A partire dai primi anni settanta, precisamente dal 1973, l’Italia ha sperimentato l’inversione dei flussi migratori diventando un paese che comincia a espellere meno persone di quante non ne riceva: tecnicamente si chiama “saldo migratorio positivo”. La portata di questa rivoluzione, che forse a molti oggi appare come un fatto in qualche modo scontato, si sarebbe compresa solo decenni dopo e rappresenta tuttora una “questione” decifrata muovendo da prospettive sghembe e parziali.
In Latino America le tradizionali mete dell’emigrazione italiana come l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay e il Venezuela sono diventate espulsori di persone le quali, spesso facilitate dalla vicinanza culturale o dalle origini italiane, tentano il ritorno in Europa via Italia o via Spagna in attesa di una scelta definitiva. D’altro canto non sono questi i flussi che più hanno inciso sull’immigrazione latinoamericana in Italia e in Campania: le comunità più grandi sono, infatti, quelle provenienti dal Perù, dall’Ecuador, dal Brasile, dalla Repubblica Dominicana e dalla Colombia.
Dopo aver definito il quadro teorico e storico dei movimenti migratori e aver definito con precisione i termini della ricerca, quali il gruppo d’indagine e i suoi limiti geografici e temporali, il saggio di Maria Rossi si addentra nel cuore della Napoli delle mille identità. Esplora le interazioni dinamiche tra etnie e nazionalità diverse con l’analisi di tutti gli elementi necessari alla comprensione di quella parte d’umanità che dall’America Latina giunge fino ai nostri quartieri: le strategie d’identificazione, il sistema delle motivazioni, l’ambito della famiglia migrante che evolve al modello transnazionale, il mondo del lavoro con la prevalenza delle donne impiegate e degli “uomini che si arrangiano”, le aspirazioni e il futuro, l’idea del ritorno e il fascino dei progetti di vita nella nuova realtà abitata e vissuta in Italia.
Si aprono anche delle parentesi importanti sulle forme dell’associazionismo latinoamericano a Napoli, sul dislocamento e le forme di vita nei singoli quartieri “latini”, sulla religione e sui fenomeni linguistici. I processi di gerarchizzazione, creazione di status e “italianizzazione” del migrante si legano alla cambiante proporzione e contestualizzazione nell’uso dell’italiano e dello spagnolo (tra i migranti de habla hispana, di lingua materna spagnola) in un gioco dinamico di esclusioni e inclusioni dei membri della comunità più “integrati” rispetto agli altri. E’ più o meno quello che succedeva agli “italiani d’America”.
Nel barrio latino si raccontano storie, testimonianze di vita e speranza, si raccolgono la fede e le tradizioni, il sincretismo e l’associazionismo vitale dei migranti latini che, come ci racconta una delle voci raccolte e riportate da Maria, “dal punto di vista culturale” non sono tanto diversi. “Il napoletano possiede un po’ della nostra cultura ed è questo che mi spinge a rimanere qui”. Una delle ricchezze del testo è l’aver integrato testimonianze che avvalorano passo a passo l’esperienza e la teoria, il vissuto e la scrittura in esso contenuti. Dagli spaccati di vita in emersione allo stesso linguaggio, con quello spagnolo (o portoghese nel caso dei brasiliani) intercalato nell’italiano che non è la lingua predominante della quotidianità, i racconti degli informanti ci proiettano nel cuore dei problemi.
“Un problema perché acá i documenti…stanno un sacco di ragazzi e ragazze senza documenti che ya son persona che tienen 10, 15 años acá. Hanno perso il documento per motivo che hanno perso il lavoro e la persona che le ha dato il lavoro molte volte le retira il lavoro e il documento non lo fanno più…però son personas che si arrangiano, vendono ropa, fanno pranzi, insomma guadagnano qualcosa. Io suppongo che debieran darle documenti…Perché pagano un affitto e non le possono dare il documento?”.
Un altro elemento d’interesse riguarda il trasferimento delle pratiche religiose del migrante e la sua integrazione nella città di accoglienza che, nel caso delle comunità latinoamericane a Napoli, è favorita dall’associazionismo e dalla relativa compatibilità con le espressioni della religiosità locale. Per esempio il culto al Señor de los milagros, una devozione popolare verso un Cristo particolarmente miracoloso e guaritore molto diffusa in Perù, ha trovato un luogo privilegiato nella Chiesa dei Sette Dolori a Napoli.
La spinta verso l’interculturalità, intesa come fase successiva al multiculturalismo, è una via per l’integrazione e il riconoscimento dei gruppi latinoamericani (e in generale di ogni comunità migrante) e costituisce una delle proposte concrete del saggio. Si auspica il superamento della perniciosa cappa d’indifferenza e frammentazione che, nella maggior parte dei casi, caratterizza la convivenza di etnie e culture diverse, soprattutto in un territorio già carico di criticità e tensioni pregresse. Vincere la paura dell’altro, apprezzare la diversità come patrimonio e non come minaccia, riuscire a “far parte di più culture senza tradire la propria” sono le sfide da raccogliere dentro e fuori dalle ristrette comunità di stranieri, dentro e fuori dai sistemi educativi e dalle istituzioni.
Maria Rossi è dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane e docente a contratto di Letterature Ispanoamericane presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Courtesy of www.carmillaonline.com