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Nadia Agustoni: l’ultimo libro

Da Narcyso

Sul numero di dicembre  della rivista QUILIBRI, si può leggere questa mia recensione all’ultimo libro di Nadia Agustoni, forse il suo più maturo.

Nadia Agustoni, Lettere dalla fine, Vydia Editore 2015

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Bisognerebbe additare come esempio di rigore e maturità, il modo in cui, in questo libro, Nadia Agustoni riduce all’osso il potere fascinoso di aggettivi e verbi; una stringatezza che ci segnala una resistenza sottrattiva, ma anche un confine da cui si sente il bisogno di inviare lettere, di sentire la poesia come un atto estremo e un’ultima possibilità di verità, “il modo in cui / pensiamo il mondo”, p. 143.
E qual è l’essenza, dunque, che Agustoni avverte come traguardo, come terra in cui, finalmente, ha la possibilità di vedere chiaramente il “qui e l’ora”?
Innanzitutto l’immagine del poeta stesso, inserito in un paesaggio dirupato, come nei quadri romantici in cui un personaggio, smosso dal vento, o immobile, contempla l’orizzonte del mondo e, in questo modo, sembra riflettere sul senso dell’universo tutto:

siamo salti sui lastroni
il colore blu che illumina
di scuro la luce
e dentro la ferisce

p. 112

Le ossessioni e i temi ricorrenti, si capisce, devono per forza passare dalla trama finissima di un reticolo che esclude il grossolano e riconduce il tutto all’esperienza semplice dei fiori, al tempo del loro fragile splendore. Nel racconto di questo libro, dunque, c’è già un riassunto della vita, “la pronuncia / ricordarsi le cose”, p. 32; la visione di paesaggi che sempre ritornano:
avremo le rondini per pochi anni: andranno nel breve di un’ala e nell’azzurro. un paesaggio vivo arriva nel grigio dei fumi: saremo un atterraggio di vento
p. 33.
Leggiamo di case, pianura, fabbriche fantasmi – ormai una tipologia dell’assenza e della poesia – quasi che questa pianura brulicante di umanità si fosse trasformata nel deserto della modernità, un luogo deturpato in cui la poesia non può che urlare la propria sconfitta. Ci sono tutti i volti, tutti. “i volti tra le frasi il poco / dei giorni succede chiaro / le parole arrivano viene il mondo”, p. 21.
Ci sono confini, simili a muraglie, a distanze: le cose tutte che, estraniate un poco nello sguardo amorevole della parola, ci mostrano la filigrana di una realtà in cui si muovono simboli vivissimi. Sempre che si sia disposti a guardare con occhi fermi le mutazioni sottilissime delle materie, immobili, a ben vedere, solo per lo sguardo delle bestie o per i burocrati della lingua. Non certo per i poeti.
Il libro, dunque, aspira al raggiungimento di una misura nel contesto naturale dell’immisurabile; spesso si leggono immagini di rondini, uccelli circolari che ogni anno restaurano il loro nido illudendo il tempo di un nuovo virgineo inizio, di un perpetuo battesimo, “se le rondini ricordano il suono forse lì il ritorno”, p. 126.
Si avverte, fortissima, la presenza di Eraclito, musa e maestro di una poesia che giunge al suo compimento proprio perché attraversata dal flusso di un’esperienza che infine si fa exsistere, cioè sostanza dell’immutabile fuori dalla vita stessa, forma del candore dell’ignoranza, “siamo mine / con le mani / il male nella testa del cane / ci abbaia un giorno / e i giorni sfollano / la morte – sarà”, p. 112.
Non a caso Nadia Agustoni pratica la forma breve e modernamente ripensata dell’aforisma, anche nella misura di versi isolati all’interno dello stesso testo, e forse anche nel senso di una reinterpretazione del pensiero oracolare, di una semplice verità intuita, formulata per immagini, non oggettivamente data – Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica –
chiamo i nomi perduti la luce che non è nell’ora
p. 157
La parola conserva tutto, è il tutto in cui siamo e che non possiamo adombrare proprio perché ci attraversa. Uno è frammento e nello stesso tempo è gli altri.

citano l’infanzia ma tu esci dalle loro parole
creature esistono con noi e ogni giorno
la tenerezza – ogni volta spaccare il silenzio.

p. 117

Sebastiano Aglieco


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