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Nardò: Il Dies Irae medievale fra le pagine del S. Domenico

Creato il 20 dicembre 2011 da Cultura Salentina

di Paolo Marzano

Dopo un’attenta ricerca, ecco un’ipotesi possibile di traduzione della simbologia medievale della facciata del ‘Dies Irae’ domenicano scolpito. C’è un messaggio ben preciso nel ‘retablo’ neretino. Cerchiamo quindi di tentare di comprenderne i codici.

E’ un’intera popolazione di personaggi, immersi in un fitto bosco, ad apparire al curioso e all’attento osservatore, quando entra nello slargo prospiciente la chiesa. Il piccolo spazio, come la tolda di un teatro sembra fatto apposta per la necessaria ‘sosta sensibile’, come la chiamo io. Qui, si alza lo sguardo e si rimane attoniti. La brunita e scabrosa pietra sembra ribollire di volumi, figure, masse e la ruvida superficie cola formando rivoli lavici che si trasforma in figure antropomorfe e fitomorfe. Ci si accorge allora della fioritura di mille corolle, di piccoli sguardi e facce di creature tra le foglie, una ricchezza d’immagini, nel frenetico gioco d’equilibrio tra forma e fondo. La facciata inizia, così, a farsi lentamente esplorare, consapevole dell’atmosfera prodotta dal mistico ed enigmatico gioco d’ombre. Tutto appartiene ad un ricercato, colto e perfetto quadro iconografico, ‘macchina’ di sensazioni ed emozioni.

Nardò: Il Dies Irae medievale fra le pagine del S. Domenico

Il S. Domenico di Nardò appare come un’originale bellissima pagina di un prezioso codice miniato e, proprio come una pagina, va letta con attenzione. Leggere vuol dire però tradurre dei linguaggi e dei simboli. E’ proprio quello che proveremo a fare. La premessa è semplice, ma importante: ciò che sarebbe stato facile leggere, per un uomo medievale o del primo cinquecento, non lo è per noi. Nel Medioevo infatti esistono dei gesti delle mani o delle posture del corpo che, in genere, venivano lette dal popolo diversamente da come possiamo concepirle adesso. Infatti costituiscono dei codici precisi e riconoscibili da tutti come quelli desumibili nelle tante opere d’arte antiche. Numerose infatti le formelle, i mosaici, le pitture e le sculture analizzate per questo studio. Ciò che appare indicativo, per esempio, è che l’espressione del volto degli omuncoli della facciata, per la maggior è parte simile. Ciò conferma che l’attenzione va rivolta alla loro postura, agli oggetti che essi sorreggono o alla posizione delle mani. Siamo circa nell’ultima parte del cinquecento, la facciata in generale ‘volutamente anticata’, si è servita di riferimenti anche basso-medievali, appunto per trarne la più semplice comunicazione, utile ad indicare l’unico percorso possibile per la redenzione dell’anima, ad una popolazione, controriformata e cristianamente da ‘istruire’.

Lo schema generale è evidente. Un alto stilobate delimita e sostiene ‘albertianamente’ l’area del templum, con colonnato binato a “tutto rilievo”. E’ più che condivisibile allora la colta scelta (evidentemente non del Tarantino costruttore) dei 14 Erma di 3 o 4m. incastrati come trofei tra colonne (G.Hersey) e decorati con ghirlande, cesti colmi, corone, maschere apotropaiche ecc… Tra Erma giganti e piccoli omuncoli quindi esistono due chiari livelli di narrazione e di lettura, ben distinti.

La facciata ‘retablo’, dunque, specialmente l’alto stilobate, si presenta come la base di un grande altare, quasi un riferimento diretto alla colta disquisizione teologica del Salvio a Nardò, sulle forme del coro o sui metodi di comporre l’arredo sacro e i modi di contenere l’Eucarestia. Una facciata tabernacolo dunque? Ipotesi possibile, gli omuncoli e gli erma, in questo caso, allora definirebbero delle metope che compongono un ‘ciclo chiuso’, un messaggio dato preciso. Ci sarebbe da studiare e ricercare ancora, perché ritorna sovente il concetto della, già affrontata filologia antiquaria, che ritengo sia la reale, colta componente autoctona. La modesta ‘scultura’, tardo medievale e cinquecentesca, infatti è compensata da una sublime rielaborazione di codici e motivi artistici reinterpretati utilizzati a diversa scala con creatività e coscienza artistica molto valida e elegantemente ispirata. Nella facciata una ricca plasticità ascensionale che contrasta con la naturale lettura orizzontale. Basta prestare, però, un po’ più di attenzione per distinguere chiaramente, l’incredibile serie di alti Erma fogliacei (13 + 1 angolare) di cui alcuni, del tipo ‘virile’, in particolare i due ai lati dell’ingresso e quello all’angolo.

