Ottobre 2012, tempo di partenze e di ritorni.
Dite la verità: chi di voi non ha almeno uno dei vostri amici/conoscenti/parenti che ha deciso di impacchettare parte della sua vita e salire su un aereo per “cambiare aria”? E quanti invece sono sulla via del ritorno a casa? Mi stupirebbe davvero sentire una risposta negativa.
In questi giorni si parla della chiusura del progetto Erasmus per mancanza di fondi economici. Il disappunto sorge in ogni studente europeo, soprattutto per tutti coloro che sanno e vogliono superare i propri confini, nazionali e personali, ma forse non ne avranno l’opportunità.
Fino a non molti anni fa (ricordiamo che in Europa il progetto Erasmus è solo al suo venticinquesimo anno di vita) erano molto più numerose le fila di coloro che sceglievano la realtà locale e la stabilità individuale, professionale e relazionale. Ma il mondo è cambiato nei suoi connotati, stravolgendo limiti e dimensioni di concetti come velocità, distanza spaziale, cultura, comunicazione e contatti. Per fortuna o per sfortuna, noi giovani lo abbiamo capito bene.
C’è da dire che il progetto europeo non è l’unica occasione per mettersi alla prova: tante associazioni e tanti altri programmi, meno sponsorizzati o conosciuti, possono diventare occasione di opportunità interculturali. Lavoro, stage all’estero, corsi per perfezionare la lingua straniera (imparare l’ABC nel caso degli italiani), progetti di scambio, simulazioni di conferenze internazionali.
Come si suole dire: “di necessità, virtù”. Ricordiamo che ministri e nomi altisonanti della politica e del mondo dell’economia hanno affermato più volte che l’esperienza all’estero dovrebbe esser una scelta obbligata in un mondo globalizzato come il nostro. È stato provato, in termini statistici, che l’esperienza all’estero protratta nel lungo periodo aumenta la produttività dei singoli paesi, crea forti network di relazioni, incrementa la creatività e il bagaglio culturale dei singoli che contribuiscono a migliorare la dimensione locale.
Diversa prospettiva: il ragazzo che affronta una scelta del genere è guidato da due forze pulsanti, che fanno parte di ciascuno di noi in maniera più o meno prepotente.
La prima è la famosissima curiosità. Curiosità di capire e vedere con i propri occhi cosa ci sia in un luogo diverso e lontano da casa.
La seconda è una nuova forma “tracotanza”, per superare le colonne d’Ercole dei nostri tempi, la voglia di affrontare sfide con sé stessi e mettersi in discussione. In questo caso, man mano che si avvicina la data della partenza, non esiste individuo che sfugga alle titubanze o agli interrogativi del tipo «e-se-non-faccio-amicizia?» ovvero «e-se-non-mi-ambiento?». Puntualmente tali interrogativi restano tutti smentiti e lasciano spazio a sorrisi smaglianti e nostalgici al rientro. Ci si gasa nello scoprire come e quanto sia meraviglioso ricostruire o confermare la propria immagine anche in un altro contesto, non lasciarsi sfuggire nessuna opportunità (nemmeno le più improbabili) e apprezzare le differenze culturali altrui.
Varcata la soglia di casa, non si è più gli stessi, grazie all’impatto del vissuto trascorso. Nuove forze ci animano: rinvigorisce il credo del «voglio cambiare il mondo, il mio paese, il mio modo di rapportarmi al prossimo», oppure «ho visto realtà migliori della mia e voglio scappare via da qui». A qualunque di queste scuole di pensiero apparteniate, l’impronta positiva per cui vale la pena vivere una tale esperienza è riconoscere la propria voglia di fare ma, ancora di più, esser consapevoli che si possa scegliere in un mondo di opportunità che i nostri nonni si sognavano.
Per concludere, durante la mia esperienza a Washington DC ho realizzato con la collaborazione di Federica Lombardo e Chiara Selini un reportage sulle esperienze all’estero, intervistando coetanei di differenti nazionalità al fine di evidenziare le ragioni e le diverse prospettive legate ad un’esperienza oltreconfine.
Buona visione!
Part 1
Part 2