Nagorno Karabagh, Bako Sahakyan riconfermato Presidente

Creato il 07 agosto 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Le elezioni presidenziali

Il 19 luglio scorso si sono svolte le elezioni presidenziali in Nagorno Karabagh, le quinte dall’indipendenza de facto del paese nel 1994. Poco meno di centomila abitanti sono stati chiamati alle urne per scegliere se accordare per altri cinque anni la propria fiducia al presidente uscente Bako Sahakyan, oppure sostenere due nuovi candidati indipendenti: Vitaly Balasanyan, ex Vice Ministro della Difesa, o Arkady Soghomonyan, deputato e vice rettore universitario a Stepanakert dell’Università Agraria Statale armena. A spuntarla è stato come prevedibile Sahakyan, riconfermato presidente con circa il 64% dei voti, mentre il più diretto avversario Balasanyan ha ottenuto meno del 32%, lamentando una sovraesposizione mediatica del presidente uscente in campagna elettorale, pur riconoscendo le elezioni come sostanzialmente libere1. Significativa ma inferiore alle aspettative ed ai dati elettorali del 2007 è stata l’affluenza dei votanti, pari ad oltre il 73% degli aventi diritto.

Sono stati chiamati a verificare la regolarità della campagna elettorale e delle elezioni oltre novanta osservatori internazionali, provenienti soprattutto da Russia, Armenia, Unione Europea e Stati Uniti2. Nei loro confronti da Baku è giunta la dichiarazione che tutti i partecipanti al monitoraggio elettorale in Karabagh sarebbero stati considerati persona non grata in Azerbaigian. Alle note sintetiche degli osservatori, nel complesso decisamente soddisfatti tanto del processo elettorale quanto della serenità del clima politico e sociale pre e post-elettorale, ha fatto seguito un breve comunicato dello stesso presidente riconfermato, che ha sottolineato soprattutto il ruolo delle elezioni come “nuova vittoria sul cammino per costruire uno Stato di diritto e realizzare le nostre aspirazioni nazionali”3. Sahakyan, nel citare lo slogan con il quale aveva conquistato la presidenza nel 2007, “per la salvezza dell’Artsakh”, ha riconosciuto che a fronte del grande lavoro fatto nei cinque anni precedenti, molti altri obiettivi devono essere ancora perseguiti: maggiore efficienza dell’esercito, migliori standard di vita per gli abitanti, sviluppo agricolo ed un più forte legame tra Nagorno Karabagh, Repubblica armena e diaspora armena nel mondo.

Il ruolo politico di Bako Sahakyan

Pur annotando alcune critiche mosse alla massima autorità del Karabagh per un maggiore controllo sui settori strategici del paese, è indubbio che durante il suo primo quinquennio di lavoro Sahakyan abbia sostanzialmente ben operato, guidando o fungendo da supervisore di progetti di ricostruzione di strutture energetiche, opere di edilizia pubblica, attività agricole ed artigianali ed altre importanti iniziative nella sfera dell’istruzione e della sanità pubblica. Gli incontri ufficiali più importanti di Bako Sahakyan hanno riguardato la sfera della difesa dell’indipendenza ed il rafforzamento dell’identità nazionale strettamente legata all’Armenia. Particolarmente significativa è stata la frequenza dei colloqui con i vertici politici locali, i comandi militari ed i rappresentanti della comunità filantropica armena come Levon Hairapetyan, imprenditore nativo del Karabagh che ha donato al suo paese diverse opere pubbliche. Non meno importanti sono pure i contatti con i vertici religiosi. Proprio in concomitanza con il periodo elettorale il presidente ha incontrato il primate della diocesi dell’Artsakh, l’Arcivescovo Pargev Martirosyan, con il quale è stata discussa una sempre maggiore cooperazione tra Stato e Chiesa come premessa alla fortificazione del carattere nazionale ed alla tutela della sfera morale e religiosa della famiglia e dell’individuo.

Il Nagorno Karabagh oggi

Osservando oggi il Karabagh sembrerebbe sia passata un’eternità dal lontano 1994 quando la popolazione locale chiamò alla guida del paese Robert Kocharyan, eroe della guerra armeno-azera che guidò l’Artsakh nei primi difficili anni del dopoguerra fino al 1997, anno in cui fu chiamato a Yerevan per ricoprire la carica di Primo Ministro dell’Armenia e diventare l’anno successivo Presidente della Repubblica armena per due mandati consecutivi. Diverse cose sono cambiate positivamente da allora, anche se il principale problema del riconoscimento internazionale del paese è rimasto negli aspetti pratici pressoché immutato. Il Nagorno Karabagh agli occhi della politica internazionale continua a rimanere l’emblema dei conflitti irrisolti ereditati dal crollo dell’Unione Sovietica. La retorica militarista del vicino Azerbaigian ed i frequenti scambi di artiglieria lungo la linea di contatto tra l’esercito di liberazione del Karabagh e quello azero evidenziano l’impossibilità di definire questo conflitto come realmente “congelato”.
La tragica campagna militare georgiana contro l’enclave dell’Ossezia meridionale (2008) deve rammentare alla diplomazia internazionale e regionale che tensioni interetniche ed interessi economici posso innescare nuove pericolose situazioni di instabilità nella regione.