Nardò: Il Dies Irae medievale fra le pagine del S. Domenico

Essi fungono da mensole per sostenere quelle ‘creature’ dalla forma di putti/telamoni che ho ritenuto ‘omuncoli-regola’, i comunicatori delle rigide indicazioni, domenicane. Norme figurate, quindi, semplici e comprensibili per un tempio sorto, in queste terre ‘al limite’ (la stele dell’Erma, infatti, è la divinità dei limiti, in questo caso la lunga serie adottata, rappresenta il viaggio terreno condotto nel superamento dei territori e fra le diverse culture per l’evangelizzazione domenicana). La nudità delle figure è, lo stato dell’anima, quando sarà di fronte a Dio, nel giorno del giudizio (appuntoil Dies Irae). 13 omuncoli, quindi, come parole di un discorso, 6 a sinistra e sette a destra.

Partiamo dal centro. I due centrali sopra l’ingresso reggono ceste colme di doni. Subito dopo, ecco l’omuncolo seduto con una particolare postura delle mani, assolutamente non secondaria: le mani sulle ginocchia. Se ne contano 3 in questa posizione.

La simmetria finisce qui. Infatti, poi, il corrispondente personaggio dell’omuncolo che sostiene un libro, è già la prima figura capovolta dall’altra parte. Ai lati dei due fornici della facciata, a sinistra gli omuncoli sostengono un teschio e una sfera. Dall’altra parte due altri omuncoli, sostengono (come telamoni) una voluta.

L’ultimo omuncolo a destra appartiene a quelli che hanno le mani poggiate sulle ginocchia, l’ultimo a sinistra invece ha le braccia verticali cadenti, poggiate ai lati, con palmi rivolti verso il basso. Passiamo ad analizzare dunque i significati che ho ricercato in questo mio studio.  Ritengo che l’originale serie di omuncoli siano stati un’utile invenzione. Un facile vettore comunicativo traduttore di messaggi comportamentali. Passiamo allora all’analisi dei significati, per la maggior parte tradotti, secondo il Medioevo:

Nardò: Il Dies Irae medievale fra le pagine del S. Domenico

1)Omuncolo con le braccia cadenti ai latie con palmi rivolti verso il basso: la figura comunica una generale assenza di qualunque condizione di attività, compreso l’abbandono psicologico, l’inutile battaglia contro l’imponderabile. Può indicare anche la vicina morte o magari quella già avvenuta. L’incapacità comunque di reagire ad un accadimento naturale di fronte al quale nulla è possibile.

2)Omuncolo con la sfera: la sfera è simbolo della teofania (manifestazione di Dio). Ha lo stesso valore simbolico del cerchio, impossibile da misurare con precisione non avendo né principio né fine, è l’immagine della divinità. La sfera o il globo è il volume perfetto, rimandano alla divinità o all’universo, sul quale regna l’Onnipotenza di Dio. Il globo a volte con una torcia infuocata è un simbolo domenicano.

3)Omuncolo con il teschio: un teschio lo troviamo ai piedi della croce sul Golgotha. In questo caso è il teschio di Adamo il cui peccato viene lavato col sangue del Nuovo Adamo inchiodato alla croce. Lo troviamo anche tra le mani di alcuni santi come Francesco d’Assisi, Romualdo, Girolamo o Maria Maddalena come simbolo d’ascetismo. Il teschio o cranio rappresenta il carattere fuggevole ed effimero della vita terrena.

4)Omuncolo con il libro: è l’unico omuncolo, a differenza di tutti gli altri 12, con gli occhi chiusi. In meditazione ne ripete il contenuto. Il simbolo del libro fa riferimento al Cristianesimo come al Giudaismo e all’Islam; le tre religioni chiamate “del Libro”. E’ tenuto, a volte, tra le mani di un Profeta, di un Evangelista o un Fondatore di un ordine. Nelle mani di un personaggio come un putto o telamone significa e ricorda l’importanza della Regola. Nel “Dies Irae” sarà il libro dove sono già scritte tutte le cose e per le quali saremo giudicati.

