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My son, my son, what have ye done

Creato il 06 ottobre 2012 da Misterjamesford
My son, my son, what have ye doneRegia: Werner HerzogOrigine: Germania/USAAnno: 2009Durata: 91'
La trama (con parole mie): Brad Macallam ha vissuto un'intera esistenza all'ombra della madre, e nonostante il suo impegno con il teatro ed il legame con la fidanzata Ingrid è sempre rimasto fedele alla genitrice. Quando, durante un viaggio in Perù con gli amici, ha una sorta di "illuminazione", perde progressivamente il contatto con la realtà: una mattina la polizia è chiamata ad intervenire nel suo quartiere perchè Brad, nel bel mezzo di un caffè preso con i vicini, si è presentato armato di una spada ed ha ucciso proprio sua madre, asserragliandosi dunque in casa armato di fucile con due ostaggi.Gli agenti, sconvolti dal comportamento dell'uomo, cercano di ricostruire la sua vita attraverso una serie di interrogatori sul posto in modo da avere un quadro il più delineato possibile prima di organizzare una qualsiasi azione d'intervento.
My son, my son, what have ye done
Lynch produce, Herzog gira.
Detto così, in casa Ford sarebbe quasi quasi parso un sogno.
Due dei registi che più ho amato nel corso della mia vita di spettatore, autori di Capolavori quali Una storia vera, Inland empire, The elephant man, Aguirre furore di dio, L'enigma di Kaspar Hauser, Grizzly man, in qualche modo insieme per raccontare una storia - ispirata a fatti reali - in grado di unire la cornice onirica e surreale del primo al confronto con la Natura e l'ignoto del secondo.
Una sorta di mix da sballo di LSD e fede, alcool e ragione scientifica.
Il tutto aggiungendo al cocktail la presenza del sempre incredibile Michael Shannon, ormai uno degli idoli assoluti del Saloon.
Eppure, il risultato è ben lontano dall'essere perfetto.
Ad essere del tutto onesti, considerato il mio sempre sbandierato panesalamismo, questo potrebbe addirittura risultare uno di quei film in grado di farmi incazzare oltremisura, spocchioso ed autoreferenziale, poco comprensibile e decisamente ostico per tutti gli spettatori che non si professino critici o aspiranti registi incapaci di sfondare sempre per responsabilità altrui.
Eppure, questo incantesimo pur non del tutto ben riuscito ha qualcosa che definire magico sarebbe riduttivo: la vicenda di Brad e la sua ricerca di vendetta rispetto ad una madre che gli ha condizionato l'esistenza legata a doppio filo ad un viaggio in grado di aprire nell'uomo una nuova dimensione - e nel Perù che si porta via lungo il fiume gli amici del protagonista si sentono ancora gli echi del già citato ed incredibile Aguirre - e alla leggenda di Oreste, sulle cui spalle pesa la responsabilità di porre fine all'hybris che da Tantalo ad Atreo è giunta fino ad Agamennone e a lui, con il suo progressivo allontanarsi dal mondo, dagli amici, dalla compagna, è in grado di portare un respiro mistico ed anche incredibilmente attuale alla visione, tanto da lasciare più di uno spiraglio aperto su una rappresentazione volutamente oltre le righe - e non sopra, badate bene - degli States e del loro approccio politico e sociale - i detectives che paiono figurine su un palcoscenico, la scelta di Brad di professarsi musulmano ribattezzandosi Farouq, il tentativo di dialogo tra il "terrorista" e le forze dell'ordine, l'osservazione del Canada e del suo essere "futuristico" -.
Certo, il tutto non è esente da rischi - decidere di raccontare una storia che solo nella sua struttura di indagine pare avere un senso logico che nei racconti e nel personaggio principale viene volontariamente abbandonato non è quello che si definirebbe una scelta razionale e sensata per un regista che voglia raggiungere almeno uno tra pubblico e critica -, ma sia Lynch che Herzog non si sono mai avveduti troppo di quello che si sarebbe potuto pensare di loro, dedicandosi a progetti che sono specchio di sensibilità assolutamente personali ed a tratti anche scomode: dunque, charachters come quello dello zio interpretato da Brad Dourif o del nano paiono un omaggio del cineasta tedesco all'autore di Eraserhead, mentre il rapporto madre/figlio e quella casa in colori pastello - per non dimenticare i due ostaggi -, il ruolo della polizia ed il viaggio responsabile del cambiamento e del salto interiore di Brad un personale appunto di Herzog agli States che lo stesso non risparmiò neppure nel sottovalutato Il cattivo tenente - Ultima chiamata: New Orleans.
Non me la sentirei mai di consigliare una visione come questa a cuor leggero, e di certo se dovete iniziare il vostro percorso rispetto alle carriere di questi due miti del grande - e non solo - schermo, sono altri i titoli sui quali dovreste concentrare le vostre attenzioni ed i vostri sforzi: eppure, allo stesso modo in cui si ricomincia a bere dopo una sbronza andata male che vi ha portati a giurare che mai e poi mai l'alcool sarebbe tornato in circolo nel vostro corpo, questo film ha il potere di entrare dentro ad occhi e cuore dell'audience, scavando più a fondo di quanto non sembri rimanendo in attesa del momento giusto per farvi saltare sulla sedia.
Come una palla da basket lasciata ad attendere il ragazzino di talento.
Come il Perù delle sensazioni.
Come l'hybris che finisce, dopo fin troppe generazioni.
O una spada che si dovrà trovare il coraggio di imbracciare, o lasciare cadere a terra.
 
MrFord
"Flamingo, Flamingo...
da quanto tempo sono qui...
Flamingo, Flamingo
perché ci guardano così...
Coi tuoi santi da juke-box
freschi di lavanderia...
Ma è la rumba d'altri film
che ci fa volare via... E le foto senza flash
fra le braccia del via vai... E quei ritmi di bayon
che sbagliare mi fai."Sergio Caputo - "Flamingo" -

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