Perché la Ionesco abbia atteso fino al 2011 per esorcizzare su pellicola la sua non-infanzia è un interrogativo a cui presumo si accompagni una risposta di carattere economico, così trovati i soldi (a produrre c’è la France 2 Cinéma, società che muove un bel business in tutta Europa) si è messo su un cast di rilievo affidando il ruolo della madre ad una fuoriclasse come Isabelle Huppert, permettendosi inoltre di annoverare una faccia da cinema come Denis Lavant (l’alter ego di Leos Carax) in un ruolo minore. Visto da fuori il bon bon si presenta goloso: traumi infantili, tabù sessuali, disgregazione famigliare, perimetri artistici, una grande attrice. Ma una volta scartato l’acquolina in bocca scompare che è un piacere, e si prende atto di almeno due scompensi:
- a monte c’è un problema per chi questi biopic li scrive. Bisogna saper stare in mezzo a due fuochi: raccontare i fatti e quello occhei, ma se i fatti non hanno nerbo bisogna trovare degli espedienti che donino vigore senza ovviamente snaturare il motivo conduttore. La Ionesco ci prova e può far anche piacere (il contraltare con la nonna timorosa, gli incontri con l’estrosa comunità artistica, la gita fuori porta in Inghilterra) ma gli episodi sono tali e non danno vitalità alla traccia principale che è già claudicante di per sé.
- infatti il rapporto madre-figlia, o più in generale la questione che vede una bimba usata come oggetto da esposizione, non è in grado di far trasmigrare oltre lo schermo niente di quello che la Ionesco dice nell’intervista sopraccitata. L’odio è edulcorato, la violenza (psicologica) sbiadita per non dire latitante.
L’impressione personale è che My Little Princess sia un film che la Ionesco ha pensato più per sé che per il pubblico. Fare un’opera sulla propria vita comporta inevitabilmente l’uscita allo scoperto, Eva invece sembra nascondersi nelle sue stesse paure, espone banalmente le cose come sono andate, non approfondisce, non (si) esplora, non apre se stessa allo spettatore e in una pellicola che ha tali presupposti appare un peccato difficilmente perdonabile.