5)Omuncolo con le mani sulle ginocchia: il peccatore vittima d’orgoglio assume questa postura, ma anche chi è posto al comando o si trova nella funzione di giudicare; altri uomini, eventi, situazioni e porli sotto il suo controllo.

6)Omuncolo portatore di offerte: sembra più grande, ma è perché si trova in piedi, regge un cesto colmo di frutta. Rappresenta l’offerta (preghiera) per il ringraziamento, di ogni giorno di vita, a Dio.

7)Omuncolo reggitore: la posizione è simile ai telamoni “reggitori” di colonne, cibori, pergami, trabeazioni o balaustre. Qui però c’è solo una voluta a simboleggiare un ‘peso’, generico, quindi esprime il lavoro (di una vita) come concetto, e non lo sforzo di compierlo o viverlo come una condanna. Più avanti vedremo cosa potrebbe essere quella voluta adottata come ‘cartiglio’ gigante.

8)Omuncolo capovolto: una delle più complesse ‘posture’ per cui la mia ricerca ha dovuto sostare per parecchio tempo. Esistono altre interpretazioni ma ho colto la più adeguata a questo tema generale iconografico.Tra confronti sovrapposizioni rapporti di immagini e descrizioni si è giunti, ai fini di una probabile traduzione, alla simbologia più strana dell’intero “apparato” domenicano. Mal si adattava, secondo me, la facile interpretazione degli studiosi locali, fin’ora tradotta come una soluzione fantasiosa, bizzarra, grottesca o ironica del costruttore. Evidente che, l’ordine mendicante al quale apparteneva la chiesa neretina, come quello dei “Domini Canes”, (cani da guardia di Dio), non poteva permettere l’applicazione di motivi di dileggio figurato o arbitrariamente scelti dal costruttore, a maggior ragione se, in presenza di una figura come il priore Vincenzo Tarantino teologo (fratello del costruttore), ma ritengo ancor di più, la colta eredità del  domenicano Ambrogio Salvio (vescovo di Nardò), la cui storia giganteggia nell’Ordine Generale di S. Domenco e, secondo me, intellettualmente e materialmente molto più influente di quello che si possa pensare. Certo, capace di ispirare quel trattato scultoreo-teologico, dell’intero quadro iconografico di questa chiesa

Quindi, qual è l’altra ipotesi che riguarda il significato della figura capovolta. Ebbene, in alcune culture antiche, la postura della figura capovolta di un uomo, rappresenta il momento del ‘trapasso’, nell’accezione di morte e conseguente rinascita a nuova vita. L’omuncolo ancora afferrato alla materialità della terra, dunque, si vede proiettato al contrario, nudo (ritorno all’innocenza originaria) nell’ultimo momento, sotto lo sguardo attonito della creatura fogliacea che rappresenta la natura, compagna e ordinatrice delle cose di questo mondo. Il trapassato, quindi, morendo rinasce a nuova vita, come la posizione che qui assume, evidenziando l’infanzia della ri-nascita alla vita eterna. Utile postura per fare in modo che ancora una volta la voluta ‘cartiglio’ vanga tenuta aperta (importanza della regola).

PARTICOLARI E NOTE

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Sono da osservare i bellissimi Erma fogliacei e soprattutto le tre o quattro teste barbute, centrali con evidenti tratti somatici orientali di popolazioni diverse Cina, Giappone, Mongolia. Quindi, non Erma ibridi o neutri, ma utilizzati come segnali naturali di limiti territoriali come nella loro natura. Il Viaggio reale dunque della dottrina predicata nelle terre più lontane. Lo studio dei copricapo forse darebbe altri motivi di localizzazione delle relative popolazioni appartenenti.

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- Il cartiglio all’angolo sostenuto dall’Erma virile gigante, è caratterizzato da piccole volute assonanti a quelle usate per le sedute degli omuncoli, tanto che, il messaggio elementare che ritengo evidente, è quello di interpretare le stesse creature come messaggi uscenti da cartigli o dalle pagine scritte, quindi come abbiamo già detto ‘omuncoli come parole figurate, di un codice miniato semplice e facile da leggere.

