Natan ZACH – SENTO CADERE QUALCOSA. Poesie scelte 1960-2008

Creato il 24 febbraio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da Giovanni Nuscis su febbraio 24, 2012

Impero e vecchietta

Di qui si vede l’impero,
da lì, una vecchietta, con la sporta della spesa in mano.
Quante vecchiette con le sporte
furono necessarie per costruire l’impero,
quante sporte restarono vuote,
quanti imperi crollarono nella polvere.
Onore ai costruttori degli imperi!
Onore ai loro distruttori!
Ma la vecchietta con la sporta
e i denti che le mancano in bocca
è comunque la speranza del futuro.

*

I viali dell’infanzia

I
Suonavano le orchestre nel parco. Il secolo marciava verso sé stesso
e noi sempre più lontani dalle origini.

Quand’ero ragazzino, mio padre mi prese sottobraccio. Nel suo
tono pratico mi disse, lo vedi, qui per noi non c’è futuro.
Tua madre ed io abbiamo deciso di emigrare.
Non capii. Non conoscevo ancora il futuro, ma solo il tedesco.
Mangiavo noccioline ed amavo lo zoo. Aspettavo le scimmie
ma annottava già e non uscivano dal loro nascondiglio. Luci
brillavano sui ponti. Pesci dorati guazzavano nell’acqua della vasca
e le fioraie avevano stille di rugiada nei capelli. Berlino. Città da cui
ricorderò di fuggire e fuggire ancora verso la mia città
da cui non si può fuggire.

Poi il fanciullo maturò, accumulò un po’ di forza,
i suoi incubi divennero realtà, i viali dell’infanzia
si fecero macerie o case dai molti piani.
Ora non scorderà più la parola futuro,
che sempre tornerà,
paurosa come orfanezza.
Qualcosa come alzarsi, partire, ricordare –
di pauroso come morire.

2
Un uomo non sa in fondo ciò che vuole. Un uomo
mette le sue radici, vede la sua fatica fruttificare o viene estirpato e racconta
ai propri figli storie, oppure no. Egli non cambia, il tempo non si ferma per lui.
di anno in anno mente meno a se stesso, impara
a dominare il corpo finché il corpo non domina lui, parla poco e impara
a dimenticare. Ora
non vuol fuggire più. Solo un po’ di memoria
che forse ad altri permetterà di crescere, germogliare
scordando tutto ciò che lui lasciò dietro di sé.

*

E questo è un capitolo, un capitolo solo della trama,
della ragnatela che tentammo di filare qui
nel tumulto di molti anni, nei quali
si deve pur far ordine, non ricongiungendo le cose con la frode
e neppure sfilacciando, senza odorare
il profumo di un fiore prima che avvizzisca o di un seno di donna
che s’apre toccato da una mano indagatrice,
che rimesta e fruga nella carne viva
cercando di trovare un momentaneo sfogo alla sua solitudine.
Siamo tutti prodotti etichettati nel grande supermarket
della creazione e quella sua stupidità – per la quale
l’anno divora l’anno e l’attimo e il minuto –
è appunto l’eternità che consuma ogni cosa.

*

Forme di pensieri

7
La poesia non è parole, né un’azione
Che culmini in fatti, ed è una difficile cosa
E tu non puoi misurarla se non con la tua propria misura
Ed è la tua patria, promessa oppure no.
E lei ti misurerà sul palmo della sua mano,
ti sedurrà col bene e anche col male, in essa
costruirai la tua casa, altra casa no avrai
anche se il fuoco la divorerà o se d’un tratto sarà distrutta.

Tu senti ancora ciò che dicono nella stanza accanto
o di là dalla finestra
e ascolti o tiri su una tenda
e non c’è nulla là tranne l’eco
e questa è la via del mondo
e questo è il chiuso
oltre cui non passerai.

*

Dopo lo Tsunami

Un fiore appassisce
eccolo lì gettato
nella spazzatura
è un’infamia pura
scrivere
dopo Auschwitz
una poesia
sul carcame di un fiore.

Un gatto schiacciato
le interiora fuori
il sangue un rivolo
dalle ruote di una macchina
è un’infamia pura
scrivere dopo Sabra e Shatila
una poesia
sul carcame di un gatto.

Un bambino a cui hanno sparato
sanguina
in braccio a suo padre
che si stringe al muro
è un’infamia pura
scrivere dopo l’omicidio di un bambino
una poesia
su un muro che sanguina.
Centocinquantamila
travolti dal mare
fetono
spargono malattie
è un’infamia pura
scrivere dopo morti a migliaia
una poesia
su un teleoperatore a cui hanno sparato.

Com’è bello
che si possa ancora scrivere
su un fiore che appassisce,
il carcame di un gatto,
un muro che sanguina,
un teleoperatore
una poesia d’amore,
infamia pura
sulla soglia dell’Ade.

*

Squillo sulla porta

Ogni squillo alla porta da cui resto poi deluso
mi lascia come uno svuotato Gesù
che cerchi a notte fonda un posto per dormire
e rimanga davanti a porte chiuse.

E dunque ora gli apro, è mio dovere,
e lo avvolgo in un sudario e vesto me di bianco
e colgo l’occasione per toccare il suo mantello
che un tempo mi eluse.

E frugo per la stanza, trovo un posto in cui lui possa giacere,
in cui se gli dovesse dolere, non dolga più di tanto,
e ricordo un filosofo che disse che l’uomo si misura
solo dalla sua disperazione, e che non c’è altro esame,
e lascio un po’ di spazio alla mia disperazione,
e molto alla sua.

*

Natan ZACH
SENTO CADERE QUALCOSA
Poesie scelte 1960-2008
Giulio Einaudi Editore (2009)
A cura di Ariel Rathaus


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