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Nati dopo il 1990: come Internet ha cambiato la comunicazione e l’apprendimento

Da Simonetta Frongia
Nati dopo il 1990: come Internet ha cambiato la comunicazione e l’apprendimento
Gli anni novanta vedono la nascita di Internet e del World Wide Web; nel 1994, in Svizzera al CERN, Tim Berners-Lee insieme ad altri ricercatori getta le basi per la nascita del consorzio W3C (World Wide Web Consortium)[1], lo scopo era quello di creare un’organizzazione che tutelasse lo standard del Web dalle grandi aziende e ne consentisse uno sviluppo universale. L’enorme successo che ebbe, grazie anche al fatto che era di dominio pubblico, portò in breve tempo ad uno sviluppo vertiginoso dei siti e successivamente delle applicazione Web rivoluzionando in maniera profonda il nostro modo di comunicare.

Sono passati quasi venti anni dalla genesi della moderna rete Internet e a questo punto la domanda che dobbiamo porci è: “come è cambiato il nostro modo di comunicare e di apprendere e il rapporto tra studenti e docenti?”. Senza dubbio l’effetto dirompente della nascita di Internet ha avuto ripercussioni notevoli in tutti i settori della nostra società, comprese le scienze didattico-pedagogiche. Jerome Bruner, psicologo della New York University, nella sua opera The Culture of education del 1996, presuppone che l’attività della mente umana non possa essere solitaria ne avvenire senza aiuto, cioè senza un adeguato supporto iniziale di insegnamento, secondo Bruner «la vita mentale viene vissuta con gli altri, è fatta per essere comunicata e si sviluppa con l’aiuto di codici culturali, tradizioni e simili»[2]. Dalla nascita del Web un numero crescente di persone ha avuto accesso alle tecnologie di Internet e la quantità di informazioni digitalizzate ha avuto un incremento esponenziale; oggi utilizziamo questo straordinario strumento anche in ambito didattico senza però preoccuparci di formare gli utenti al suo corretto utilizzo anzi, paradossalmente, si ritiene noiosa o peggio ancora superflua la formazione alla conoscenza dei meccanismi che regolano il mondo dei computer, delle reti di telecomunicazioni, dei protocolli e dei linguaggi con cui le tecnologie, che si utilizzano quotidianamente, comunicano. Molti ritengono questi argomenti troppo vicini alle scienze ingegneristiche e quindi di difficile comprensione da parte di utenti generici. Si ricorre ad una certa forma di autoapprendimento non supportato che espone gli utenti ad una serie di pericoli nascosti. Utilizzare la tecnologia per apprendere significa usare in modo differente la nostra capacità cognitiva. Con l’avvento del web 2.0 la rete, intesa come Internet, è stata invasa da forum, wiki, blog, chat, social network, realizzati da persone con lo scopo di condividere i propri pensieri o le proprie conoscenze, si tratta di contenitori virtuali, che possono ospitare anche materiale non corretto, dove ognuno può collaborare allo sviluppo dei contenuti, si tratta di un fenomeno in continua crescita che investe soprattutto ragazzi in età scolastica ed universitaria tanto che anche l’Unione europea ha avviato un programma il TACCLE (Teachers' Aids on Creating Content for Learning Environments )[3] che prevede lo sviluppo di strumenti di supporto per gli insegnanti nella creazione di contenuti per ambienti di apprendimento. E’ ormai chiaro che la generazione nata dopo il 1990, grazie ad Internet, ha acquisito una modalità di apprendimento tipica del Learning by Doing di John Dewey[4] in cui si apprende acquisendo e trasformando le proprie conoscenze e capacità sulla base dell’esperienza (in questo caso dell’esperienza che si fa in rete). Il prodotto d’apprendimento scaturisce, perciò, da un processo d’indagine proprio della filosofia pragmatista dell’esperienza che si colloca, secondo Dewey, sul piano dell’azione pratica come momento di interazione tra la persona e l’ambiente che lo circonda e in cui opera. Ogni persona inserita in un determinato contesto si educa indagando le modalità con cui vengono espletate determinate funzioni; l’apprendimento diventa strumentale, innesca negli individui un nuovo modo di pensare, di fare e di approcciare alla situazione problematica alla quale sono chiamati a reagire quotidianamente per aumentare le loro conoscenze. La persona, con la propria capacità di apprendere diventa l’attore principale, il protagonista, gli individui apprendono per se stessi sviluppando sempre di più la loro capacità di discutere, sperimentare, adattarsi e innovare. Senza questa capacità di apprendimento e senza questa innata curiosità degli esseri umani non potremmo spiegare tutto questo fervore nell’utilizzo dei nuovi strumenti multimediali di comunicazione.E ovvio quindi che l’evoluzione delle nuove tecnologie, tipiche dell’Information and Communication Technology (ICT), ha aperto la strada a nuove forme di comunicazione e di diffusione dei contenuti digitali. provocando un gap tecnologico tra due generazioni i cosiddetti “nativi digitali”[5] cioè le persone nate dopo il 1990 e coloro che sono nati prima di quella data. La rete ha modificato i meccanismi metacognitivi degli studenti, dalle scuole primarie all’università, cambiando in modo repentino le modalità di comunicazione e di apprendimento, non c’è dubbio che queste ultime sono notevolmente mutate e continueranno a mutare nel prossimo futuro grazie alla continua evoluzione delle tecnologie. Tutto questo può innescare una sorta di preoccupazione per gli effetti che le tecnologie possono avere sulle capacità di apprendimento, l’enorme quantità di dati e informazioni che le nuove generazioni sono chiamate ad elaborare ogni giorni su Internet può portare ad un apprendimento superficiale motivando le preoccupazioni delle famiglie e delle istituzioni scolastiche. Oltretutto sta cambiando anche il rapporto docente-studente per cui «… l’eros, l’emozione, l’amore, la creatività della professione docente, il senso dell’amicizia tra maestro e scolaro che sono coinvolti in un dialogo costante …»[6], di cui scrive il prof. Lanfranco Rosati, purtroppo, se non si pongono rimedi, è destinato ad estinguersi. Le istituzioni scolastiche dovranno necessariamente cercare di coinvolgere i docenti in questa trasformazione cercando di cogliere gli aspetti positivi e cercando di stigmatizzare i lati negativi. L’obiettivo dell’utilizzo della tecnologia per la didattica deve essere quello di migliorare e aiutare il docente, non di sostituirlo, permettendogli di poter fare le stesse cose che si possono fare senza l’ausilio delle tecnologie, ma più velocemente e mantenendo un alto livello qualitativo nella didattica. La rete può diventare un importante canale informativo, i contenuti, se ben progettati e controllati, possono diventare funzionali per il miglioramento della didattica, non dobbiamo però dimenticarci che il primo obiettivo della formazione è il sapere, le sue modalità di fruizione e di utilizzo rappresentano la parte strumentale dell’erogazione delle conoscenze, ma questo deve avvenire sempre nel rispetto delle regole e dei principi della didattica.


