Un colpo di rullante. Non mi sembra di chiedere troppo. E poi l’inizio di una melodia straordinaria, che suoni in maniera equilibrata il gioco del calcio, con una voce, quella del leader di turno, che si faccia strada prendendoci per mano e conducendoci in un viaggio che non avremmo mai pensato nemmeno che esistesse.
Non siamo pietre che rotolano, siamo fermi sulle nostre decisioni. Buttiamo i brushes, e già che ci siamo anche i bonghi… il suono è diventato insopportabile, per quanto potesse esser bello, un tempo. La contemplazione di un gioco spumeggiante - e vincente - non fine a se stesso non esiste più. Almeno, non da queste parti.
In Inghilterra cantavano che i giorni da vagabondi erano finiti, e così è stato. Il fatto che il refrain sia stato ripreso anche a Milano oggi ci fa passare non dico notti insonni, ma senza Luna sì. Il chiaro di Luna è sull’altra sponda del Naviglio.
Siamo fratelli in armi, in trincea. In questo momento la “nostra resistenza” è tutto e dobbiamo resistere fermi sulle nostre posizioni. Soltanto il nostro amore per questi colori e per un certo modo di pensare calcio può permettere al nostro caro vecchio Milan di non continuare la sua inesorabile caduta verso il basso.
Ora però vi chiedo di ricordare quei giorni, quel giorno. C’è chi in questo modo ha ricordato un Amico scomparso, forse il più grande tastierista di tutti i tempi. Nello stesso modo cerchiamo di ricordare quella che era forse la più grande Società (in senso stretto) di tutti i tempi, che ha permesso alla più grande Squadra di club di tutti i tempi di esistere. Ebbene, quel giorno noi ci ci siamo arrampicati sul nostro albero di mele preferito, cercando di prendere il Sole. E ci siamo riusciti. Quel giorno non avevamo il chiaro di Luna perché la notte non arrivava mai. Eravamo sempre sotto la luce del Sole. Potevamo dire anche noi, come il soldato Witt, che “tutto risplende”.
Ma qui si parla attraverso la musica, non attraverso i film.
Qui la sottile linea rossa che secondo Kipling (non Kilpin) divide la lucidità dalla follia, per noi è una sottile linea bianca, bianca come la nostra protesta contro chi non è più chi era. Una sottile linea bianca che divide il Milan di Kilpin (non Kipling) da quello di oggi. Perché la nostra storia affonda le radici nella nazione della tradizione, quella dove i campi verdi sono tagliati corti e ben curati - che siano calpestati da tacchetti o da rosse suola - e non nel cemento della Brianza.
C’è chi vuole che la storia venga rivista, rivisitata (sì, proprio come la striscia di liquirizia number sixtyone), ma la storia siamo noi. E sappiamo che si offenderà.
Cancelliamolo, cancelliamo il suo nome dalla nostra facciata! … Ed ecco che la striscia di liquirizia diventa una strisciata di fondotinta. Quando si dice essere finti…
Ma a volte la finzione riesce bene, e per quanto sia finzione dev’essere ringraziata. Nessuno di noi si sogna di non farlo, sia mai.
Oggi però ringraziamo anche una disillusione che ci fa bere aranciata, con questo caldo, perché la realtà (che è realtà e non finzione) è amara… e noi non abbiamo più l’età per vivere nel cielo blu.
La disillusione non è tutto, però, perché abbiamo la sicurezza, per tanti che siamo, di non essere comodamente invisibili, ma scomodamente visibili… visibili noi, nella nostra protesta, che rende visibili anche i seggiolini di uno stadio vuoto. Un’assenza che suona come l’assolo più bello del Mondo, secondo solo a quello che ti fa percorrere la scalinata verso il Paradiso. Quella scalinata l'abbiamo percorsa più volte, ma oggi vediamo percorrerla da altri.
Pazienza, amici miei, un giorno torneremo su quelle alte vette e ci diranno, come ci dicevano tempo fa, di scendere… ma noi non scenderemo.
Non scenderemo perché c’è qualcosa che ci distingue dagli altri, da chi patteggia e si lamenta, da chi piange e spara nel mucchio per distogliere l’attenzione da sé: noi non abbiamo paura.
Fearless, dicevano i Pink Floyd (non è un caso se cito soltanto loro). Senza paura abbiamo sfidato, sfidiamo e sfideremo la folla, il pazzo che porta la corona. Ci diranno ancora una volta che non potremo scalare questa collina, ma noi lo faremo… e quando avremo raggiunto la cima guarderemo giù, tra le nuvole, ripetendo tra di noi ciò che ci dicevano, sorridendo.
Noi non abbiamo paura.
Fearless si conclude con You’ll Never Walk Alone cantato dalla Kop, per inciso.
E You’ll Never Walk Alone.
[Vaneggio, ragazzi. Risulto incomprensibile? Me ne scuso, ma volevo fare un pezzo simile, ispirato alla musica. E se vorrete indovinare qualche canzone nel mazzo ne sarei ben felice.]