Nella mia vita posso dire di aver fatto diversi lavori. Ho fatto lo spazzino dei cessi in un autogrill, ho lavorato in fabbrica, poi sono passato a uno studio grafico e infine in una libreria. Posti di lavoro diversissimo fra loro e che si differenziavano totalmente per il genere di colleghi che mi toccavano, oltre che per i loro consigli. Con quelli dell'autogrill non ho parlato, dato che eravamo tutti nel nostro cunicolo; quelli della fabbrica mi hanno consigliato solo bei porno [e non è per sminuire la categoria, dato che pure io ne ho fatto parte, ma è stato così]; con quelli dello studio grafico invece è stato strano, perché è stato un periodo di assoluta pace ma anche di assoluta freddezza, in cui ci saremmo detti due cose o nulla. Sono dovuto andare in una libreria per trovare una mia dimensione ideale e, soprattutto, una vita con dei colleghi che potesse dirsi umana e accettabile. Oltre a qualcuno che mi consigliasse delle buone letture e delle visioni curiose, come questa, passatami quasi casualmente dall'unico mio coetaneo. Che poi era un film che avevo sempre voluto vedere ma che, vuoi per semplice dimenticanza o per pura pigrizia, non era più andato a recuperare.
Un detective viene chiamato sulla scena di un delitto, che vede una donna uccisa con una spada in una casa vicina alla propria. A farlo è stato Brad, suo figlio, personaggio enigmatico diventato ancora più strano dopo un viaggio in Perù, e che in quel momento si è barricato in casa con due ostaggi.
Non conosco molto Werner Herzog come regista. Ho visto qualche suo film, almeno uno dei più importanti che ha fatto, ma non me la sento di tracciare una somma di quella che è la sua poetica cinematografica. Affronto questa visione come spettatore semi-novello che, per certi versi com'è giusto che sia, guarda un film senza relegarlo all'identità di una persona, per quanto importante essa sia. Conosco però molto bene David Lynch, il produttore di questa pellicola, e lo conosco abbastanza da vedere cosa egli ha immesso di suo in questo atipico lungometraggio di ottanta minuti, passati per la gran parte del tempo a gola asciutta come non mi accadeva da tempo. Perché questa non è una visione semplice, non è come guardarsi The Avengers. Questo è uno di quei film fatti apposta per mettere a disagio, per creare confusione e accompagnare la comparsa dei titoli di coda con quel senso di incertezza tipico di chi non ha capito la proverbiale mazza di ciò che ha appena visto. Il che per me è sempre un bene, perché meglio di una visione che appaga o emoziona, resta quella di un qualcosa che, qualunque sia ciò che ti lascia, ti accompagna per tuttala giornata che segue. Un po' come ha fatto questo film - che Herzog presentò a Venezia insieme al suo Cattivo tenente - che ancora adesso mi rende così difficile scrivere una recensione coscienziosa di ciò che ho appena visto. Posso dire però di aver visto un bel film, anche se ho potuto riscontrare degli evidenti difetti venutisi a creare per via delle discinte personalità che vi hanno preso parte: quella dell'Herzog regista/sceneggiatore, che ha tratto questo film da un fatto di cronaca [perpetuato dalla mano di Mark Yavorsky, promessa della recitazione e del basket che uccise la madre con una sciabola e che il regista ha voluto incontrare di persona] e quella del David Lynch produttore, che dovendo sborsare i soldi per un film non diretto da lui immette in questa pellicola degli elementi tipici della sua poetica. Ho riconosciuto un nano di Twin peaks (che compare abbastanza ad cazzum, devo dire) insieme a molti momenti onirici tipicamente lynchiani, che male non fanno ma sembrano un attimo una vaga e incerta copia. Tutto questo per raccontare di un giovane alle prese con un istinto omicida verso una madre castratrice, che a più di trent'anni ancora gli compra i vestiti e gli porta i biscotti a letto, risvegliati da una personalità che, come ci suggerisce l'autore, non è mai stata molto a piombo, insieme agli impulsi fornitigli dal suo recitare nell'Elettra di Sofocle. Le cose finiscono per degenerare, creando una vaga barriera: il mondo sano, che sta fuori dalla casa nella quale il giovane si è segregato, e quello insano, che sta proprio all'interno di quel maniera urbano. Ma c
'è anche qualcos'altro che attanaglia questo film, un alone di dubbio che finisce per essere la cosa che crea il maggior disagio di tutti. E' veramente una malattia quella che infesta a testa del povero [perché, anche se carnefice, come tutti i carnefici è a suo modo anche una vittima] Brad, oppure è un qualcosa sfociato per una deriva familiare mia gestita o, ancor peggio, per il suo aver voluto aprire troppo gli occhi in un mondo che apparentemente è privo di alcun significato? Tutti quesiti che vengono suggeriti e ai quali non è data risposta, a parte il suggerimento di una certa circolarità dettata dall'immagine finale. Il che è anche il manifesto di questo film, ambizioso ma volutamente criptico e nascosto, che a momenti di estrema delicatezza ne lascia altri di indicibile pesantezza, insieme a una gamma di personaggi secondari abbastanza inutili - il poliziotto di Willem Dafoe che senso ha, se la sua presenza non incide con nessuna evoluzione altrui o personale? Difetti che fanno abbassare il punteggio di almeno una stella, negando a un film comunque piacevole e complesso lo status di capolavoro che altrimenti avrebbe potuto vantare.Che hai fatto, figlio mio, che hai fatto? Viene sempre più da chiederselo. Forse è vero che le colpe dei padri (o delle madri) ricadono sui figli, ma forse è ancor più vero che viviamo ormai in un mondo troppo complesso da sintetizzare e capire appieno.Voto: ★★★