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Narratore, punto di vista e distanza emotiva dai personaggi

Da Anima Di Carta
Narratore, punto di vista e distanza emotiva dai personaggi Ho sempre trovato un po' noiosi gli argomenti "narratore" e "punto di vista", o piuttosto trovo noiosi gli astratti elenchi destinati a spiegare questi due concetti, in un modo che forse dice poco a chi vuole concretamente scrivere un romanzo.
La verità è che raramente chi si getta nella scrittura di una storia si interroga sul narratore (cioè chi racconta i fatti) o sul punto di vista (cioè la prospettiva con cui vengono raccontati). Sono questi due elementi che per un autore, soprattutto se alle prime armi, restano inconsci. Si sceglie il narratore e il punto di vista in modo per lo più spontaneo, senza porsi troppi problemi. Quasi mai ci si fa queste due domande: Chi racconta la storia? E da che punto di vista guarda?
Ma la scelta che abbiamo fatto, magari inconsapevolmente, è proprio la migliore possibile, la più adatta alla storia? Porsi il problema può essere importante per molti motivi, ma farlo sulle basi di considerazioni astratte è semplicemente inutile. Uno dei criteri per scegliere è la distanza emotiva. Potremmo chiederci: quale distanza emotiva voglio stabilire tra i personaggi e il lettore? Voglio entrare nella testa dei personaggi? Quanto a fondo voglio scavare nelle loro emozioni?
Le risposte che daremo avranno un'influenza importante sul risultato del romanzo e condizioneranno chi legge. E potremo scoprire che per la riuscita della storia funzioni meglio un altro narratore o un altro punto di vista.
La massima intimità tra lettore e protagonista si ottiene quando narratore e punto di vista coincidono, cioè quando per raccontare si usa la prima persona. In questo caso entreremo al 100% nella testa di chi vive la storia e scopriremo attraverso le sue stesse parole cosa gli è accaduto. Questo narrare diretto crea un coinvolgimento molto forte, porta il lettore subito dentro i fatti e le emozioni.
E' quasi sempre la soluzione adottata dagli scrittori in erba, sia perché all'inizio si è automaticamente portati a creare personaggi a nostra copia, sia perché dà l'impressione di catturare meglio l'attenzione. In realtà è questa una scelta impegnativa e molto rischiosa, proprio per l'intimità eccessiva che crea e per l'intrusione delle opinioni di chi parla. Immaginate che qualcuno per strada vi fermi e cominci a raccontarvi qualcosa della sua vita. State già sbuffando, vero? Ecco, non è detto che raccontare in prima persona provochi la simpatia di chi ascolta, più spesso scatena la noia.
E' tuttavia molto utile quando la storia che vogliamo raccontare ha dell'incredibile e in generale quando abbiamo bisogno che a parlare sia un testimone dei fatti.
Un'intimità ugualmente forte, senza però i difetti della prima persona, si può ottenere usando a terza persona limitata con un narratore esterno che si concentra sul protagonista. Chi racconta usa gli occhi di questo specifico personaggio, sa tutto di lui e ha il potere di esplorare le sue sensazioni, i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue intenzioni.
Il fatto che abbia la possibilità di entrare in lui non significa che lo faccia sempre, ci può essere più o meno distacco, in una gradualità che va dalla totale intimità (molto simile alla prima persona), fino al resoconto asettico di ciò che succede, simile al tipo di narrazione usata nei film dove non conosciamo i pensieri o i sentimenti degli attori, ma li deduciamo da ciò che vediamo.
In generale, a prescindere da quanto a fondo scaviamo e da quanta introspezione facciamo, questo tipo di combinazione narratore-punto di vista ha un impatto forte sul lettore e lo porta a immedesimarsi con chi vive la storia. Può essere una soluzione utile nel caso il romanzo abbia una forte connotazione psicologica, meno utile se invece la storia ha altri punti di forza o se non vi interessa che il lettore si identifichi con un personaggio in particolare.
Se mostriamo molti punti di vista, usando sempre un narratore esterno, possiamo esplorare molto, ma aumentiamo anche la distanza con il lettore, che faticherà di più a immedesimarsi e provare empatia. Molte storie però necessitano di più punti di vista, altre ne traggono grandi vantaggi e sarebbero limitate dall'uso di una semplice terza persona. Se vogliamo far conoscere vicende parallele, è necessario usare questa soluzione. Va da sé che il coinvolgimento emotivo è minore e che la storia in questo caso non sempre viene raccontata attraverso gli occhi di chi vive gli eventi. D'altra parte, se mostriamo i punti di vista di vari personaggi, la trama sarà anche più vivace e si aprirà la possibilità a molte sottotrame, e questo in alcuni romanzi è più importante rispetto all'approfondimento psicologico.
Il massimo distacco emotivo è quello dovuto a un narratore onnisciente, ovvero quando si racconta conoscendo tutto di tutti e non esiste un punto di vista specifico. Qui non c'è il filtro dei vari personaggi, la realtà è raccontata così com'è. Oggi è poco usato anche perché per chi legge è difficile affezionarsi ai personaggi in questo modo. Se vogliamo raccontare una storia senza filtri, ma mantenere un qualche contatto con il lettore, si può usare un narratore che sappia tutto ma che sia identificabile in qualche modo con l'autore, che si rivolga ai lettori in modo diretto, intromettendosi di tanto in tanto e commentando ciò che succede. Una soluzione un po' antiquata alla Manzoni, ma comunque fattibile.
Questo elenco è assolutamente incompleto e lacunoso, infatti non ho citato tutte le soluzioni possibili né intendevo farlo. Inoltre, la distanza emotiva è solo uno dei criteri per fare una scelta. Per esempio, i limiti presentati dalle varie soluzioni in termini di conoscenza della realtà possono avere un peso altrettanto importante. Riflessioni interessanti a questo proposito potete trovarle per esempio in questo articolo di Daniele Imperi: L'io narrante e la sincerità nella scrittura.
In conclusione, capire fino a che punto vogliamo entrare in un personaggio e quanto vogliamo coinvolgere il lettore sia un fattore importante. Forse non capiremo subito qual è la scelta migliore e dovremo fare delle prove. A me è capitato di cambiare il punto di vista nel corso del primo romanzo dalla prima alla terza persona, perché mi sono resa conto che occorreva più distanza tra il personaggio principale e il lettore. Mi è anche successo (in un altro caso) di aggiungere un secondo punto di vista, perché mi sono accorta che focalizzarmi su un solo personaggio era riduttivo e la storia abbracciava anche altre persone di cui volevo in ugual misura mostrare emozioni, pensieri, ecc.
La cosa migliore è sperimentare e vedere che effetto fanno le varie soluzioni.
E voi vi ponete il problema dei punti di vista e del narratore o procedere in modo istintivo?
Anima di carta

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