Possono succedere molte cose in pochi mesi. Nemmeno un anno fa, quando tracciavo un quadro della situazione del narcotraffico in Centroamerica, il cartello di Sinaloa risultava il padrone indiscutibile delle rotte che dalla Colombia portano al Messico. Gli emissari del Chapo Guzmán, valendosi dell’alleanza con i capi colombiani, avevano creato una rete impenetrabile lungo tutto l’asse centroamericano. I cartelli del Golfo, di Tijuana o di Juárez hanno dovuto accettare la situazione e scendere a patti con gli uomini di Sinaloa. L’unico gruppo a rifiutare questa sorta di pax romana è stato quello degli Zetas, che ha cercato di portare anche fuori dalle frontiere messicane la sfida al Chapo. Un conflitto che ha fatto registrare crudeli fatti di sangue soprattutto in Guatemala (tra tutti, la strage di La Libertad dello scorso maggio, con un saldo di 27 contadini massacrati). Il tentativo –non riuscito- è stato quello di appropriarsi delle porte d’entrata al Messico, dove riunire e immagazzinare i carichi di droga provenienti dal Sudamerica.
Dietro la crescita del potere degli Zetas c’è Heriberto Lazcano, El Lazca, un ex militare delle forze speciali. 37 anni, coinvolto sin dall’inizio –era il 1998- nel piano dei narcos del cartello del Golfo di penetrare e corrompere l’esercito messicano assoldandone i suoi migliori elementi, Lazcano ha preso il controllo delle operazioni degli Zetas dal 2004. La sua strategia, da allora, è stata quella di rompere l’alleanza con quelli del Golfo e di trasformare gli Zetas in un gruppo indipendente. Per farlo ha sconvolto le poche regole che rimanevano tra i cartelli: c’è Lezcano, infatti, dietro le stragi di centinaia di emigrati o agli spargimenti di sangue tra i civili. Gli altri capi, lo scorso febbraio, lo avevano sfidato a desistere dall’usare quel metodo, incitandolo a combattere come un uomo, usando il terreno tradizionale dello scontro diretto tra le bande. L’intimazione non è stata raccolta e gli Zetas hanno continuato ad uccidere innocenti, sparando nel mucchio, consolidando l’omicidio come unico mezzo di intimidazione e potere. La lista dei massacri perpetrati nel 2011 è lunga: l’attacco al Casino Royale di Monterrey (52 morti); la strage di San Fernando (193 morti); le ripetute esecuzioni di massa di Durango (249 morti) sono stati i misfatti più eclatanti di un anno macchiato di efferatezze indescrivibili. Ogni atto smisurato è un chiaro avviso ai cartelli, alle autorità e alla società civile: gli Zetas vogliono essere i padroni delle vite dei messicani e non ammettono intromissioni.
Sul piano della criminalità, gli Zetas sono diventati oggi il principale avversario del cartello di Sinaloa. La lotta tra le bande ha fatto solo nel 2011 più di undicimila morti, ma intanto il gruppo di Lazcano ha assunto il controllo dello stato di Chihuahua, fondamentale per i traffici che raggiungono gli Stati Uniti. Lazcano (sulla cui testa ci sono due taglie, una del governo Usa di 5 milioni di dollari, ed una di quello messicano per altri due milioni) è un fantasma. Nessuno sa dov’è, ma intanto riesce a trovare il tempo per inaugurare cappelle e regalare fondi per la costruzione di chiese. Anche se ha sulla coscienza migliaia di vite, è forse convinto che l’acquisto di un pugno di indulgenze sia un passaporto sufficiente per il perdono divino.