Nardò e la sua importanza nelle produzioni di maiolica in Terra d’Otranto
4 febbraio 2014 di Redazione
di Riccardo Viganò
Non c’è un oggetto per minimo che sia che, concentrandovi sopra l’attenzione, non cresca all’infinito
(L. Tolstoj, “Guerra e pace” – Epilogo)
Mortier, Pianta prospettica della città di Nardò in Puglia, Amsterdam, 1704
Nulla rimane a Nardò, in provincia di Lecce, della sua tradizione di produzione ceramica pregiata come la Maiolica, nei secoli addirittura vantata, come anche nella popolazione che abita questo magnifico centro. Neanche il ricordo, niente, neanche una targa su un muro, in quella che una volta veniva chiamata la strada dei “Piattari”. D’altronde ora viene chiamata, come almeno da centosessanta anni, via Pellettieri.
Nulla si è salvato. Le fornaci, le botteghe, le attrezzature; niente, a malapena gli stabili, ora riconvertiti da botteghe ceramiche o di “lavorar codime di creta”, in B.&.b, osterie, per altro ottime, libreria ed un cinema abbandonato e cadente. Solo una ricerca d’archivio ha fatto si che gli interpreti principali di questa storia escano dall’ombra come fantasmi di quei ceramisti e produttori di ceramiche che, attraverso i secoli, contribuirono a rendere quasi leggendari gli oggetti da loro prodotti nella città di Nardò. Ombre di un non lontano passato, indispettiti dall’essere stati dimenticati in così breve tempo o, forse, solo desiderosi di essere scovati, ricordati, che tanto hanno fatto, nel loro piccolo, per non essere dimenticati.
L’importanza di questo centro produttivo, in confronto ad altri centri con tradizione e produzioni di livello popolare e a basso costo, è ancora una volta dimostrata da documenti di archivio che evidenziano l’alta qualità dagli oggetti della maiolica in stile “Compendiario” usciti da questi atelier. Difatti, alla fine del XVI secolo, vescovi di Lecce, e non solo, spendevano considerevoli (dire considerevoli è dire poco) somme per la realizzazione di “credenze personali”. Questi alti prelati richiedevano la realizzazione di oggetti da ”Parata” con la loro araldica personale non badando al prezzo. Uno di questi committenti spese ben cento ducati per essi e, se si pensa che una bottega ne valeva quaranta, questa spesa al giorno d’oggi si potrebbe paragonare all’acquisto di una macchina sportiva di lusso. Questi personaggi dimostrano la loro predilezione per questo centro produttivo che per altri centri più affermati della stessa regione, come Laterza.
Nardò, via dei Piattari (attuale via Pellettieri)
Tale era l’importanza di queste produzioni, in quel periodo in terra d’Otranto che il nome di “Faenza-e” (maiolica) veniva eguagliato alla città di Nardò e viceversa. Insomma quando si parlava di Nardò si diceva Faenza.
L’importanza di queste produzioni è documentata anche dai continui litigi e cause dei ceramisti, soprattutto tra parenti, per il totale controllo delle botteghe.
Comunque non si può, nel ricostruire la storia di un importante centro produttivo di ceramica di pregio in terra d’Otranto come Nardò, escludere dalla narrazione l’importanza del trasferimento di maestranze qualificate, avvenute in un arco temporale che copre i secoli XV e XVIII. Esse sicuramente si attestarono in questo centro, il quale aveva già un antica tradizione ceramica, sicuramente medioevale o precedente. Già nel 1995 l’Archeologo Giovanni Mastronuzzi ipotizzava l’esistenza di un atelier neretino attivo agli inizi del III secolo a.C. Inizialmente queste maestranze estranee al tessuto sociale neretino, si insediarono in questo centro, sicuramente al seguito dei primi Acquaviva, feudatari di Nardò. Con il trascorrere del tempo si fusero con la popolazione locale diventandone un tassello importante, non solo economicamente ma anche socialmente. E quando esse abbandonarono la loro arte, per estinzione della famiglie o perché diventate classi agiate, la fama di questo centro che lentamente si stava estinguendo attirò come uno splendido Faro altre famiglie da altri centri con eguale tradizione. Riattizzandone con le loro fornaci e fornacette alimentate da legna e nocciolo di olivo, fuoco e fama. Purtroppo saranno queste fiamme ad alimentare gli ultimi bagliori di gloria di queste produzioni, sicuramente sconfitte da quella che fu chiamata Prima Rivoluzione Industriale o, più comunemente, conosciuta come “Modernità”, che l’importanza di questo centro decade e, con questa, scompare anche la tradizione figula, soppiantate da oggetti prodotti in serie e reperibili a minor prezzo, in luoghi distanti dalla nostra regione.
Bibliografia
M. SALVATORE, Nardò, sta in R. VIGANÒ «Per uso della sua professione di lavorar faenze. Storia delle fornaci e delle manifatture ceramiche a Nardò tra la seconda metà del XVI e gli inizi del XIX secolo», Monteroni 2013.
M. SALVATORE – R. VIGANÒ, Primi dati sulla ceramica di Nardò, sta in «Quaderni del Museo della Ceramica di Cutrofiano», n. 11(2008).
R. VIGANÒ, Per uso della sua professione di lavorar faenze. Storia delle fornaci e delle manifatture ceramiche a Nardò tra la seconda metà del XVI e gli inizi del XIX secolo, Monteroni 2013.
R. VIGANÒ, Le ceramiche dal palazzo Marchesale di Galatone, sta in «Il palazzo marchesale di Galatone», a cura di Resta G., Galatina 2003.
R. VIGANÒ, Le ceramiche post medievali dalla chiesa di S Giorgio in Racale, sta in «Quaderni del Museo della Ceramica di Cutrofiano», n. 8-9(2004).
R. VIGANÒ, Ceramisti di Nardò tra XVI e XVIII secolo, sta in «Quaderni del Museo della Ceramica di Cutrofiano», n. 12(2010).
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