<<Gli esperimenti non producono un sì o un no, ma un continuo flusso di probabilità. Tutto si scompone, proviamo ogni volta con parole diverse. Un reticolato di possibilità infinite. Scomporre e ricomporre in equilibri alternativi secondo una relazione non pre-determinata>>.
In questo crocevia si trova Nanni Balestrini, poeta e manipolatore di linguaggi, attivo fin dalle avanguardie d’inizio ‘60 e mai domo nel suo articolare e disarticolare forme, liberandole dalla palude della sintassi e del senso e rigenerandole ogni volta attraverso procedimenti costruttivi che non ignorano le potenzialità (in)espressive dei mezzi tecnici ( il linguaggio macchina in primis, così meravigliosamente slegato dal nostro Io) di cui potremmo far uso liberatorio e alternativo, non perfezionandoci ogni volta a fare meglio quel che già prima ci aveva rinchiuso in vicoli ciechi della fantasia e della vitalità.
Così in iCaroBalla, uno dei video-lavori presentati all’interno delle serata di Versi In scena dedicata dall’Atelier Meta-Teatro all’artista di origine milanese, battaglie di matita su carta candida, come un batter d’ali ritracciato dal percorso di una mano sospinta dalle note e dalle parole, ricordano il futurismo più eversore, facendo irruzione a colpi rapidi e scomposti, tra linee che prendono corpo sul vasto campo della pagina bianca, seguendo andamenti non ordinati, prima melliflui e circolari, poi nervosi ed eccitati, mitragliando la pagina, ferendola e annerendola.
E in Viaggio, dove nel tragitto di una mano che vola tra parole ritagliate in carta ritorna la vocazione all’esplorazione non solo fisica, al partire non solo mentale, dei mondi a disposizione. Tra la grazia leggera dei tratti animati di Mimmo Paladino, i grappoli di segni grafici galleggianti, la voce guida recitante di Ilaria Drago, non si fa che passare e cambiare, spostarsi e consumarsi, di verso in verso, di frame in frame, tra le galassie spazio-temporali, semiotiche o solo terrene, e quel che conta è ancora – come godardianamente verrà proclamato in seguito – lo spazio tra le cose e la distanza che da un punto all’altro sembra eternamente intercorrere.
Così in Basta cani, declinando un sostantivo in tutte le diramazioni sintatticamente pensabili (si veda/si legga per approfondire “La signorina Richmond – http://www.nannibalestrini.it/richmond/poesie1.htm )”, con una ridondanza dei suoni verso l’allitterazione rap che fa trascolorare ancora il significato, e giovandosi d’un Antonio Rezza marionetta espressionista più che mai, frenetico e delirante punto nero in una desolata spiaggia sovraesposta e bianchissima e in montaggio associato al mare di petrolio che ha inquinato le già dimenticate coste messicane. L’eco-tragedia nel golfo del Messico a ricordarci per metafora come la scrittura (estesamente ogni procedimento s-compositivo) possa figurarsi come piattaforma sull’orlo del disastro, ogni volta che una falla si apre e qualcuno ne approfitta per acuire la ferita e far dilagare il seme.
Ma c’è più cinema forse nei versi di Balestrini che non nelle immagini che li accompagnano. Perlustrazioni analitiche e pragmatiche più che voli lirico-visionari. Versi che risplendono soli. Oppure contrappuntati dalle note di Luigi Cinque e dalla voce di calda di Ilaria Drago. C’è più idea di cinema lì dove una bocca su un leggio ci introduce a Fino all’ultimo. Ricognizione e composizione per JLGodard. Accorato excursus in quella sua poetica che non è altro che uno schiaffo politico (o alla politica).
Contro il ruolo-status del regista in genere, imperniato di totalitarismo mercantile: un cinema fatto non per vedere ma per dominare, “perché vuole piacere invece di trovare”. Ancora avvertendo quella fangosa palude di cui già prima s’accennava. La palude del linguaggio della sintassi. Già troppo tardi. Fino all’ultimo. Per Godard.
Esaurire il campo del possibile (esaurirsi, se possibile), prima di andare oltre, prima di far ricorso ai propri sempre egocentrici interessi illudendosi di inventare o formulare il nuovo. Basta un posto e un’azione. Mai domabile, mai domata, Rivolta in atto. Sempre in lotta con sé stessa e con sé stessi. Sforzandosi di non piacere.
Al lirismo e all’espressione enfatica preferisce la perlustrazione analitica delle forme del linguaggio. Una rabbia composta. Una quiete furiosa. Il collage, il ritaglio, l’ibridazione dei meccanismi generativi, lo scontro in montaggio (“al montaggio si incontra il destino”), la ripetizione variata, la variazione ripetuta come armi per il suo procedimento costruttivo, convinto che dialetticamente nel relazionarsi e scontrarsi (e solo così) qualcosa succede. Cozzando contro quel che si vede e si crede. Andando a cercare altro. Non riflettendosi ma estroflettendosi.
E ci avverte: Quando ci si ferma (si finisce di voler cercare e la coazione a ripetere – a riperdere – prende il sopravvento), è la pornografia!
E io avverto infine sorpreso in un vicolo cieco: il paradosso sbuca sempre dolente dietro ogni angolo di messa in scena più o meno dichiarata: costruire bene una tela per denunciare che una tela costruita bene è la peggiore e la più subdola delle forme di dominio. “Ma si capisce quello che si vuole fare solo facendolo”.
<<Poi all’improvviso arriva qualcosa. Piano fisso su qualcuno che fa qualcosa. Confuso, incoerente, volutamente bislacco [je suis con, mais il faut!]. Avevamo creduto che sarebbe stato l’inizio. Però era troppo tardi. Era già tutto finito. È stato rifiutato dalla società. Sarebbe stato l’inizio, una rivoluzione. Era troppo potente, era incontrollabile. La diffusione ha preso il sopravvento, è rimasto solo il mezzo. C’è qualcosa di molto totalitario in questo, si produce per poter diffondere>>.
Salvatore Insana