Fiammetta Giugni, Carmina Flammulae, Edizioni CFR
Questo libro dimostra una vasta conoscenza dei percorsi e delle mete della poesia contempora-nea, perfettamente aderenti alla sensibilità dell’autrice che ne pratica una riflessione approfondi-ta, la libertà del dettato, la significanza dell’umile res. Ho usato volutamente questo termine la-tino perché avviene, nel susseguirsi delle poesie, di trovarne scritte in questa lingua o anche nel dialetto della terra d’origine dell’autrice , o di contaminazioni di una lingua con un’altra, opera-zione di meticciato oggi in voga ma che qui sembra rispondere ad un’ esigenza del dire sincero e “vero”.
Fiammetta Giugni canta la montagna con dolcezza e amore: è una montagna quotidiana, di brolo e camminate; mancano le vette, il gioco dei venti sulle cime, il confronto fra l’umile essere , l’uomo, e il gigante della creazione.
Questi sono i monti di chi vi è nato e sa che le sue dolcezze nascono dalla pietra e come la pietra sono solide e metaforiche: “ è il luogo / da cui torno a nominare:/ l’incontro del piano col suo primo gradino/ (…. ) / che trattiene l’ascendere/ che trattiene il discendere/ e li assomma/ e li comprenda.” Le poesie si collocano tutte ( o quasi) in questa terra di mezzo, fra il basso e l’altrove, nel solo luogo dove l’amore può farsi incontro e suggestione , permanenza di presenza, dolcezza e dolore “…./ “ In questo brolo / è entrato equinozio/ (………………..) Chiaro e Scu-ro/ così innocenti e intatti …./ fuori è rimasto/ quel piccolo grammo di strazio/ che avrebbe sbi-lanciato il tutto.
L’amore che canta Fiammetta Giugno è corporale e spirituale, a volte non è chiara la distinzio-ne, perché l’amore trascende ogni bassezza per farci incontrare su un gradino superiore di cono-scenza , che non è affatto detto che sia indolore., pur tuttavia è sufficiente.
La poetessa si scava e trattiene l’angoscia lasciandosela scivolare fra le dita, come se essa appar-tenesse al suo mondo, come se appartenesse alla vita.
Diventano chiari così i versi :” di quello che c’era sulla pelle / ( come chiedervi in silenzio)/ ho fatto scorta interiore/ e ne ho di che vivere bene/ per sempre.”
Ma la terra appartiene a tutti, la roccia sono le sue ossa, non la si può dividere e misurarla, sa-rebbe come affettare l’amore che resta sempre totale e integro. Chi la sente conosce i luoghi del-la sua direzione ( il recto, il verso, l’impronta) e da questa è dedotta e anche sedotta, anche se “il posto della nostra tenerezza/ è un accampamento di fortuna”; né potrebbe essere diversamente per la precarietà dell’esistere e dell’esprimere.
Alle pagine 52 e 53 vi sono due poesie che sono la chiave di lettura dell’intero libro, la sua cifra semantica e aurorale che dà ragione a quante le precede e a quelle che seguono.
Ma finissimi e tanti sono le visioni e le sensazioni espresse, perché tutti i sensi sono all’erta e anche il ventre profondo si fa largo per far raggiungere alla ragione le sue emozioni.
L’ultima sezione “ Versi incompiuti sulla forma della croce” costituisce un corpus poetico che nulla muta nel ritmo e anche nei senso, ma che esplicita il rapporto con la divinità, soprattutto con quella morta sulla croce, nostra salvezza e nostro dolore : “ volo chiuso/ aperto carcere”.
Forse più chiaramente si pronuncia la fragilità e la paura del salto alla fine del percorso, ma chi ha i tendini allenati dai salti quotidiani, può solo dire il timore e confidare.
