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Ken Loach è uno di quegli autori di cui mi sarebbe sempre piaciuto seguire la carriera ma il cui lavoro, per un motivo o per l'altro, è sempre rimasto marginale nelle mie visioni. Il regista inglese si è sempre occupato di tematiche sociali e proletarie raccontando nei suoi film il mondo del lavoro, quello dell'assenza di lavoro, lo sfruttamento, il diniego dei diritti e il disagio, temi purtroppo sempre più attuali anche nel nostro paese.
Un uomo con il cuore dalla parte giusta, un uomo che lo ha dimostrato nel concreto anche di recente in occasione di un rifiuto a un invito da parte del Torino Film Festival, al centro della bagarre era coinvolta un'azienda che conosco personalmente e per la quale in passato lavorai (non sto quindi solo dando fiato alla bocca). Per la sua decisione di declinare l'invito al Festival, nonostante il Festival non fosse direttamente responsabile di nulla all'interno dell'intricata faccenda, l'uomo ha la mia stima incondizionata.
Anche nella storia di Joe Kavanagh (Peter Mullan), un uomo di Glasgow che ha perso il lavoro, le tematiche sociali accompagnano tutta la vicenda. Joe è un ex alcolizzato disoccupato, un uomo fondamentalmente buono che si prende cura di un buon numero di ragazzi più giovani di lui cercando di tenerli ancorati alla retta via grazie a una squadra di calcio di dilettanti. Ad aiutarlo l'amico di sempre Shanks (Gary Lewis), occupato in una società di sicurezza. Tra i ragazzi c'è il problematico Liam (David McKay) che ce la sta mettendo tutta per lasciarsi alle spalle la tossicodipendenza e per crescere il piccolo Scott nonostante le numerose crisi della compagna Sabine (Anne-Marie Kennedy).
A seguire la poco felice situazione familiare di Liam c'è l'assistente sociale Sarah Downie (Louise Goodall) la quale avrà presto modo di conoscere l'energico Joe. Quando le cose sembrano mettersi un poco meglio per tutti ecco che l'ambiente della povertà, del disagio e del degrado viene fuori con tutta la sua crudeltà e ancora una volta per questi perdenti diventa chiaro come sopravvivere ed essere felici sia una cosa maledettamente difficile.
Insomma, mi dispiace tanto ma noi comuni mortali non viviamo nel tuo mondo pulito, sai non tutti possono andare dalla polizia, non tutti ottengono prestiti in banca, non tutti possono partire e andare affanculo da un'altra parte, non tutti possono scegliere, io non ho avuto scelta purtroppo.
Un film su una persona che ha tutte le carte in regola ma che si ritrova incastrato in una vita dove tutto sembra remare contro, dove non sempre la forza, la propria, serve a cavarsi d'impiccio. Loach, con una scelta molto intelligente, non mette un punto secco alla vicenda, lascia invece la possibilità a ogni spettatore di decidere se c'è ancora speranza, se c'è ancora spazio per lottare e rialzarsi. Alla buona riuscita del film contribuisce in maniera forte l'ottima prova del convincente Peter Mullan, attore intenso e sapientemente supportato da una serie di volti giusti, primo tra tutti quello di Gary Lewis (il papà di Billy Elliot tanto per capirci).
Il cinema di Loach è lontano dai canoni Hollywoodiani, è un cinema europeo e ancor più britannico, forse universale nei temi ma molto casalingo nel modo di fare. Un tipo di cinema da sostenere e che per questo mi sento di consigliare.
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