È impossibile varcare l’uscita dell’Arengario a Milano, sede del Museo del Novecento, senza porsi delle domande su quanto sia necessaria, o semplicemente influente, la Metafisica nell’attività di un artista. Da sempre presente nel pensiero filosofico, la Metafisica spinge oltre l’esperienza dei sensi, la sua missione è di dedicarsi alla vera essenza di tutto ciò che esiste, in parole più semplici a ciò che si ritiene essere l’aspetto più autentico e fondamentale della Realtà che viviamo quotidianamente. L’attenzione della Metafisica è rivolta solo a ciò che è eterno, stabile, necessario e assoluto. Ha poca importanza il soggetto, la persona concreta, i sentimenti e soprattutto le opinioni o la sensibilità di ciascuno di noi nel vivere un’esperienza o nel recepire ciò che ci sta intorno, perché tutto questo ha un carattere troppo volubile e momentaneo e non può garantire una percezione della vera Realtà. Uno dei Maestri della Pittura Metafisica è stato senza alcun dubbio Giorgio De Chirico; le sue opere influenzate dagli studi legati a questa corrente pittorica (o dalla moda dell’epoca, forse?) possono essere uno strumento molto utile per chi si sta avvicinando a questo nuovo modo di osservare la realtà.
Alla luce del pensiero metafisico i celebri manichini non solo svelano il mistero della loro inquietante e silenziosa presenza ma si riesce anche a vederli per ciò che sono veramente: un ritratto della società o ancora più universalmente il più accurato ritratto dell’umanità. Immaginiamo di dover dipingere un gruppo di persone, ognuna con il suo colore di capelli, i propri lineamenti del viso, taglio e colore degli occhi e forme del naso e della bocca.
Come possiamo dare vita a questa moltitudine, riassumendola in una sola figura, senza perdere l’essenza vera e propria del genere umano? Non vi è scelta migliore che sottrarre tutto ciò che non è universale, arrivando come risultato al manichino, che incarna le caratteristiche generali dell’essere umano ma non presenta alcuna caratteristica “personale”.
Non è un caso ritrovare il manichino nelle vetrine sia di boutique esclusive sia nei grandi magazzini, dove è utilizzato per esporre le creazioni o la merce da vendere; infatti ognuno di noi può immedesimarsi in esso e, indossando il vestito, immaginarsi al suo posto, ricavando la falsa convinzione che l’abito possa andar bene a chiunque.
Dopo questo piccolo e necessario inciso sulla Metafisica, giusto per renderci conto di come essa sia molto più presente nelle nostre giornate e di quanto poco ce ne rendiamo conto, si vorrebbe ora dar il giusto spazio alla Pittura Metafisica, per darle l’opportunità di farsi conoscere meglio e, si spera, di offrirci spunti di riflessione sulla quotidianità che possano accompagnarci durante le nostre giornate. Nella collezione del Museo del ‘900 troviamo anche opere di Giorgio Morandi, che nelle sue nature morte denota un’influenza e una eco dei quadri di De Chirico.
La figura del manichino riappare pur con forme nuove, ma ancora silenziosa. Ciò che fa riflettere è la sua caratteristica personale nel dipingere i paesaggi, infatti, non si tratta di una classica tecnica en plein air o di riproduzione da scatti fotografici. Morandi estraeva dalla realtà visioni concrete, le faceva sue, le analizzava e le rielaborava sulla tela. In tal modo si crea una realtà parallela a quella tangibile, ma pur sempre vera perché radicata in chi la vive.
L’ultimo dei tre grandi Maestri che dimorano nelle sale del Museo del ‘900 è l’alessandrino Carlo Carrà, che non ha mai trovato una sua identità vera e propria all’interno di un movimento artistico. Futurismo, Metafisica, Cubismo hanno rappresentato per lui una sorta di pellegrinaggio con lo scopo di trovarsi e formarsi. Carrà ha seguito l’onda delle varie correnti, ha raccolto ciò che più gli interessava per il suo percorso e ciò che era più vicino alla sua concezione dell’Arte e ha dato sfogo ai suoi pensieri.
La sua pittura non è tanto incentrata sull’essenza del tangibile e sulla necessità di spogliarlo del superfluo per renderlo universale e immortale, quanto sulla necessità di far prevalere il valore simbolico di un oggetto sulla sua struttura e forma, in modo da liberarlo definitivamente dalla sua caducità e tradurlo sulla tela rispettando la più pura grammatica metafisica.
Alla fine dell’itinerario che abbiamo tracciato fra le decine di possibilità offerteci dal Museo, forse viene da chiedersi se era necessario istituzionalizzare la Pittura Metafisica, dal momento che anche l’opera più figurativa è nata dal desiderio di estrarre dalla realtà della nostra esistenza quel qualcosa che permettesse di rendere la scena o la persona immortale, trasmettendo ai posteri nei secoli seguenti quell’essenza che gli artisti riescono a raggiungere e possono solo tentare di mostrarci. Indubbiamente, il grande merito della Corrente Metafisica è stato quello di esternare una via che da sempre la Pittura ci presentava, ma che poco notavano o apprezzavano.
Le fotografie inserite in questo articolo sono di Alessandro Cattaneo e Milo Manica