Napolitano invita a riflettere sul fine-vita. Eccoci qui!

Creato il 28 marzo 2014 da Uccronline

Il presidente Napolitano ha sollecitato un «sereno e approfondito confronto di idee» sulle scelte di fine vita. Benissimo, raccogliamo questa sollecitazione e sottoponiamo alcune riflessioni.

Il sereno confronto di idee si potrebbe iniziare ricordando che le principali associazioni mediche internazionali sono contrarie all’eutanasia e al suicidio assistito, compreso il Comitato consultivo di etica della Francia, il cui ex presidente Didier Sicard ha criticato i quotidiani e «una lobby che passa il suo tempo a ricordare agli esseri umani che hanno diritti sul loro corpo, compreso il diritto di chiedere di morire, considerato alla stregua del diritto alla casa o a essere curati. Ma la morte, che pure attiene all’ordine di ciò che è più personale, non può essere un diritto. Il vero diritto è quello di essere curati, di non soffrire». In particolare, l’American Medical Association ritiene che il «suicidio assistito è fondamentalmente incompatibile con il ruolo del medico come guaritore, sarebbe difficile o impossibile da controllare e porrebbe seri rischi sociali».

Il dibattito potrebbe proseguire sottolineando che tale timore è confermato dagli studi più recenti. Il Journal of Medical Ethics ha infatti confermato che in Belgio, il primo e uno tra i pochi Paesi dove l’eutanasia è legalizzata, «un numero consistente di decessi», si legge, «non sono preceduti da una discussione con il paziente, nonostante la legislazione vigente lo richieda». In particolare, nell’81% dei casi i medici sospendo idratazione e alimentazione senza chiedere il permesso ai pazienti stessi.

Certamente è utile dibattere guardando a quanto accade laddove l’eutanasia è legale. Oltre al Belgio anche l’Olanda, dove proprio recentemente perfino il “padre dell’eutanasia”, cioè il dottor Boudewijn Chabot -che nel 1994 per primo fornì in Olanda un farmaco letale per il suicidio assistito a una sua paziente con problemi mentali- è arrivato ad affermare che «La legge sull’eutanasia in Olanda sta deragliando», dicendo di non sentirsi più a suo agio in questo Paese, che recentemente ha aperto l’eutanasia anche ai bambini malati (tanto che la Russia ha vietato le adozioni verso il Belgio), oltre a chi soffre di depressione o solitudine e -secondo recenti indicazioni- anche chi soffre di «disturbi della vista, dell’udito e della mobilità, cadute, confinamento a letto, affaticamento, stanchezza e perdita di fitness». D’altra parte in un’intervista al quotidiano olandese NRC Handelsblad lo psichiatra Gerty Casteelen ha giustificato così l’eutanasia di un uomo anziano: «E’ riuscito a convincermi che era impossibile per lui andare avanti. Era solo al mondo, non aveva mai avuto un partner. Ha avuto famiglia, ma lui non era in contatto con loro». Questo è bastato per accettare di ucciderlo.

Eppure, è stato ricordato sul “The daily beast”, la legge olandese è entrata in vigore nel 2002 soltanto per chi viveva «sofferenze insopportabili e senza speranza», eppure il piano inclinato è stato travolgente, travolgendo anche coloro che non erano d’accordo e non avrebbero voluto avere a che fare con l’eutanasia. Sia in Belgio che in Olanda, dunque, viene confermato il timore di mons. Elio Sgreccia: «Quando si apre una porta, anche poco, si accetta l’idea che si spalanchi sempre di più», ha affermato. «È un’illusione pensare di poter limitare l’eutanasia o il suicidio assistito entro confini rigidi, controllando la pratica».

Dovremmo confrontarci anche con i timori delle associazioni di disabili, come la “Disability Rights Education and Defense Fund”: «Il suicidio assistito è una politica pericolosa», ha affermato, «in particolare per quelli di noi che vivono con disabilità e malattie serie. Prevediamo molto pericolose conseguenze sociali», come ad esempio «pressioni o coercizione da parte di familiari o altre persone» nei loro confronti. Marco Maltoni – medico palliativista e direttore dell’Unità cure palliative di Forlì ha proprio spiegato che «in situazioni di inguaribilità la perdita di un significato della propria vita e la solitudine condizionano la più lucida autodeterminazione. In una “cultura dello scarto” c’è il rischio che emerga l’”obbligo volontario” a farsi da parte».

Ben Mattlin, giornalista affetto da una grave malattia neuromuscolare congenita, esprimendo il suo parere contrario all’introduzione del suicidio assistito in Massachusetts, ha scritto: «Sono un liberal, quindi dovrei sostenere il suicidio assistito, ma come paziente disabile non posso. Ho vissuto vicino alla morte da così tanto tempo che so bene quanto sia sottile la linea di confine tra la libera scelta e la coercizione, come sia facile che qualcuno, anche inavvertitamente, ti faccia sentire senza valore e senza speranza, così da esercitare una pressione, leggera ma decisa, perché tu sia “ragionevole”, per “sgravare gli altri dal peso”, per “lasciar perdere”». Parla di «un certo sguardo esausto negli occhi di un tuo caro, o il modo in cui infermieri o amici sospirano in tua presenza. Tutto questo può causare una pericolosa nuvola di depressione anche nel più ottimista, situazione che i medici potrebbero male interpretare poiché per loro risulta perfettamente logica. E per certi versi è razionale, data la scarsità di alternative. Se nessuno ti vuole alla festa perché dovresti restare? Chi sceglie il suicidio non lo fa in un ambiente neutrale. Siamo inesorabilmente condizionati dall’ambiente che ci circonda».

Queste sono solo alcune delle riflessioni che occorre fare, caro presidente Napolitano, ma dubitiamo che possano farle piacere ricordando a come si è comportato con Eluana Englaro. Il dialogo dovrebbe comunque essere ispirato da una cultura che promuova la vita e che non consideri le persone malate come merce scaduta. Non vanno abbandonate alla solitudine o ad una sofferenza insopportabile, su di loro bisognerà investire tutte le risorse possibili perché non debbano uccidersi per disperazione.

La redazione


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