“La fotografia è un intrigante documento visuale”, Boris Kossoy.
Il Messico e la fotografia. Un rapporto intenso che ha generato frutti deliziosi conosciuti in tutto il mondo: da Manuel Alvarez Bravo a sua moglie Lola, dal prolungato soggiorno a Città del Messico di Henri Cartier-Bresson a Edward Weston e Tina Modotti che, legati da un'intensa relazione sentimentale arrivarono in un paese che dopo la rivoluzione terminata nel 1917 conosceva un fermento politico e culturale straordinario.
Ignacio López Bocanegra, conosciuto come Nacho López (Tampico, Tamaulipas 1923 - Ciudad de México, 1986) provocatore della storia e realizzatore di una realtà fotografica che prendeva sempre spunto dal contesto storico e politico dell’epoca, lavorò intensamente per tutta la sua vita arrivando a superare i trentacinquemila negativi e tremila diapositive prodotti. Dell’enorme archivio si conosce molto poco.
Non solo fotografo ma anche cineasta, fotogiornalista, documentarista, docente e critico. Il grosso del suo lavoro fotografico si concentra negli anni cinquanta, ma la sua prolifica produzione è intensa dagli anni quaranta fino alla prima metà degli anni ottanta. Gli ultimi cinque anni della sua vita sono sperò segnati da una fase particolare, non molto studiata dai biografi storici, che però si rivela molto importante per la storia della fotografia: il ruolo di Lòpez, infatti, divenne influente per tutti i nascenti gruppi fotografi, che si organizzavano per definire le loro idee tecniche e concettuali.
Come critico Lòpez prese le distanze da alcune scuole di pensiero predominanti all’epoca, in particolare si contrappose al Primer Coloquio Latinoamericano de Fotografia perché sosteneva che da esso erano scaturite idee e propositi che contravvenivano ai suoi principi ideologici. Già nel 1979, in un approfondito articolo pubblicato su unomàsuno dal titolo “Cuestionando al Consejo Mexicano de Fotografia” asseriva: “ Se le foto esibite in un ambiente museistico non sono sostenute da una posizione critica e di forte contrapposizione nel suo linguaggio estetico, corrono il rischio di trasformarsi in oggetti folcloristici tipici della sottocultura turistica”. E ancora: “ La bellezza non è certamente quella di un paesaggio, del folclore, della danza, dell’architettura, di un nudo ecc.[…] Parlare di bellezza è mistificare la realtà. E’ tradire ciò che è evidente: la miseria del nostro popolo si scontra con l’estetica del fotografo del bello.[…] La fotografia è fondamentalmente un mezzo di espressione documentale nel quale prima che i suoi elementi estetici sta il contenuto e che diviene opera d’arte solo quando presenta valori atemporali condivisi dalla maggior parte delle persone, perché il puro gioco estetico per me è operazione sterile”.
Attraverso una visione personalissima della città e del tempo che viveva, Nacho Lòpez fu testimone attivo della trasformazione di una società in costante cambiamento. Filtrata attraverso la sua lente, la luce prese vita proponendo non semplici immagini ma storie reali. E lo fece con occhio a tratti surrealista, altre iper realista.
Il risultato di questo lavoro fu un archivio di immagini nelle quali si osserva una Città del Messico fantasmagorica, grigia, brillante, gioiosa e divertente, celebre nel suo anonimato, divisa in quartieri e strade, festaiola, libidinosa, lavoratrice, coraggiosa, pigra, rituale, anarchica. Gli aggettivi si legano, però sfiorano soltanto il mondo di Nacho Lòpez. Carlos Monsiváis.
L’enorme ricerca estetica e contenutistica dell’opera di Lòpez è un lascito importante per la fotografia mondiale, a cui guardare con assoluto rispetto non solo attraverso i suoi scatti ma anche, se non soprattutto, ai suoi principi ideologici rispetto al raccontare attraverso le immagini.
L'articolo su Prisma News