Narda Fattori
*
averti
nell’ora più pura dell’alba
in questo lungo solstizio
d’estate
che cede alla notte la luce
e sentirti ombra chiara
*
abbandono la carne
al suo destino
qui, nel protetto brolo
delia mia storia picciola
Forse sarebbe meglio
slogare il gesto del pensiero
dal suo significato
apparecchiare alia parola
uno spazio di idee
ma qui prevale,
esposto al suo sale,
il derma, il suo sottile
*
all’ acme di questo solstizio
vorrei una parola capace
di colpire la notte
nel suo centro di gelo
una saetta di fuoco
che disegni una stella
nel tuo fondo più buio
al discrimine
esatto del tuo volgerti in luce
e scoprirla
con gli occhi dalla Terra
*
io vivo in presenza del monte
al cospetto perpetuo dell’ alto
e il mio profilo aggancia la sua ombra
alla tendenza della cresta
e così penso respiro e a volte
arrancando amo
ma il mio recto
il mio verso
il mio lato
riferiscono sempre l’impronta
la mia vita è dedotta
(da questa presenza)
e certo sedotta
( non fosse che a volte mi distraggo
mi chino verso il fondo e non voglio
ascoltare il richiamo del sommo)
*
il luogo del nostro amore
è un bivacco improvvisato
sulla cengia stretta di pietra
affidata alla ventura della sorte
una combinazione
di vento
di gelo
di ghiaccio
di rotolare di sassi nel buio
o dentro l’apparire fulmineo della luna
il posto della nostra tenerezza
è un accampamento di fortuna
*
noi
che scendiamo da un diverso orientamento
ci incontriamo
all’incrocio delle consonanti
a quel crocicchio inverso di pw1te
(come in un tumulto controvento)
ma non ci fermiamo
almeno fino a quando non avremo ristravolto
gli opposti avversi
poi
da quel capoverso ripartiamo
*
attenta al monte!
recita la targa sulla mia porta
nella doppia accezione
del tendere l’agguato
e del porte attenzione
e cura
così ci amiamo:
nell’incastro perfetto
delle accezioni doppie
nelle simmetrie
delle tensioni opposte
con le scherme
ricostruiamo la pace
*
so che devo guardarmi dalla cima
che ha già atteso tutto
lassù il tempo ha uno scarto di senso
un sentore di scontro
per quel limpido intenso
e proibito allo sguardo
è un invito a una lotta convulsa
che fa dura la mana che tocca
che fa rossa di sangue la bocca
*
posa sulle mie cose
nel tragitto palindromo
del scendere e salire
l’eco della cima silenziosa
e viene neve se ha da venire
e vento quando soffia
e quando sorge
luna
e quando viene
il vento
taglia la lingua nuda
*
non sono io che guardo
perché a scavarmi gli occhi
è la tua immagine
come una risposta lanciata sullo schermo vuoto
molto prima che nasca la domanda
io ho qui davanti un muro
e l’esperienza dice che non c’e nient’altro
mischiato alla mia carta e alla mia penna
(c’e da confondersi i sensi
a mantenerli intatti)
e come rispondo
adesso
alla risposta?
come le scavo quelle mani tremende
come faccio a violarti le braccia
come colpire e scolpire la tua bocca
come vinco la fossa del tuo fianco
e quel bianco nel colore del tuo sangue?
*
qui non c’e niente
(benché mi tocchi
e affiori
del labbro la pronuncia nuda)
qui il senso si è slogato
e tutto in te
il dato inoppugnabile
e per continua aggiunta
e per inesorabile travaso
*
a ogni voltar di pagina
convoglio la presenza
di tutta la mia apprensione
e di tutte le mie fiducie
e un dispormi al viaggio
sub signi crucis
unica protectione
*
questa sera sei sceso
a vestire i colori dell’icona
e con dolcezza abbandonarti
al velo di un corpo inusuale
io
affacciata alla riva di un’altra tradizione
ho visto nei tuoi occhi
come in un nido
il cielo