-Di Donatella Amina Salina
Solo tre mesi fa, la Birmania era riuscita ad ottenere un minimo di democrazia dopo la lunga lotta non violenta del premio Nobel Aung San Suu Kyi, figlia del fondatore del Paese.
Nonostante l’allentarsi della repressione e l’ampliamento degli spazi di libertà il ruolo delle forze di polizia e dell’esercito è ancora ambiguo. Nelle province orientali vive da sempre la minoranza islamica di diversa origine tribale, malvista da parte della popolazione locale, di origine buddista. Purtroppo non c’è traccia sulla stampa italiana di reportage sulla situazione dei musulmani in questo bellissimo Paese, nonostante siano vittime di silenziosi pogrom.
Alcune agenzie di stampa, come la Misna, riviste come Nigrizia o il quotidiano Il Manifesto, si sono occupati saltuariamente della situazione, ed anche Amnesty cita nel suo rapporto annuale la situazione dei musulmani della Birmania come assolutamente da tenere sotto controllo per evitare nuove esplosioni di violenza islamofobica.
Viceversa nella stampa e nell’opinione pubblica di altri paesi (principalmente nei paesi a maggioranza islamica) la situazione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle suscita petizioni e manifestazioni di massa. Infatti, per le Nazioni Unite, i musulmani del Myanmar rappresentano una delle più grandi minoranze etnico-religiose i cui diritti non vengono rispettati dal governo centrale, nonostante recentemente siano stati sanzionati con la pena capitale alcuni omicidi avvenuti ad opera di bande armate per questo motivo.
Dopo alcuni episodi di violenza accaduti lo scorso mese di maggio, dove era stato assaltato un autobus da parte delle bande armate con conseguenti morti e feriti, il 10 giugno, gli scontri tra le due comunità sono aumentati, con migliaia di abitazioni di musulmani distrutte, 80 morti, decine di donne e ragazze musulmane stuprate e oltre 100.000 sfollati. Le autorità del Bangladesh, dopo aver respinto 1500 profughi, ne hanno arrestati almeno 150 che avevano cercato di entrare attraversando il fiume Naf.
La questione è complicata, probabilmente queste persone vengono discriminate oltre che per la fede islamica anche perché facenti parte dell’etnia rohingya (i nomadi dell’estremo oriente) al punto che persino il premio Nobel Aung San Suu Kyi ne ha messo in dubbio la nazionalità. Gli 800mila rohingya che vivono nel Paese asiatico sono infatti ritenuti da molti di origine bengalese e non autentici birmani. Come tali secondo l’Acnut, l’organismo dell’ONU che si occupa di rifugiati, essi sono considerati stranieri e privati di cure mediche, assistenza in caso di bisogno e persino del diritto di sposarsi.
Esprimiamo il desiderio che, chi ne abbia la possibilità, scriva al governo birmano perché cessino le violenze e perché questa etnia discriminata abbia i propri diritti umani.