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Nati per obbedire.

Creato il 16 aprile 2013 da Gianlucaweast @gianlucaweast

Nati per obbedire.

(c) 2013 weast productions


Oggi ho visto un parchimetro messo male. Sopra ci avevano attaccato un cerotto con scritto: “guasto”. Qualcuno lo aveva grattato via, spezzato in due: guardarci sotto per vedere se era vero, se stava davvero male. Stava male, posso testimoniarlo: al posto dei numerini riferiti al parcheggio, al posto della somma versata e – più importante di tutti – del conto alla rovescia digitale che ti dice quanta vita ti resta prima di prenderti una multa, sul display compariva una lunga serie di simboli insignificanti. Apparentemente insignificanti. In realtà, dicevano molto. Tutto. Dicevano: goditela. Goditi la vita con la tua macchina parcheggiata a sbaffo, goditi il tempo, ignoralo, dilatalo, bacialo, abbraccialo, fanne quello che vuoi, anche l'amore. Wow.
C'era un parcheggio libero, uno solo, un buco in una dentatura altrimenti perfetta. Mi sono fiondato, lanciato meglio di un sasso palestinese. Dentro in una manovra. E poi, respiro, profondo, oltre la cortina delle marlboro. Fiato dentro, fiato fuori. Sorriso. E, come dire, la quasi tenera compassione per il vigile ausiliario che oggi sarebbe passato di lì senza passare anche dentro la mia vita. Estranei, per una volta. Lui incapace di nuocere. Io troppo su un altro pianeta per poterlo anche soltanto minimamente odiare. Aspetta. C'è una signora. Una signora incazzata. Nera. Non funziona mai niente in Ticino. Signora, guten Tag, che c'è? Parkeggio, kaputt.... Sì, signora, ja, gnaedige Frau, kaputt, si goda la giornata di sole, si tolga, se può, le scarpe, e scopra la città, per minuscola che sia, a piedi nudi: sentirà, leggera, salirle la sabbia su per le caviglie. Siamo al mare, signora, verstehen Sie? Ho sbagliato. Sbagliato a parlarle. Lei aveva già acceso il radar e aveva visto, in me, l'avvicinarsi di un corpo ostile. Giuro, ero disarmato. Eppure, ne sono certo, dietro le sue pupille, il cristallino, la retina, il bulbo, lungo le diramazioni nervose del suo cervello, andava accelerando oltre la luce l'immagine di uno che aveva rubato i vestiti da un container della Croce Rossa e che in mano teneva non le chiavi della macchina ma una bomba. Una bomba a mano. Entschuldigen Sie, gnaedige Frau, einen schoenen Tag noch. E via che vado. Abbiamo tutti quella che chiamiamo la “coda dell'occhio”. Quella che vede quasi dietro di noi, diciamo di fianco. E cosa vedo? La signora che sistema con cura una manciata di monetine sul parabrezza, appena sopra le spazzole, così che non cadano. Cristo. Mi fermo. Mi giro. Zitto. Lei: “fuer den Herrn Polizist”. Nel caso fosse passato il poliziotto: pagava il parcheggio, uguale. Okay, la signora aveva targhe d'oltre Gottardo. Cambia qualcosa? Chissà... Non credo. Ora sono aggrappato a una tazzina di caffè, con Natale il barista che si chiede che cosa abbia mai visto, oggi, dopo averne viste tante comunque. Aggrappato al caffè, okay? Sai che cosa penso? Penso che invidio i tunisini, gli egiziani, i libici e per quanto siano messi male davvero, anche i poveri siriani. Perché si sono scrollati di dosso il potere. Quello che anche quando non c'è – ad esempio al gabinetto, a letto, davanti a un parchimetro fuori uso  – te lo inventi. Te lo crei. Lo metti al mondo, come un figlio. E come a un figlio, cominci a volergli bene. Quando non c'è, ti manca. Siamo nati per obbedire. Meno faticoso che pensare.  

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