Music to light your joints to #10

Creato il 16 maggio 2014 da Cicciorusso

SERPENTINE PATH – Emanations (Relapse)

Avevo accolto in maniera un po’ freddina l’esordio omonimo dei Serpentine Path, più che altro perché i nomi coinvolti erano tali da alzare le aspettative in modo eccessivo. Voce e sezione ritmica dei disciolti Unearthly Trance, alle chitarre il leader dei Ramesses (ed ex Electric Wizard) Tim Bagshaw e Stephen Flam degli storici Winter. Insomma, con queste premesse, facile che il difetto principale di Serpentine Path sia stato quello di non essere il disco doom dell’anno. Ma non è solo perché mi ci sono approcciato a mente più serena che questo Emanations mi è sembrato superiore al suo predecessore. Dopo essersi annusati e studiati tra loro, i cinque sembrano aver trovato un amalgama e un suono che non è più la semplice somma delle parti. Nel riffing la componente estrema è diventata più presente di quella classicamente doom/sludge ma i pezzi sono, nondimeno, più scorrevoli, verrebbe da dire più accessibili, grazie a stralunati fraseggi melodici che ricordano, alla lontana, vecchie glorie degli anni ’90 come i Disembowelment e gli stessi Winter (la lunga, quasi celticfrostiana, marcia funebre di Claws). Forse un po’ di ruggine e di sporcizia in più non avrebbe guastato ma, se siete appassionati del genere, basta e avanza.

DREAD SOVEREIGN – All Hell’s Martyrs (Van Records)

Dopo i Blood Revolt, per me uno dei rari buchi nell’acqua della Profound Lore, e i Twilight of the Gods, che hanno suscitato reazioni molto contrastanti da queste parti, Averill Nemtheanga (non mi ricorderò mai il suo cognome) ha tirato su l’anno scorso un gruppo doom portandosi dietro dai Primordial il batterista e mettendosi in combutta con uno sconosciuto chitarrista che si fa chiamare Bones. All Hell’s Martyrs è un buon disco ma soffre per l’eccessiva lunghezza e per la discontinuità tipica dei progetti nati un po’ per cazzeggio. In quasi 70 minuti i Dread Sovereign spaziano da passaggi relativamente ortodossi (l’iniziale Thirteen Clergy, dove Nemtheanga si cimenta in guaiti quasi Ozzyani) a pezzi dove i richiami alla band madre sono fin troppo pesanti (Scourging Iron).I momenti migliori sono però quelli dove le diverse componenti del loro sound sono miscelate in modo equilibrato, come la trasognata Cthulhu Opiate Haze.

THE WOUNDED KINGS - Consolamentum (Candlelight)

noi, farlocchi dopolavoristi dell’occulto, come direbbe Stefano Greco, basta poco per eccitarsi. Nel primo pezzo, Gnosis, dopo (giustamente) cinque minuti, la cantante figlia dei fiori Sharie Neyland attacca salmodiando I Saw The Devil circondata da chitarre dalla lentezza spasmodica. Satana, una tipa e il doom. Nella vita i valori sono importanti. Il disco prosegue classico e ottantiano (già la successiva Lost bride è sul Saint Vitus andante)  ma affascina e avvince, pur senza sfracelli. Non avevo mai sentito nulla in precedenza di questi inglesi (che, a scanso di equivoci, si sono formati prima dei Blood Ceremony) ma cercherò di recuperare.

THE WISDOOM – Hypothalamus (Heavy Psych Sounds

Questo quartetto capitolino possiamo dire di averlo visto crescere, dai primi concerti in fondo alla scaletta dei vari festival di settore (dall’Acid Fest allo Stoned Hand Of Doom) al primo, già promettentissimo, ep. A colpire, oggi come due anni fa, è l’incredibile rapidità con la quale la band ha sviluppato un suono maturo e personale. I quattro insinuanti trip che compongono Hypothalamus non sembrano affatto scritti da esordienti al primo full. Rispetto all’ep la matrice doom, che continua a serpeggiare grazie a una sezione ritmica robusta e presente (l’asprezza sludge di Delta), ha lasciato spazio a una componente narcopsichedelica che diventa protagonista in salti nel buio come Theta (forse l’episodio migliore). Hanno un gran senso dell’atmosfera. Il che, in questo campo, è la cosa principale.

LILI REFRAIN – Kawax (Subsound)

Restiamo a Roma con Lili Refrain, che si conferma ispirata e inclassificabile con il terzo album (il primo registrato come una band, insieme ad alcuni ex membri degli ormai sciolti InfernoKawax, dove la chitarrista apre a suggestioni ancora più stranianti e memori dei Dead Can Dance più esoterici, nome che non può non venire in mente durante la gelida Tragos, dove la voce di Lili inscena un rituale pagano di scuola Projekt, fino a sprofondare nel gorgo quasi ambient dark  di Elephants on the pillow. Eppure continuo a preferirla quando i suoi ipnotici loop si colorano di rock, come nella morriconiana 666 Burns, il mio pezzo preferito. Kawax è interamente ascoltabile in streaming su bandcamp. Bon voyage.

Vi lasciamo con un recente video dei nostri idoli Clutch (già al lavoro sul successore dello spettacolare Earth Rocker, del quale verrà pubblicata presto un’edizione deluxe di tre dischi) che suonano un brano nuovo a Edimburgo. Non vedo l’ora di spararmeli dal vivo all’Hellfest. Doom on:



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