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- C’è da sottolineare come siano diversi i modi con cui, i costruttori, distinguono la vita terrena da quella spirituale; a destra gli omuncoli infatti sono seduti direttamente sulle volute-cartiglio, mentre nella parte sinistra, siedono su uno strato di foglie come rivestimento delle stesse, debordanti  volute-cartiglio.

- La tipologia della colonna del tipo ‘rudentata’, usata per il tempio domenicano, la ritroviamo, con la scanalatura più profonda, e con il collarino al terzo medio, nella chiesa dell’Incoronata pregevolmente dipinta sulle lesene dell’altare (ultimo a sinistra dalla navata principale guardando verso l’altare centrale). Il Manieri-Elia la pone come possibile variante della ‘colonna inglobata’. Qui, (vedi figura) la colonna rudentata appare dietro il consueto ‘nastro sinusoidale’ (simbolo di protezione delle figure dei santi dipinte e comunque della vita sacra in genere), mentre, come vediamo, quella che la storia classica chiama “modanatura a meandri” (o croce uncinate, simbolo solare augurale, antico segno di protezione, derivante molto probabilmente dall’effetto ottico della rotazione del sole quando lo si guarda fisso) la troviamo sempre intorno, o a protezione delle architetture e degli spazi – porte, tetti, pavimenti ecc…), diventa per gli artisti motivo di invenzione costruttiva e varianti decorative delle  porte 1606.

Dunque rispettivamente:

Il nastro caduceo a protezione della vita dello spirito o, a simbolo di un patto sacro.

Il ‘meandro augusteo’ o ‘croce uncinata’, a protezione dello spazio naturale, simbolo solare a protezione di tutto ciò che è visibile alla luce o che vive grazie alla luce.

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Fig. 6 - Decorazione dipinta dell’altare interno nella chiesa dell’Incoronata di Nardò

Una delle colonne rudentate della facciata di S. Domenico a Nardò

Colonna fortemente scanalata della finestra laterale della chiesa dell’Incoronata di Nardò

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Fig. 7 - Particolare della modanatura dell’ingresso centrale di S. Croce a Lecce che, ritengo, abbia ispirato la forma della soluzione dei due ingressi laterali realizzati dopo

Ecco, allora, la fantastica storia raccontata sulla facciata, ottima invenzione comunicativa, originale come la diversità degli Erma che ‘sostengono’ i vari omuncoli-regola, e che così facendo ascrivono dunque al ‘viaggio’ fisico e spirituale,  il ‘sostegno’ della conoscenza, da realizzarsi secondo i codici, le regole e l’ascetismo proiettati alla sola cristianizzazione e contro l’eresia (obiettivi prettamente domenicani). La parte a destra della facciata, comunica che l’individuo, nel momento del trapasso sarà giudicato per il suo lavoro ed impegno. Nella parte a sinistra, che il giudizio sarà rivolto al rispetto dimostrato per le ‘regole’ cristiane. Tutta l’opera è quindi funzionale alla comunicazione dell’inderogabilità delle ‘regole’ e delle ‘norme’ cristiane (libro, sfera, teschio, impegno, trapasso), alle quali, le pulsioni (animistiche) umane, rappresentate dalle tante figure fitomorfiche 14 Erma (13 + 1 angolare), devono soggiacere e che tutto questo avverrà nel giorno del giudizio.

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Fig. 8 - L’arco d’ingresso, secondo il Manieri-Elia è da riferire al portale del castello di Copertino, ma andrebbe studiato, ritengo anche come arco trionfale a tre fornici fregiato da sculture laterali che raccontano storie diverse in relazione alla grandezza delle figure, come gli esempi dell’arco romano a Glanum St. Rémy in Provenza o alla soluzione, sempre romana, dell’arco di trionfo a Benevento

All’osservatore che guarda per ‘vedere’, riflettendo anche su altre possibili interpretazioni, suggerisco di essere conscio dell’efficacia emozionale che il bellissimo reliquiario della facciata di S. Domenico emana.  Una pagina scritta con la pietra è lì, per essere letta, una “preghiera visiva” accessibile a tutti, pronta per essere recitata, un’altra volta e un’altra ancora.

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Fig. 9 - Le tre sporgenze variate degli Erma fogiacei, capaci di aumentare l’impatto scenografico del reliquiario-facciata di S. Domenico a Nardò


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