Magazine Diario personale
Facente coppia con l'altra famigerata compagna, la maglia di lana, quella che rappresentava un vero e proprio cilicio medioevale, ruvida ed insopportabile sulla mia pelle tenerella di bimbo, era un indumento dello stesso materiale, ruvido, grezzo e caldissimo che arrivava fino alle caviglie e le cui estremità inferiori venivano infilate direttamente nelle calze per evitare eventuali pericolosi spifferi. Ragazzi, allora faceva un freddo cane d'inverno, altro che questo fine gennaio, quando per pochi gradi sotto zero, la gente sembrava che morisse surgelata (io comunque ho pensato bene di starmene al calduccio in Laos, come ben sapete). Il mio papà le calzava con aria furba verso l'inizio di novembre e per la verità se le teneva anche fino alla fine di aprile, fedele al proverbio:"aprile non ti scoprire" e si faceva beffe di me che preferivo patire il freddo. Per la verità lui giustificava questo stile di vita col fatto che facendo i turni di notte su una cabina della ferrovia, esposta al gelo notturno e riscaldata solo da una stufetta a carbone, arroventata, su cui mi scottai pure un dito quando fui portato a "vedere i treni", aveva necessità di essere ben coperto durante il gelido inverno che a quei tempi imperversava nella tundra alessandrina.
Tuttavia mi sembra che quando arrivava la stagione buona, mia mamma continuasse a dirgli, ma quando è che ti togli le mutande di lana, e lui rimandava col fare di chi pensa, ma perché devo patire il freddo inutilmente. Questa abitudine però se la portò dietro anche fino alla tarda età, quando la cabina da deviatore di treni (anzi Capo-deviatore, lui ci teneva molto), l'aveva lasciata da un pezzo. Ma si sa gli anziani hanno sempre freddo. Questo un po' mi consola, perché io, ancora non lo patisco molto. Certo era una stile di vita che riguardava solo gli uomini, in quanto le donne, che evidentemente hanno una pellaccia assai più resistente (appartengono ad una specie diversa in effetti), non hanno mai usato questo indumento; anzi allora non portavano neppure i pantaloni e la mia mamma se ne andava per tutto l'inverno con le sue gonnelline svolazzanti e le calze di naylon leggere con la riga dietro, grande conquista del dopoguerra da esibire con orgoglio. Com'era bella la mia mamma quando mi portava all'asilo tenendo me per una mano e il panierino di vimini della colazione su cui aveva ricamato due ciliegie nell'altra. Era davvero la più bella di tutte. Poi, saranno stati gli inverni più miti, ma le mutande lunghe di lana se ne sono andate nel dimenticatoio assieme a tante altre cose.
Non me le ricordavo quasi più quando d'improvviso le ho ritrovate nei miei primi anni di lavoro a Pechino. Inverni gelidi e riscaldamenti approssimativi laggiù, come sulla cabina dei deviatori. Così ecco il mio amico Ping che, nelle camerucce di alberghi di provincia, togliendosi i pantaloni, esibiva magnifiche mutande di lana, fino alle caviglie. Quando venivamo ricevuti in qualche fabbrichetta di paese poi, ecco il direttore della brigata che arrivava trafelato, attraverso il cortile pieno di neve, si sedeva, nel salone gelido e non riscaldato, sulle poltrone sbocconcellate, con la plastica sdrucita sugli spigoli, stringendo tra le mani coperte dai mezzi guanti, una tazza di thé bollente per scaldarsi almeno un po'. Buttavo l'occhio smaliziato e da sotto i pantalonacci pesanti, sporchi di fango o di letame, spuntavano sempre, civettuoli i bordi di lana spessa, a volte a coste larghe, delle mutandone lunghe fatte a mano da mogli amorevoli o forse dalle addette della comune. Mi sa che i tempi cono cambiati anche da quelle parti adesso che il tizio che ti veniva a prendere alla stazione in bicicletta adesso viaggia in Audi 6. Però devo chiedere a Ping che fine avranno fatto tutte quelle mutande di lana. Forse adesso comincia a far caldo anche là.
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Giallo oro.
Con la mamma non si scherza.
Voglia di mamma.La stufa di ghisa.
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