vari si pensa sia la tomba di una donna, che utilizzava tali oggetti per contenere profumi, cosmetici e per l’uti
lizzo in cucina.Il clou della produzione e dell’utilizzo degli oggetti in terracotta nell’uso quotidiano avviene nel 1800: possiamo vedere (o rivedere, per chi ha ancora il ricordo di una vita semplice e contadina, tutt’altro che legata al consumismo) gli oggetti presenti in tutte le case contadine umbre e non solo: tegami, stufarole, di forme varie e a seconda delle pietanze, le “pretine” (simil borse dell’acqua calda), gli scaldini che si riempivano di cenere, bollitori che si utilizzavano sopra le botti per raccogliere il vino in ebollizione, zuppiere, le leccarde o ghiotte che si ponevano sotto lo spiedo per raccogliere i grassi che colavano dalle carni arrosto. Le brocche, i colaerba. Un grande contenitore per lavare i panni, con un buco in fondo che veniva tappato per lasciare i panni in ammollo con cenere o lardo, per essere poi lavati e risciacquati.
Una volta danneggiati, i pezzi, così preziosi, non potevano essere gettati: ecco allora la maestria del “Ferrapignatte” ovvero colui che dava una seconda vita agli oggetti ingabbiandoli in una rete di fil di ferro o sapientemente ricuciva insieme i pezzi dell’oggetto rotto per permetterne l’ulteriore utilizzo… com’è lontano tutto questo dalla nostra realtà…
La galleria degli orci lascia senza fiato: una teoria di grandi orci, anche decorati, perfettamente conservati ed antichi (molto rari), ci accompagna verso le altre sale del Museo. Gli orci possono essere da olio (panciuti e con l’unica apertura nella parte superiore)e da vinsanto (con fori per l’inserimento di cannelline che permettevano di spillare il contenuto).
Chiude questo viaggio nel tempo una collezione di fischietti. Le forme e fogge più varie hanno ispirato la realizzazione di questi pezzi provenienti da tutta Italia e dal mondo. E qui si aprirebbe un altro affascinante discorso sul loro utilizzo. Oltre all’aspetto ludico, più immediato, i fischietti venivano, e vengono utilizzati ancora, presso alcune popolazioni, per scacciare il male ed attirare le forze del bene. Vediamo infatti fischietti a forma di Santi (è presente quindi anche l’aspetto religioso).
Alla fine di questo viaggio la concezione di “Laterizio” è ben diversa… è la nostra piccola storia quotidiana, radicata in ognuno di noi, è la semplicità dell’uso quotidiano degli oggetti, che parla delle nostre vite.