“Caro Cliente, per lei è più importante la rata o il tasso di interesse?”. Quella che a prima vista può sembrare una domanda trabocchetto, è in realtà una delle migliori domande che un consulente del credito può rivolgere ai suoi clienti, quando questi si apprestano a chiedere un prestito (o un mutuo). L’importo della rata e il tasso di interesse, infatti, sono due parametri che vanno poco d’accordo tra loro. Prendiamo come esempio un prestito personale di 20.000 euro.
- Se la priorità, per il cliente, è quella di ottenere la rata “più bassa possibile”, allora non ci resta che optare per una durata “la più lunga possibile”, ovvero 120 rate (10 anni). Così facendo otterremo una rata di 290 euro al mese (calcolata sul tasso effettivo medio applicato oggi dalle banche italiane). Il rovescio della medaglia è rappresentato dagli interessi complessivi che pagheremo in 10 anni, esattamente 14.800 euro.
- Se invece, per tornare alla domanda iniziale, il tasso conta più della rata, allora dovremo consigliare al cliente di ragionare su durate più brevi. Cinque anni, per esempio. Certo, 20.000 euro in 60 rate fanno uscire una rata di 450 euro al mese o poco meno, ma alla fine del finanziamento gli interessi complessivi ammonteranno a 7.000, cioè con un risparmio in termini assoluti superiore al 50%.
Rate leggere? Attenzione agli effetti collaterali
E voi cosa ne pensate? Nel caso occorra liquidità, meglio privilegiare una rata bassa (sperando magari di chiudere l’operazione anticipatamente) oppure tirare da subito la cinghia?
Nel dubbio, esiste anche una terza via, ovvero un prestito che consente di cambiare (una volta all’anno e fino ad un massimo di 3 volte) la durata cammin facendo: soluzione che si adatta perfettamente a lavoratori autonomi e neo-assunti, che possono partire con rate morbide e, se i presupposti lavorativi si mantengono, accorciare la durata successivamente.
Quest’ultima soluzione è ideale anche per coloro i quali, forti della loro attuale situazione lavorativa e/o familiare, desiderano un percorso breve, che consenta loro di abbattere fin dal principio una consistente fetta di quota capitale, senza però precludersi la possibilità (un domani) di ammorbidire la rata, spostando in avanti la scadenza del rimborso.