Il palcoscenico e l’arzilla vecchietta
Opera prima del regista teatrale Israel Horovitz, My Old Lady è una pellicola che non abbandona (quasi) mai le quattro mura di un bellissimo appartamento di Parigi. Un dramma che esibisce un incipit ironico (una scocciante nuda proprietà) per poi scivolare nel dramma intimista da palcoscenico.
L’americano Mathias arriva a Parigi deciso a rifarsi una vita, vendendo in fretta e furia l’appartamento ereditato dal padre. Tuttavia al suo interno ci sono un’anziana inquilina e la figlia che, come recita il contratto, ci rimarranno fino alla morte della novantenne.
Per il suo debutto nel cinema Horovitz sceglie consapevolmente una delle sue opere più celebri e seleziona un cast di elevato livello interpretativo. Difatti sullo schermo si alternano Kevin Kline, Kristin Scott Thomas e l’ottantenne Maggie Smith, tre autori in grado di sorreggere in modo adeguato una vicenda drammatica intrisa di humour. La scelta del regista di mettere in scena una pièce di sua ideazione lo fa sentire a proprio agio e gli permette di rendersi convincente anche dietro la macchina da presa. Sicuramente il merito per la riuscita di questo prodotto intimista, che deve fare i conti con i demoni del passato, va alle prove attoriali dei tre interpreti, che riescono a dare il giusto apporto di ironia e drammaticità a una storia che, mano a mano che il velo si scopre, diviene sempre più sentita e viscerale. Inoltre lo stile con cui Horovitz conduce gli intrecci è frutto del teatro e della convinzione di utilizzare pochi spazi e una sceneggiatura verbosa, nella quale i monologhi istrionici si tramutano nel vero fiore all’occhiello.
My Old Lady convince e tratta temi delicati (l’amore, la morte e il fallimento di una vita intera) con partecipazione, senza mai scivolare nella stereotipia spicciola. Tuttavia ciò che manca e che renderebbe My Old Lady un prodotto di sicuro impatto è la scelta di relegare Parigi a mero contenitore. Difatti la capitale francese poteva dare quel tocco di romanticismo e bellezza, che la pellicola insegue a perdifiato, infilandosi diversamente in un’analisi personale, che fa riemergere vecchie ferite e nuove scoperte.
Horovitz realizza una pellicola nella quale la drammaticità viene assunta in modo costante ma in piccole dosi, quasi a voler accompagnare lo spettatore e mantenerlo vigile fino alla conclusione. Il regista dissemina indizi nella prima parte per poi esplicarli nella seconda, seguendo il difficile perdono da parte di Mathias (Kline) nei confronti del padre. Un percorso netto gestito con umanità e naturalezza; un dramma psicologico diviso in tre punti di vista, che, in modo autentico, trova la sua distensiva risoluzione.
Uscita al cinema: 20 novembre 2014
Voto: ***