Bibliografia

· Giovanni Bonaiuti (a cura di), E-learning 2.0. Il futuro dell’apprendimento in rete, tra formale e informale, Trento, Edizioni Erickson, 2006.· Jerome Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli editore, 2004.· John Palfrey – Urs Gasser, Born Digital. Understanding the first generation of digital natives, Perseus Books Group, 2008· Lanfranco Rosati, Il metodo nella didattica. L’apporto delle neuroscienze, Brescia, Editrice La Scuola, 2005.· Lanfranco Rosati – Mina De Santis, Genesi dell’azione educativa. Antologia del Novecento, Perugia, Morlacchi editore, 2003.--------------------------------------------------------------------------------[1] Per approfondimenti: http://www.w3.org/[2] Jerome Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 2004, cit. p. 9Jerome Bruner, Research Professor of Psychology: New York University. http://psych.nyu.edu/bruner/[3] Per approfondimenti: http://www.taccle.eu/[4] John Dewey (1859 – 1952). Le sue opere si rifanno al pensiero della filosofia pragmatista americana. Sostenitore del pensiero filosofico e pedagogico basato sull’esperienza. Secondo Dewey il pensiero di ogni persona si forma dall’esperienza, che nasce dall’interazione tra l’uomo e l’ambiente in cui questo svolge la propria attività. La finalità dell’educazione è, secondo Dewey, sociale in quanto si avvale dell’apporto delle esperienze di ogni individuo. Learning by doing (imparare facendo) è alla base del suo pensiero.[5] Per un approfondimento si rimanda a:John Palfrey – Urs Gasser, Born Digital. Understanding the first generation of digital natives, Perseus Books Group, 2008.[6] Lanfanco Rosati, Dentro l’anima della professione docente, Margiacchi – Galeno Editrice, Perugia, 2005

Roberto OraziFonte:Vega,Periodico di cultura, Didattica e formazione universitaria-AnnoVI numero 2

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