In tale contesto la crisi economica costituisce oggi un’ulteriore problematica, poiché l’incertezza finanziaria e la minore redditività legata all’estrazione ed al trasporto degli idrocarburi, risorse vitali per l’economia azera, alimentano dubbi sulle potenzialità future della crescita economica di Baku, facendo aumentare le tensioni regionali e nazionali e spingendo la leadership governativa verso scelte che in futuro potrebbero rivelarsi non più praticabili. Negli ultimi mesi il governo azero è tornato a parlare del conflitto del Karabagh con maggiore insistenza, paventando una possibile ripresa dello stesso come risposta ad una situazione di stallo che dura da quasi vent’anni. A ciò si contrappone l’atteggiamento politico di Yerevan, complessivamente più favorevole al mantenimento dello status quo e perciò più incline ad abbassare i toni dello scontro.

Il vice Primo Ministro azero Ali Hasanov4 nei giorni scorsi ha parlato di possibili preparativi militari azeri come risposta ad una situazione di stallo che per Baku sarebbe da ricondurre principalmente ad una scarsa dinamicità della diplomazia armena. In realtà è noto che le difficoltà legate alla risoluzione del conflitto, contro cui è impattata la stessa diplomazia internazionale impegnata nel “gruppo di Minsk”, derivano non solo da contrapposizioni etniche, religiose, politiche ed economiche, ma soprattutto da una diversa interpretazione del conflitto e delle prime fasi politiche dello scontro, legate alla dichiarazione di indipendenza dell’Artsakh al culmine della disgregazione dell’URSS. L’indipendenza dichiarata da Stepanakert avvenne infatti in piena conformità con le norme giuridiche sovietiche alle quali erano vincolate tutte le repubbliche socialiste, compresi i relativi oblast’ autonomi del Caucaso. Su basi completamente differenti la diplomazia azera contrappone un discutibile principio di inviolabilità dei “confini nazionali”.

L’appuntamento elettorale ha permesso anche stavolta ad alcuni media occidentali di creare un po’ di confusione in un mondo, quello del Caucaso, che di ulteriore confusione proprio non ne avrebbe bisogno. Seguendo uno schema già visto durante le cosiddette “rivoluzioni colorate” in Ucraina e Georgia, il blog Caucasus Report, legato alla nota Radio Free Europe – Radio Liberty, alcuni giorni prima delle elezioni ha pubblicato un articolo piuttosto critico sull’operato del presidente Sahakyan, diffondendo altresì un sondaggio realizzato da giornalisti di “karabakh-open.info” secondo il quale la vittoria alle presidenziali sarebbe andata a Vitaly Balasanyan, dato ad oltre il 45%, contro il 33% delle preferenze accordate a Sahakyan. Questo sondaggio ha fornito all’autrice del blog lo spunto per identificare nel presidente uscente la prospettiva di stagnazione del paese, legando invece Balasanyan alle possibili opportunità politiche di cambiamento e sviluppo5. Se da un lato è vero che Balasanyan ha impostato gran parte della propria campagna elettorale sul tema delle riforme, è altrettanto innegabile che il futuro del Nagorno Karabagh resti perlopiù legato alle scelte politiche dell’Armenia e degli altri stati del Caucaso, limitando parzialmente il raggio d’azione politico di Stepanakert entro ben delimitati settori economici.

Come è noto, diffondere sondaggi pre-elettorali richiede saggezza e consapevolezza che spesso questi dati possono facilmente diventare uno spunto per alimentare disordini e manifestazioni da strumentalizzare. Anche questa volta il sondaggio, come era in effetti largamente prevedibile, è stato smentito dai risultati ufficiali della Commissione Elettorale Centrale. Ma se in statistica hanno pari importanza le percentuali di voto e la numerosità del campione complessivo, sarebbe opportuno che quando si riportano i dati di un sondaggio fosse indicato anche il numero delle persone intervistate. Osservando infatti che l’ultimo sondaggio importante pubblicato da karabakh-open.info (“open” come Open Society?) ha raccolto solamente otto votanti6, viene da chiedersi su quale base si possa estrapolare dati così poco statisticamente rappresentativi per supportare un’analisi delle prospettive politiche ed elettorali di un intero paese. Alla luce di questi elementi, forse è bene non dare per scontato che i mass media internazionali siano tutti ugualmente interessati a quei concetti fondamentali di pace e stabilità che spesso risuonano nei comunicati ufficiali delle diplomazie internazionali.


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