La mattina, sul trenino che da Saxa Rubra porta a Roma, appendersi a un sostegno tra la folla di persone che ondeggiano e le brusche frenate del conducente, equivale a sottoscrivere un atto di fiducia nel destino. Ma il ragazzo che ho accanto, circa trentacinque anni, capelli corti e abbigliamento casual, di fiducia ne ha da vendere. È un equilibrista nato: con la mano destra si regge alla sbarra in alto, mentre con la sinistra tiene un libro aperto in mano, lasciando che dall’avambraccio gli penzoli quasi fino a terra, un po’ mesto, un giacchetto grigio di cotone pesante.
Resta così, assorto nella lettura, fin quasi alla fine del percorso. Ma in realtà il suo è solo uno stand by: quando una signora si alza lasciando libero un posto, lui esce dal torpore e si guarda attorno, muovendosi a scatti. Inquadra il suo interlocutore, lo chiama, gli picchietta sulla spalla con l’indice. Infine gli indica quel trono pendolare un po’ sudicio, invitandolo al riposo con un cenno. Il signore anziano alza le spalle e mormora un “ormai…” abbozzando un sorriso a metà, e torna ad appoggiarsi al bastone. La prossima fermata è il capolinea: per pochi secondi ancora il ragazzo torna su Narciso e Boccadoro di Herman Hesse.
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